Le prime due elezioni a livello statale di un anno ricco di appuntamenti con le urne, e che prevede anche il rinnovo del Parlamento federale di Berlino, hanno inviato segnali di allarme ai cristiano-democratici (CDU) della cancelliera Merkel a pochi mesi dal suo addio definitivo alla scena politica tedesca. Oltre a sollevare qualche dubbio sul futuro del principale partito della Germania e sulla leadership del fronte conservatore, il voto di domenica nel Baden-Württemberg e nella Renania-Palatinato ha confermato l’ascesa e la trasformazione dei Verdi in un movimento moderato in grado di garantire la stabilità di un sistema tendente sempre più alla frammentazione e al declino dei partiti di riferimento del capitalismo tedesco.

In entrambi gli stati, la CDU ha dovuto incassare la peggiore prestazione della propria storia. Nella Renania-Palatinato, il partito della Merkel ha perso più di quattro punti percentuali, scendendo al 27,7%, mentre nel Baden-Württemberg la flessione è stata quasi del 3% (24,1%) rispetto al voto del 2016. Soprattutto in quest’ultimo stato della Germania meridionale, ha spiegato un’analisi del voto pubblicata da sito web della rete pubblica Deutsche Welle, l’arretramento della CDU appare preoccupante. Qui hanno infatti sede alcune delle più prestigiose grandi aziende tedesche e lo stato è considerato un bastione conservatore. Il successo per la terza volta consecutiva dei Verdi e del premier statale, Winfried Kretschmann, testimonia dunque del ruolo di questo partito agli occhi delle élites economiche tedesche, tradizionalmente sostenitrici della CDU, con ovvie implicazioni anche a livello federale.

Proprio nel Baden-Württemberg, la conferma dei Verdi, in avanzamento di oltre due punti e ormai sopra il 32% dei consensi, ha aperto la discussione sulla natura della prossima coalizione di governo. Il partito di Kretschmann ha guidato lo stato assieme alla CDU negli ultimi cinque anni, ma già si parla di una possibile alternativa che vedrebbe i Verdi assieme al partito Social Democratico (SPD) e a quello Liberale Democratico (FDP). Questo modello, definito “semaforo” per via dei colori dei tre partiti coinvolti, ha qualche possibilità di essere ripetuto a livello federale se le tendenze evidenziate dal voto di domenica dovessero proseguire fino alle elezioni federali di settembre.

I segnali del potenziale riallineamento politico in Germania sono arrivati alla chiusura delle urne anche dalle dichiarazioni del candidato alla cancelleria per la SPD, il ministro delle Finanze Olaf Scholz. Quest’ultimo, che fa parte della “Grosse Koalition” al governo a Berlino, ha salutato quello del voto nei due stati come “un buon giorno”, poiché “ha mostrato che è possibile creare un esecutivo in Germania senza la CDU”. Anche la co-leader del Verdi, Annalena Baerbock, ha agitato l’ipotesi di composizioni alternative alla CDU per il prossimo governo federale.

La SPD si è confermata nella Renania-Palatinato con la vittoria della premier uscente Malu Dreyer, ma ha tutt’al più evitato di perdere ulteriore terreno e a livello nazionale continua a far segnare un gradimento attorno a un modesto 15%-16%. Molti commentatori tedeschi hanno giudicato perciò l’uscita di Scholz e l’entusiasmo delle sue apparizioni pubbliche come una strategia elettorale. La SPD sta cercando di puntare soprattutto sulla scelta precoce del candidato alla guida del governo, al contrario della CDU che lo farà invece solo nelle settimane successive alla Pasqua.

A essere maggiormente sotto pressione è comunque il neo-leader cristiano-democratico, Armin Laschet, nominato successore della Merkel lo scorso mese di gennaio. In tempi normali, il numero uno del primo partito tedesco sarebbe automaticamente il logico candidato alla cancelleria, ma le scosse degli ultimi anni, confermate dal voto del fine settimana, sollevano più di un dubbio. La CDU ha pagato l’irritazione diffusa per alcuni casi di corruzione che hanno interessato tre deputati conservatori, costretti alle dimissioni perché coinvolti in un scandalo legato alla fornitura di mascherine. Anche il non esaltante lancio della campagna vaccinale contro il COVID-19 ha indubbiamente favorito l’erosione dalla CDU.

