di Fabrizio Casari

Seduti davanti al televisore, controlliamo il telecomando per vedere se abbiamo sbagliato partita. E invece no: quella squadra in maglia bianca che corre e gioca bene è l’Italia. Dunque la vittoria della settimana scorsa contro l’Olanda non era stata un caso, per quanto agevolata dagli eventi (rigore ed Olanda in dieci dopo pochi minuti). Insomma l’Italia dei disastrosi mondiali brasiliani non c’è più; di colpo, dopo solo un paio di settimane di cura Conte, la squadra gira.

Non che il calcio che esprime sia da far stropicciare gli occhi, ma è per lo meno una corretta e moderna applicazione del calcio italiano, fatto di copertura e contropiede ad alta velocità. Influiranno anche le carte d’identità che raccontano di un rapido abbassamento anagrafico della compagine, ma certo è un’altra squadra quella che ha battuto prima Olanda e poi Norvegia rifilando quattro gol senza prenderne nemmeno uno, al punto che Buffon lo si è potuto considerare spettatore non pagante.

Il che non significa che i problemi di assetto siano già stati tutti risolti. Dietro un po’ si balla se presi in velocità e tanto Ranocchia come Bonucci non sono il massimo della rapidità. Si tratterà di testarli con squadre più forti nella manovra offensiva, però l‘insieme della prestazione difensiva degli azzurri è più che sufficiente.

La cura Conte è senz’altro visibile in un assetto tattico simile a quello che gli ha consentito di vincere a Bari, a Siena e a Torino: difesa a tre e centrocampo a cinque con due attaccanti per il controllo del gioco, che diventa difesa a cinque in fase difensiva e attacco a quattro più un inserimento da dietro in fase offensiva. Quindi sudore e corsa, sia per i laterali che si trasformano da terzini in ali, sia per i centrali difensivi che devono impostare oltre che bloccare, sia per i centrocampisti che a mo’ di elastico devono accompagnare le due fasi per non lasciare mai troppi metri di distanza tra i reparti.

Si osserverà, giustamente, che sono in molti a giocare così, almeno nelle intenzioni di partenza, ma è Conte quello che con questo assetto vince. Forse, quindi, non di solo assetto tattico è fatta una gara, non di solo possesso palla è fatta una partita che si vuole vincere.

Il valore aggiunto dell’allenatore salentino è questo: infonde una grinta ed una voglia di vincere non certo equiparabile al saporifero Prandelli, che magari si faceva i selfie con Renzi e distribuiva codici etici a sua libera ed alternata applicazione, ma che di calcio ha dimostrato non saperne abbastanza per giustificare l’aurea che lo circondava.

A voler vedere, la squadra di Conte è tecnicamente inferiore a quella di Prandelli, ma dispone di una grinta e di una velocità completamente diversa. Conte dalla sua ha certo l’autorevolezza di chi ha già un palmares di tutto rispetto, ma anche l’autorità di chi non guarda in faccia nessuno e il sostegno popolare intervenuto naturalmente a seguito della debacle brasiliana.

Intanto l’Italia guidata da un De Rossi straordinario scopre e che la velocità non appartiene solo agli altri e che la coppia Immobile-Zaza è micidiale: i due giocano e si trovano come fossero insieme da anni, alternano benissimo i rispettivi movimenti di chi dà profondità e chi va incontro alla palla e sanno entrare palla al piede nelle difese scambiando in velocità e buona tecnica.

Scopre anche che sulle fasce Darmian e De Sciglio sanno andare con efficacia, che Pasqual non è da meno e che Florenzi, inspiegabilmente riserva nella Roma, sa giocare in fascia e da interno. De Rossi come regista e come difensore aggiunto quando serve è il centrocampista più completo in Italia e tra i primi tre in Europa, e Buffon para ancora quello che altri non parano.

L’aspetto su cui riflettere, semmai, è quello solito ma mai risolto. Ci sono giocatori italiani di grande qualità che difficilmente trovano spazio nelle squadre del nostro campionato. La Juventus, che lascia Zaza al Sassuolo e fa partire Immobile per soli 7 milioni è solo la prima della lunga lista di squadre ammalate di esterofilia. D’altra parte se si comprano giocatori esteri a un terzo di quello che si chiede per un talento italiano tutto ciò diventa inevitabile. Gli intrecci di mercato e il ruolo sporco dei procuratori, le combine tra essi e i dirigenti sono ormai evidenti oltre che controproducenti.

