di Fabrizio Casari

Un Milan di altissimo livello per settanta minuti non è riuscito a battere la Juventus, grazie allo scandaloso errore arbitrale. Lo scontro tra Milan e Juve, cominciato da due settimane prima e destinato a proseguire fino alla fine della stagione, ha ricevuto benzina sul fuoco dalla terna arbitrale in campo e dalle parole sconsiderate di Marotta, Conte e Galliani.

Per quanto riguarda la partita c’è da dire che la strategia di Allegri aveva funzionato: tutti si aspettavano la solita Juventus di corsa e pressing e il solito Milan per tasso tecnico e capacità realizzativa. Invece il Milan si è messo a giocare come la Juve, aggredendo i bianconeri con pressing a tutto campo, corsa e velocità di manovra, senza perdere con ciò qualità. Dal canto suo la Juve, che come il Milan non sa e non può giocare, impedita a muoversi come sa, è stata in balia dei rossoneri per settanta minuti, cioè fino a quando i ragazzi di Allegri hanno avuto fiato.

Evidentemente l’assenza di Ibra, tema sul quale le rispettive “diplomazie” si erano già esercitate, come qualcuno aveva previsto, si è rivelata più problematica per la Juventus, che ha visto i suoi legnosi centrali privi di punti di riferimento. Quando infatti il Milan gioca con il fuoriclasse svedese la manovra ha uno sbocco obbligato e i gol arrivano solo se le difese avversarie non riescono a limitare la capacità di calcio di Ibrahimovic. Quando invece Ibra manca, la manovra diventa molto più imprevedibile e Robinho e Pato, liberi dal dover girare al largo dell’area per non pestare i piedi al colosso svedese, dimostrano di essere due attaccanti brasiliani di livello assoluto. Ovvio che negli ultimi 20 minuti il Milan avrebbe gradito la presenza dello svedese per tenere palla e provare a ripartire in contropiede con efficacia micidiale, ma  resta il fatto che, senza Ibra, il Milan non è più debole, ma diversamente forte.

Il gol di Muntari racconta un po’ di cose: la prima è che solo Muntari, a un metro dalla porta spalancata e con il portiere a terra, schiaccia la palla sul portiere. La seconda è che l’inadeguatezza del guardialinee non è annoverabile negli errori che “ci possono stare”. Piuttosto è organica al “modello Rocchi”, intendendo con ciò gli errori così clamorosi da sembrare sospetti. La terza è che piangere serve sempre, soprattutto se non ce n’è motivo. Che succederà se alla fine del torneo saranno proprio uno o due i punti che assegneranno lo scudetto alla Juve davanti al Milan o se, addirittura, la squadra di Conte dovesse prevalere per i punti realizzati nello scontro diretto?

La rissa finale, che ha visto come protagonisti Mexes, Chiellini e Ambrosini, dice invece che il difensore del Milan cambia maglia ma non cambia abitudini: isterico e impreciso, dimostra di rimanere un buon difensore ma di non essere in grado di divenire un campione; che Ambrosini non da oggi è lo spot peggiore per lo stile Milan e che Chiellini dovrebbe avere ben altro spessore per guidare la difesa della Nazionale.

C’è poi il capitolo a parte di Buffon. Il portiere juventino ha detto che non si era accorto se il pallone era o no entrato in rete, aggiungendo però che, se pure l’avesse visto, non l’avrebbe detto all’arbitro. Una bugia e una verità: Buffon ha visto benissimo che la palla era entrata ed è vero che non l’ha detto all’arbitro.

Qualcuno si è scandalizzato, ma Buffon non è mai stato l’emblema della sportività e resta un dipendente della Juventus che concorre alla vittoria del campionato, non ad una manifestazione benefica. Ballano milioni di Euro per la società, prestigio e premi per i suoi giocatori. Dunque perché stupirsi?