Più in generale, sono gli equilibri del panorama politico della Germania a essere messi in discussione, con i Verdi che appaiono i principali beneficiari della crescente freddezza mostrata dagli elettori prima per la SPD e da qualche tempo anche per la CDU. La questione della scelta del candidato alla carica di cancelliere per il fronte conservatore sarà dunque particolarmente delicata quest’anno. Laschet resta il favorito ma sembra suscitare ben pochi entusiasmi, tanto che continua a circolare il nome di Markus Söder, leader del partito-gemello della CDU, i cristiano-sociali (CSU) bavaresi. Söder è l’attuale premier della Baviera ed è uno dei politici con il maggiore indice di gradimento su scala nazionale.

Per il momento, è molto probabile che la CDU resterà il fulcro anche del prossimo governo federale. Le manovre e le dichiarazioni sibilline dei leader dei Verdi e della SPD appaiono come il tentativo di posizionarsi nel migliore dei modi in vista del voto di settembre e delle trattative che seguiranno per la formazione del primo gabinetto del dopo-Merkel. Soprattutto i Verdi hanno approfittato della convincente performance elettorale per accreditarsi come forza responsabile di governo che ha abbandonato ormai del tutto l’attitudine “radicale” del passato, peraltro mai riscontrata nella realtà dei fatti. Uno dei due leader del partito, Robert Habeck, domenica sera ha spiegato in un’intervista alla rete ARD che i principi ispiratori sono “lungimiranza e pragmatismo”, validi sia a livello statale sia a quello federale.

La strategia verde è in definitiva quella di intercettare i voti moderati in fuga dalla CDU quasi orfana della Merkel dopo anni al governo in varie coalizioni statali, nonché per due mandati a livello federale, trascorsi nel rassicurare i grandi interessi economico-finanziari-industriali tedeschi dell’intenzione di allinearsi fedelmente alle loro priorità. I Verdi, infatti, condividono in pieno gli obiettivi del capitalismo tedesco nel quadro della realtà internazionale odierna, a cominciare da quello di promuovere un’ambiziosa politica da grande potenza, in primo luogo attraverso l’impulso alla militarizzazione.

Il rimescolamento in atto degli equilibri politici in Germania potrebbe risultare più chiaro nei prossimi mesi che condurranno al voto federale del 26 settembre. L’obiettivo principale della classe dirigente tedesca sarà quello di garantire, pur nella frammentazione del sistema, il predominio di forze moderate e affidabili, in modo da contenere al minimo le forze centrifughe.

Una prima indicazione in questo senso è arrivata sempre dalle recenti elezioni in Baden-Württemberg e Renania-Palatinato. In entrambi gli stati le frange estreme dello schieramento politico hanno ottenuto risultati deludenti. A destra, l’Alternativa per la Germania (AfD) ha perso complessivamente circa un terzo dei consensi rispetto a cinque anni fa, sia pure mantenendosi attorno al 10%. La sinistra di “Die Linke” non ha invece nemmeno superato la soglia di sbarramento per ottenere deputati nei due parlamenti statali.

Per l’AfD può avere pesato la recente decisione dei servizi segreti federali di mettere il partito sotto sorveglianza perché considerato una minaccia al sistema democratico, ma soprattutto vanno considerati i limiti fisiologici di un movimento che si richiama più o meno apertamente ai principi del nazismo. “Die Linke”, invece, continua ad arrancare al di fuori dei “Länder” orientali e, ancora di più, ha dimostrato nuovamente di non essere in grado di offrire un’alternativa di sinistra a un quadro generale caratterizzato, anche in Germania, da un evidente fermento politico e sociale.

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