Ma intanto l’Italia riparte con un nuovo gioco e un nuovo ambiente interno e questo per merito di Conte e Oriali. Anche se, prima o poi, Lotito dirà che è merito suo.

di redazione

Come volevasi dimostrare, Juventus e Roma aprono le danze inviando alle altre un messaggio chiaro: siamo ancora noi le squadre da battere e dunque la nuova stagione vedrà noi che facciamo le lepri e voi che farete i cacciatori. Liquidato (con discreta fatica) il Chievo, la Juventus è scesa in campo con una determinazione quasi eccessiva, forse con l’intenzione di dimostrare come l’uscita di Conte non comporta quella della squadra.

Allegri ha dunque avuto la dimostrazione che non solo la società (che è riuscita a non vedere Pogba e - pare - Vidal) lo sostiene, ma che anche la squadra è con lui, come del resto aveva fatto intendere Marchisio 48 ore prima del match con il Chievo. Questo, molto più che il possesso palla o la sfortuna sotto porta, sembra l’unico valore aggiunto ai tre punti.

La Roma non si è fatta attendere e ha rifilato un 2 a 0 alla Fiorentina. Veloce e contropiedi sta, la squadra di Garcia ha inteso dimostrare che la novela Benatìa non ha alterato particolarmente l’equilibrio difensivo ed ha impostato sull’agonismo e la corsa una partita che voleva e doveva vincere, conscia di come un passo falso alla prima avrebbe avuto ripercussioni immediate su un ambiente difficilmente soddisfatto del suo mercato estivo. La squadra di Montella, sebbene orfana di giocatori come Cuadrado e Giuseppe Rossi, si può ritenere punita eccessivamente dal punteggio, ma una piccola involuzione nella manovra e il permanere di Pizarro, tra i giocatori più inutili nel suo ruolo, evidenziano difetti che andrebbero corretti se si vuole mantenere il pronostico che, giustamente, vede la Viola tra i primi posti nel campionato appena iniziato.

Delude l’Inter, che rinforzati i muscoli con M’Vila e Medel, la difesa con Vidic e l’attacco con Osvaldo, sconta però l’handicap di Mazzarri, che davvero non riesce ad avere un’idea di come attaccare e, peggio ancora, di come mettere in campo la squadra. Anche qui è solo la prima, ma spaventa l’incompetenza dell’arbitro Doveri, che non solo inventa letteralmente un rigore a favore del Torino dando credibilità alla simulazione di Quagliarella, ma che lungo tutta la partita dimostra di avere due metri e due misure, giungendo ad espellere Vidic che lo ringraziava per aver visto bene un contrasto tra lui e Quagliarella. Ma perché uno come Doveri arbitra in serie A dopo innumerevoli dimostrazioni di poter arbitrare solo match tra scapoli e ammogliati? Il Toro, guidato dal maestro Ventura, è schierato in campo per non prenderle e ci riesce, ma sarà difficile sostituire Immobile e Cerci.

E se l'Inter ha deluso chi si era illuso, il Milan ha forse illuso chi si dimostrava deluso per un mercato non certo memorabile. Invece il Milan ha dimostrato che già solo cacciare Balotelli è di per sé cosa positiva e la rnascita di El Shaaawi, supportata anche dall’arrivo di Torres e dalla conferma di Pazzini, dovrebbe garantire un buon livello offensivo.

I problemi sono semmai in difesa e li servirebbero 30 milioni di Euro per risolverli, oppure il ritorno al governo del suo presidente, entrambe chimere (la seconda per fortuna). Ma intanto un portiere di valore l’ha trovato e si è presentato parando un rigore oltre ad altre cose buone.

La Lazio, che pure secondo alcuni avrebbe condotto un buon mercato, si è dimostrata ben poca cosa. De Vrij ha esordito in modo disastroso, ma si rifarà. Per carità, è solo la prima ed è in trasferta, ma certo che stavolta non serviranno le raffiche di acquisti inutili che Lotito effettua in saldo mentre si abbassano le serrande della salumeria calcistica.