Per l’Inter è arrivata la decima sconfitta del campionato, stavolta a Napoli. I partenopei hanno controllato sempre una partita, anche quando nell’ultimo quarto d’ora sono rimasti in dieci ed hanno confermato la ritrovata forma. L’Inter, invece, è proprio nella forma fisica che appare a terra. I giocatori di Ranieri non arrivano mai prima sulla palla né si smarcano cercando di dettare il passaggio: sono fermi. Scambiano il pallone con passaggetti di pochi metri e sempre all’indietro, mai la ricerca della manovra offensiva. Perché? Perché, paralizzati dalla paura di subire, hanno paura di giocare, non avendo fiato per attaccare e rientrare, cioè per compiere le due fasi del gioco.

Ranieri ha due sostanziali problemi: la mancanza di forma fisica, dovuta alle vacanze natalizie godute mentre le altre squadre faticavano nel richiamo della preparazione; l’assenza di un qualunque schema di gioco, offensivo e difensivo. La sfortuna, poi, ci mette il resto. L’Inter, così, non è una squadra, sono 11 giocatori che vanno in campo ognuno per conto suo.

Più che il terzo posto il destino dell’Inter è quello di giocare solo in Italia per il prossimo anno e forse sarebbe il momento di schierare i giovani con due o tre innesti delle vecchie glorie, almeno per poter valutare, a fine stagione, chi è da Inter e chi no. Moratti aveva detto alla vigilia che il destino di Ranieri si sarebbe discusso dopo Napoli. Non c’è molto da discutere, pare. Dopo questa serie nera, come minimo si può dire che se Ranieri non ha particolari colpe nei problemi della squadra (ma qualcuno ce l’ha) comunque è certo che non riesce a risolverne neanche uno.

La Roma è stata schiantata a Bergamo, dove è scesa in campo senza Totti (squalificato) e De Rossi, castigato dalla società per essere arrivato in ritardo ad un allenamento. Il regolamento interno dei giallorossi lo prevede e la sua inderogabilità è stata già sperimentata da Osvaldo. Dunque complimenti alla Roma per la coerenza. La domanda semmai è un’altra: l’assenza di De Rossi significa lo sbraco della Roma? Luis Enrique, come spesso succede, c’ha messo del suo: far giocare la difesa (lenta) in prossimità del centrocampo, è altro da farla stare “alta”.

Significa esporsi al contropiede di una squadra come l’Atalanta (ben allenata da Colantuono) che nella compattezza difensiva e della velocità in attacco ha le sue due armi migliori. Serviva un filtro vero davanti alla difesa e Perrotta e Simplicio avrebbero garantito esperienza ed equilibrio maggiori. Infatti i giallorossi ne hanno beccati due in pochi minuti proprio con ripartenze immediate che scavalcavano il centrocampo sbilanciato e la difesa fuori posizione e puntavano la porta. Poi le espulsione di Osvaldo (un altro che non diventerà mai grande senza un robusto reset al carattere) é la conseguenza di un clima interno e di uno stato d’animo alterato che certo non è aiutato dall’altalena di risultati.

La Lazio, dopo le polemiche infinite tra Reja e Lotito, che hanno portato l’allenatore a dimettersi e poi a ripensarci, torna a far parlare il campo e batte per uno a zero (con il solito Klose) la Fiorentina dell’ex Delio Rossi e l’Udinese si rialza dalle ultime partite e va a battere con un sonoro 3 a 1 il Bologna. Il Siena asfalta il Palermo, rimasto in dieci dopo 70 secondi per l’espulsione di Balzaretti. Ma un rigore assai dubbio e un’espulsione forse troppo severa avrebbero piegato chiunque. Bel colpaccio del Lecce a Cagliari e vittoria utile del Chievo, mentre finisce in parità tra Genoa e Parma, in un’altra partita segnata da orrori arbitrali. Prosegue intanto lo straordinario campionato del Catania, che ha battuto 3 a 1 il Novara del catenacciaro (auto definizione ndr) Mondonico. Montella sta facendo un ottimo lavoro e forse qualcuno, a Roma, lo sta rimpiangendo tra una pausa e l’altra della decantazione del “projecto”.

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