A quasi tre mesi dall’inizio della “missione” americana e britannica nel Mar Rosso, per contrastare le iniziative a sostegno della Resistenza palestinese del governo yemenita guidato dal movimento sciita Ansarallah (“Houthis)”, nessuno degli obiettivi fissati dall’amministrazione Biden sembra essere a portata di mano. Gran parte dei traffici commerciali lungo questa rotta, che collega l’Oceano Indiano al Mar Mediterraneo, rimane sospesa, mentre i bombardamenti di USA e Regno Unito non hanno indebolito in maniera significativa le capacità offensive del governo di Sana’a, nonostante l’apparentemente enorme differenza delle potenzialità militari tra le due parti.

La sorta di “coalizione” messa assieme da Washington a fine 2023 opera di fatto in difesa del genocidio in corso a Gaza per mano dello stato ebraico. Ansarallah aveva infatti annunciato in precedenza l’intenzione di colpire imbarcazioni commerciali e militari israeliane o legate a Israele come risposta alla strage di civili palestinesi nella striscia. Le operazioni erano state inaugurate con il sequestro di un cargo di proprietà di un miliardario israeliano e in seguito anche le navi americane e britanniche sono diventate bersaglio delle forze armate del governo di fatto dello Yemen.

L’iniziativa americana era stata lanciata con particolare enfasi, vista l’importanza della posta in gioco dal punto di vista economico e strategico. Prima della crisi in corso, dal Mar Rosso e attraverso il Canale di Suez passava circa il 15% del commercio globale. Le forze navali degli USA e degli alleati che hanno deciso di partecipare alla “missione” continuano tuttavia a non essere in grado di rendere sicura questa rotta. Il piano di Ansarallah rimane così un successo. Anche se i danni materiali causati alle imbarcazioni prese di mira finora appaiono relativamente limitati, la sola minaccia che incombe in queste acque è sufficiente a costringere le compagnie a optare per rotte alternative molto più onerose, come quella che circumnaviga il continente africano passando per il Capo di Buona Speranza in Sudafrica.

Sono gli stessi comandi militari degli Stati Uniti a riconoscere la sostanziale inefficacia della “missione”. L’ammiraglio Marc Miguez, comandante della portaerei “Eisenhower” dispiegata nel Mar Rosso, ha spiegato recentemente che i bombardamenti americani hanno inflitto “qualche” perdita agli “Houthis” in termini di missili e droni, ma non c’è oggi alcuna possibilità di prevedere quando sarà concluso il compito della flotta impegnata nelle operazioni contro lo Yemen. Il numero di missili a disposizione di Ansarallah resta infatti un “buco nero per l’intelligence USA”.

Sui media occidentali circolano opinioni allarmate circa la situazione nel Mar Rosso. In molti ritengono che Ansarallah abbia la capacità di continuare a imporre un quasi blocco in queste acque ancora per parecchi mesi. L’accusa più ricorrente è che il governo di Sana’a riceva rifornimenti di armi dall’Iran, ma entrambe le parti hanno sempre negato che sia questo il caso. È evidentemente probabile che esista una certa collaborazione anche in ambito militare, intensificatasi in parallelo alla guerra di aggressione contro lo Yemen scatenata da Arabia Saudita ed Emirati Arabi nel 2015. Alcuni analisti militari hanno fatto però notare come Ansarallah possa contare su un vasto arsenale offensivo e difensivo di era sovietica, in molti casi riadeguato alle esigenze attuali.

Il governo di fatto dello Yemen, che estende il proprio controllo sulla porzione nord-occidentale del paese della penisola arabica, non è d’altra parte nuovo a sorprese in ambito militare. Sauditi ed emiratini, nella fase calda del conflitto, avevano ad esempio assistito impotenti qualche anno fa ad attacchi rovinosi provenienti dallo Yemen contro alcune delle proprie installazioni petrolifere.