Il Napoli riesce ad espugnare Marassi, sconfiggendo il Genoa e ritrovando un mezzo sorriso dopo la scoppola di Champions. Ma anche qui una squadra già di per se non fortissima sconta l’assenza di una difesa all’altezza delle ambizioni e di un tecnico che non riesce proprio a plasmare una squadra sulle necessità di una partita.
Il Pareggio del Cagliari di Zeman con il Sassuolo, quello della Sampdoria a Palermo e del Verona a Bergamo completano la giornata che vede, come sorpresa assoluta, la vittoria del Cesena sul Parma. Per una settimana (anzi due vista la sosta per la Nazionale), affianco a Roma, Juventus e Milan, c’è il Cesena come primo in classifica.

di Carlo Musilli

Dopo anni passati a scrivere "Respect" e "No to racism" su cartelli, magliette, grafiche televisive e pagine web, non potevano proprio stare zitti. E così l'Uefa ha aperto un'inchiesta per "presunti commenti razzisti" contro Carlo Tavecchio, neoeletto presidente della Federcalcio. La decisione su un eventuale provvedimento potrebbe essere presa l'11 settembre, quando si riunirà la commissione disciplinare della massima istituzione calcistica europea.

Nel mirino c'è la famosa frase su "chi mangia le banane": una sparata così triviale che avrebbe fatto sotterrare dalla vergogna chiunque, nonché affossato la carriera di qualsiasi manager europeo. L'Italia è però la terra delle mille possibilità, dove tutto passa in cavalleria e (quasi) nessuno è chiamato a rendere conto degli sfondoni che distilla. Anzi, in questo caso il buon Tavecchio è stato perfino premiato con la carica più importante della sua carriera. Da noi è normale, ma l'Uefa, stavolta, si è sentita in dovere di produrre almeno uno scatto d'orgoglio, il minimo sindacale a tutela della propria credibilità.

"Sono sereno e rispettoso della decisione della Uefa - ha scritto in una nota il nuovo numero uno del calcio italiano -. Del resto si tratta di un atto dovuto, da noi stessi previsto, e sono certo che potrò spiegare anche in sede Uefa sia il mio errore che le mie vere  intenzioni". 

Il diritto alla difesa non si nega a nessuno, ma risulta davvero complicato immaginare un'interpretazione alternativa delle parole pronunciate da Tavecchio durante il discorso di presentazione della sua candidatura alla Figc. Il passaggio sotto accusa è questo (la trascrizione è letterale): "Le questioni di accoglienza sono un conto, le questioni del gioco sono un altro. L'Inghilterra individua dei soggetti che entrano se hanno professionalità per farli giocare. Noi invece diciamo che Opti Pobà è venuto qua, che prima mangiava le banane, adesso gioca titolare della Lazio. E va bene così. In Inghilterra deve dimostrare il suo curriculum e il suo pedigree".

Il concetto, di per sé, è di una semplicità disarmante: nei campionati inglesi gli extracomunitari sono selezionati con maggiore rigore che in quelli italiani. Fine. Peccato che Tavecchio senta il bisogno di esemplificare. Pensa a uno straniero e gli viene in mente un africano; quindi ne scimmiotta il nome, producendo una sorta di Frankenstein fra Obi e Pogba; infine, immagina cosa potesse fare nel suo Paese prima di venire da noi a giocare a palla. E naturalmente il povero Opti Pobà "mangiava le banane".

E' evidente che non ci sia premeditazione, che si tratti di una scemenza dal sen fuggita. Chi mai, mentre cerca di guadagnarsi il favore della platea, si esporrebbe volontariamente ad accuse di razzismo? E' pura e semplice goffaggine comunicativa, un'incapacità che lo stesso Tavecchio sembra aver accettato, tanto che da lì in poi ha ridotto al minimo le frasi a braccio, limitandosi a leggere pedissequamente i testi che qualcun altro scrive per lui.

La domanda però è un'altra: tutto questo può essere sufficiente come giustificazione? Parlare di "presunto razzismo" suona un po' grottesco, perché il razzismo è indiscutibile. Che "le vere intenzioni" di Tavecchio fossero altre è più che verosimile, ma le persone comuni vengono giudicate per quello che dicono e non per quello che avrebbero voluto dire, per quello che fanno e non per quello che avrebbero voluto fare. Se il processo alle intenzioni non vale come accusa, non può tornare buono come difesa.

Chi prende le parti di Tavecchio, di solito, taccia i suoi detrattori di ipocrisia. L'argomento è più o meno il seguente: "Nella vita di tutti i giorni non accade forse di sentire persone che chiamano i neri 'mangia-banane', magari con bonaria ironia? Saremmo pronti a scandalizzarci così tanto anche se le stesse parole pronunciate da Tavecchio ci arrivassero all'orecchio in un bar o in un supermercato?".