Un paio di settimane fa, poi, i leader di Ansarallah avevano dichiarato di avere introdotto nel proprio arsenale bellico dei missili ipersonici, aggiungendo un ulteriore serissima minaccia ai nemici nella regione. Nei giorni scorsi, invece, per la prima volta un missile da crociera lanciato dallo Yemen era riuscito a sfuggire ai sistemi di difesa israeliani. L’ordigno si era abbattuto senza fare alcun danno in un’area non abitata della città di Eilat, sul Mar Rosso, già colpita da una gravissima crisi economica proprio a causa delle operazioni del governo yemenita.

La campagna di Ansarallah, fatta di sequestri di navi e lancio di missili, ha provocato una contrazione del traffico commerciale nel Mar Rosso del 70% tra dicembre 2023 e marzo 2024. Le grandi navi che trasportano container hanno addirittura fatto registrare un calo del 90%, mentre il traffico di gas è quasi del tutto sparito. Le conseguenze si stanno facendo sentire, oltre che sui costi delle spedizioni via mare, soprattutto sull’economia di Egitto, dove i proventi del Canale di Suez sono crollati, e Israele, con la già citata Eilat che potrebbe a breve assistere a un taglio di circa la metà dei posti di lavoro che ruotano attorno alle attività portuali.

Anche più pessimiste sono le compagnie che operano in questo settore. In un’intervista di inizio marzo, l’amministratore delegato di Hapag-Lloyd, Rolf Habben Jansen, aveva spiegato che la sua società, per evitare qualsiasi rischio, non intende far transitare imbarcazioni nel Mar Rosso fino a che la situazione non si sarà stabilizzata. Secondo Jansen, il blocco imposto da Ansarallah potrebbe persistere per tutto il 2024 o anche continuare nel 2025.

Il danno per governi e compagnie occidentali e israeliane è moltiplicato dal fatto che le navi commerciali e militari di altri paesi hanno facoltà di transitare indisturbate nel Mar Rosso e nel Golfo di Aden. La questione ha dei risvolti anche di natura strategica. Infatti, settimana scorsa l’agenzia di stampa americana Bloomberg ha dato notizia di un accordo tra Sana’a, Russia e Cina per suggellare il passaggio in sicurezza delle imbarcazioni di questi ultimi due paesi nelle acque teatro della crisi. I colloqui si sarebbero tenuti in Oman e, in cambio, Mosca e Pechino avrebbero assicurato allo Yemen “supporto politico”, ad esempio, secondo Bloomberg, sotto forma di appoggio all’interno dei vari organismi internazionali, a cominciare dal Consiglio di Sicurezza ONU.

L’intesa, anticipata da una visita a gennaio a Mosca di una delegazione di Ansarallah, apre potenzialmente le porte in futuro all’integrazione di uno Yemen pacificato nelle dinamiche che hanno il loro baricentro nel “Sud Globale”, come la possibile adesione al gruppo BRICS, ampliato significativamente proprio nel 2024. Questa ipotesi tocca un nervo scoperto in Occidente, raddoppiando la frustrazione dovuta al fallimento della “missione” anti-Houthis, poiché lo Yemen occupa una posizione geografica strategicamente cruciale, che è peraltro in larga misura alla base della guerra con Riyadh e Abu Dhabi.

L’insuccesso di Stati Uniti e Regno Unito è amplificato infine dalla disparità di risorse impiegate nello scontro in corso negli ultimi tre mesi, tanto da far dubitare della sostenibilità delle operazioni della “coalizione” organizzata da Washington. Mentre Ansarallah agisce con missili o droni del valore di migliaia o al massimo qualche decina di migliaia di dollari, i sistemi di difesa americani utilizzano armamenti infinitamente più costosi. Lo scorso febbraio era stato riportato dalla stampa USA che la Marina americana stava impiegando missili Standard SM-2 da circa due milioni di dollari e, addirittura, Standard SM-6 da quattro milioni ciascuno solo per abbattere droni yemeniti costati appena duemila dollari.

La “missione” nel Mar Rosso promossa dagli USA sta diventando quindi un peso enorme per le casse del Pentagono, senza dare risultati tangibili. Lo spreco di denaro, la distruzione causata dai bombardamenti, i danni economici e quelli materiali alle imbarcazioni registrati finora avrebbero potuto invece essere evitati da serie pressioni americane sul governo israeliano per fermare il genocidio palestinese nella striscia di Gaza.

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