Forse no, o quantomeno l'indignazione sarebbe meno accesa, perché nella propria intimità ciascuno è libero di esprimersi in modo pecoreccio e ignorante quanto più gli garba. Il punto è che un personaggio pubblico rappresenta un'istituzione, parla a nome di altre persone e si rivolge alle masse: ha delle responsabilità che superano quelle di chi parla per sé davanti a un bicchiere di vino. Quando apre bocca non può pensare che per lui valga l'attenuante della chiacchiera da bar. Chi ignora questo principio continuerà a meritarsi un Presidente del Consiglio che parla di Barack Obama come di un tipo "abbronzato". 

di Fabrizio Casari

Stando alle anticipazioni che fornisce il quotidiano La Repubblica, il prossimo lunedì Antonio Conte sarà ufficialmente nominato nuovo Commissario Tecnico della Nazionale italiana. Come in ogni rito e in ossequio all’ipocrisia regnante, Conte svolge la parte di chi, chiuso con i suoi pensieri, valuta tnell'afa di Ferragosto se accettare o no la panchina azzurra.

Con tutto ciò che esso comporta: assenza dai campi intesa come attività quotidiana, difficoltà nella costituzione di un gruppo nuovo e nella costruzione di un progetto di gioco quando già a metà settembre si disputeranno le prime partite della qualificazione agli europei. Secondo quanto riferisce Sky, Conte avrebbe posto tre condizioni a Tavecchio: due stage all'anno con i giocatori azzurri, garanzie di collaborazione con i club e i loro allenatori e uno stipendio adeguato.

Per Conte il vero rovello sta nel decidere se accettare o no, a fronte di un impegno che comunque non ha mai entusiasmato nessuno, una robusta decurtazione dell’ingaggio rispetto a quanto prendeva a Torino (dai 3 milioni si scende ad 1.300.000 all’anno). E se per i commentatori rimane aperto l’annoso dibattito sul ruolo del CT (allenatore o selezionatore?), non c’è dubbio che l’ex allenatore della Juventus sia visto da tutti come uno dei pochi in grado di resuscitare gli azzurri.

Un'arma a doppio taglio potrebbe essere il legame di Conte con il blocco juventino, che anche in Brasile ha costituito l’ossatura della Nazionale naufragata ma che rischierebbe di pesare non poco nel limitare il necessario rinnovamento. Si tratta infatti di proporre non già parziali modifiche o innesti su un corpo centrale buono, ma di rivoltare completamente la squadra, lavorando da qui all’europeo del 2016 per progettare, testare e mettere a regime un nuovo blocco di giocatori di qualità che dovranno arrivare ai prossimi mondiali del 2018 con una media di 28-30 anni di età. Operazione non semplice, tutt’altro.

Altri possibili nomi sarebbero quelli di Spalletti o Guidolin, Zaccheroni o Mancini, con quest’ultimo che, pur essendo l’unico vincente e con esperienza internazionale di livello maggiore di quella di Spalletti e Zaccheroni, è resa impossibile dalla vittoria di Lotito, vista l’inimicizia cordiale che il ducetto laziale ha sempre manifestato verso l’allenatore di Jesi. per carità di patria si spera che quelli di Tardelli, Cabrini e Cannavaro siano solo la manifestazione di nostalgia di uache juventino, pur non dimenticando lo strettissimo sodalizio tra Cannavaro e Moggi che oggi potrebbe ritornare d'attualità.

Ma Conte, ove decidesse di accettare la proposta che Tavecchio gli ha presentato, sarebbe comunque un’ottima scelta, pur se il salentino non dispone di grande esperienza internazionale sulla panchina. Non ci sarebbe poi da stupirsi nemmeno dal punto di vista “politico” se l’allenatore salentino decidesse di accettare l’offerta. Conte, infatti, è certamente l’uomo giusto dal punto di vista delle aderenze relazionali con il nuovo gruppo di potere insediatosi ai vertici del calcio italiano e la rottura con la famiglia Agnelli, che lo ha spinto alle dimissioni dalla Juventus, vista la composizione dei nuovi potenti, oggettivamente aiuterebbe a trovare un’intesa.

La cordata guidata da Lotito, Galliani, De Laurentiis e Preziosi, più altri soggetti minori per quanto funambolici (vedi Zamparini) ha avuto nel vecchio grumo di potere rappresentato da Carraro e Moggi il sostegno decisivo. Checché se ne dica, infatti, la vittoria di Tavecchio non è certo quella del nuovo sul vecchio, bensì l’affermazione di un nuovo e spregiudicato gruppo di potere con legami saldi con la parte peggiore del vecchio gruppo di potere, rivoltatosi contro chi - a suo giudizio - l’ha liquidato, assegnandogli le responsabilità e gli errori di Calciopoli, Juventus in testa.

La rivincita dei Carraro e dei Moggi è indicativa di come le sentenze intervenute post calcio poli siano state largamente incomplete e di come gli assetti di potere reali non vengono scalfiti da sentenze della magistratura ordinaria o sportiva che sia. La Juventus è oggi un'altra cosa, Moggi e Carraro sono la stessa cosa. Insomma, quello consumatosi nel palazzo del calcio, non è stato un match tra buoni e cattivi, ma solo tra presentabili e impresentabili.

Quanto alle soluzioni possibili per l’uscita dalla crisi del movimento calcistico italiano, la vittoria di Tavecchio avrà ripercussioni identiche a quella che avrebbe avuto la vittoria dello smunto Albertini. Entrambi rappresentano figure di comodo per gruppi di potere che, da dietro le quinte (e spesso anche direttamente dal palcoscenico, vedi Lotito e Agnelli) muovono fili e nomi.

Certo, nella società dell’immagine e della comunicazione attraverso le immagini, alcuni aspetti, dettagli persino, contano e il fatto stesso che un personaggio come Lotito possa in qualche modo rappresentare il calcio italiano, racconta più di qualunque altra analisi le condizioni in cui versa il football nostrano. La nomina di Michele Uva, se non altro, ha il merito di porre una persona per bene e competente in un ruolo delicato.

La vittoria di Tavecchio non toglierà né aggiungerà nulla alla crisi del calcio italiano: semplicemente ricostruirà su interessi diversi il meccanismo per il quale non si vede rimedio all’orizzonte. Una situazione “agghiacciante”.

di Fabrizio Casari

Salvo auspicabili sorprese dell’ultima ora, oggi dovrebbe essere un giorno decisivo per le alleanze che decideranno dell’elezione di Carlo Tavecchio alla guida della Federazione Italiana Gioco Calcio. Si aspettano nuove defezioni dall'elenco dei sostenitori dell'impresentabile Tavecchio ma i giochi sono ancora in corso e i colpi sopra e sotto la cintura non mancano.

Non sarà una marcia trionfale come si era annunciata per via delle defezioni continue di alcuni suoi elettori ma probabilmente ce la farà. La cosa di per sé è doppiamente scandalosa, dal momento che alle affermazioni di stampo razzista e sessista si sommano le diverse condanne penali cumulate nella sua lunga attività di sindaco democristiano di Tavecchio.

Si dirà: c’è forse stato qualche sindaco democristiano che non ha messo le manine nella marmellata? Pochi, è vero, ma lo spessore politicamente millimetrale di Tavecchio è sempre stato inversamente proporzionale alla semplicità con cui si muoveva nell’illegalità.

Un rapido elenco? Falsità in titolo di credito continuato in concorso; violazione delle norme per la repressione dell’evasione in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto; omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali; omissione o falsità in registrazione o denuncia obbligatorie; violazione delle norme per la tutela della acque dall’inquinamento. Insomma diverse condanne penali per Tavecchio che ha cumulato pene superiori a un anno e tre mesi (dalla falsità in titolo di credito continuato in concorso all’abuso d’ufficio) oltre a multe e ammende per oltre 7.000 euro.

Secondo lo statuto della FIGC, chiunque abbia riportato condanne penali superiori ad un anno non può ricoprire incarichi nell’ambito della federazione. Poi però Tavecchio è stato riabilitato e buona notte ai suonatori.

Chi sostiene Tavecchio? Galliani guida, le ruote sono Lotito e Preziosi e il direttore generale del Parma, Leonardi, è la ruota di scorta. Cos’hanno in comune? L’appartenenza ad un blocco di potere ad orientamento destrorso e alcuni tic. Quali? Nel 2002 Galliani venne assolto per intervenuta prescrizione del falso in bilancio 1991/1997 che gli era contestato nel processo sui compensi in «nero» ai campioni rossoneri, più due anni, poi ridotti a cinque mesi di inibizione per calciopoli.

Lotito? 2 anni e 6 mesi sempre per Calciopoli, 18 mesi di reclusione nel processo penale Calciopoli ed altri 2 anni per aggiotaggio). Preziosi? 1 anno e 6 mesi per evasione fiscale e sanzioni in campo sportivo come i 5 anni dopo la famosa valigetta di Genoa-Venezia. Un bel terzetto, una versione calcistica della banda degli onesti.

D’altra parte, le amicizie contano e quelle di Tavecchio con Carraro, ex craxiano, ex presidente del Milan, tre volte ministro, poi sindaco di Roma, 3 volte presidente della Federazione, quindi del Coni e ora senatore di Forza Italia, è tutta interna all’impero berlusconiano, così come il legame con Luciano Moggi è stato fondamentale per uscire dal guscio della Lega Dilettanti, numericamente poderosa e politicamente ininfluente.

Tavecchio è la punta di lancia di una operazione politica diretta dal presidente della Lazio Claudio Lotito. A sua volta, Lotito è uomo di fiducia (per quanto sgradevole) di Galliani e degli interessi del gruppo Mediaset di cui il pelato faccendiere è espressione principale.

Tentare di vendere l’immagine di Tavecchio come uomo nuovo per il calcio (ha 71 anni, peraltro), è stata infatti un’operazione sparata sulle reti del padrone, che ben si sono guardate dal ricordare che Tavecchio è da anni e anni nel Palazzo dei pallonari e che sia Galliani che Lotito sono ai vertici della Lega calcio.

Ma gli equilibri sono chiari, come è chiaro che la vittoria del candidato impresentabile rimetterebbe al centro del sistema di potere alcuni dei personaggi che in Calciopoli avevano ruoli e interessi riconosciuti. Se Tavecchio vincesse ci sarebbe una bella serie di poltrone da spartirsi per tutti. Lotito diventerebbe vice presidente della Figc (e addirittura supervisore della Nazionale), Massimiliano Allegri diverrebbe l’allenatore dell’Italia portato da Galliani e Preziosi avrebbe senza subbio un ruolo di prestigio in federazione.

Non è certo questione di nomi, dal momento che è una questione sistemica. La crisi del calcio è il combinato di numerosi problemi ormai incancreniti e il dominio delle televisioni, che impongono un torneo eccessivamente numeroso e lungo, sono state solo il colpo di grazia di un movimento calcistico che annaspa da diversi anni in una crisi profonda di idee e soffre l’incapacità di rinnovarsi.

Ma che un personaggio di quarta fila, ignorante fino al midollo ed etero diretto, possa divenire Presidente della Federcalcio, cioè di una società che dirige un settore che per movimentazione economica, immagine interna ed internazionale e numero di affiliati si può ben definire strategico, è davvero inaccettabile.

Più e oltre le sue parole indecenti su “Potbi Ogba che mangiava banane” o sulle donne “handicappate”, risulta evidente come la lotta al razzismo, che vede la Federcalcio come attore principale nell’erogazione di regole e sanzioni per chi le vìola, non può essere diretta da chi, per linguaggio e stile, alle curve non può che dirsi omologo. Con che coraggio la Federcalcio eventualmente guidata da tavecchio comminerà sanzioni per i cori razzisti che urlano le stesse cose che dice il suo presidente? O le tifoserie sosterranno, come lui, che sono gaffes e non razzismo?

Le società che sostengono Tavecchio devono ritirare il loro appoggio, prima tra tutte l’Inter, che dell’internazionalizzazione e dell’integrazione ha fatto una bandiera durante l’epoca Moratti. Tohir vuole rompere questa tradizione? Sarebbe il modo peggiore di subentrare a chi ha distinto l’Inter rendendola una società diversa dalle altre.

Tavecchio non è un mostro, intendiamoci, è in un certo qual modo l’espressione coerente di quello che il paese è diventato e che il calcio rappresenta in mondovisione. L'esistenza e la proliferazione dell'estrema destra e del leghismo sono già un'onta per l'Italia. Ma da qualche parte deve esserci un sussulto di dignità, un cenno di reazione che rappresenti la voglia di non sprofondare verso l'abisso.

Proprio perchè lo sport è fratellanza, merito, lealtà, uguaglianza, non si può abdicare del tutto. Questo personaggio d’avanspettacolo, intruglio di trivialità ed ignoranza, non può e non deve arrivare alla presidenza della Federcalcio. Chi può, lo fermi. Rimanesse senza lavoro, potrà aprirsi un chiosco di banane.


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