Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di un migliaio di militari, UAV (droni) armati MQ9 Reaper, elicotteri e aerei da trasporto. Il vice segretario di Stato Kurt Campbell ha avuto un faccia a faccia a Washington con il premier nigerino Ali Mahamane Lamine Zeine, che ha ribadito la decisione sovrana del suo Paese di chiedere la partenza di tutte le forze straniere, comprese quelle americane. L’accordo prevederebbe l’invio nei prossimi giorni di una...
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di Tania Careddu

Finalmente diminuiscono. Non sono, certamente, quanti quelli del 1991, in seguito al provvedimento di amnistia - l’ultimo del dopoguerra - ma nemmeno più di sessantotto mila come nel 2010. Sarà stata la paura per la condanna da parte della Corte europea che sul punto era intervenuta nel 2013, sta di fatto che il trend crescente del numero dei detenuti presenti negli istituti penitenziari italiani ha subìto una battuta d’arresto.

Dal 2012 le riforme messe in campo e consolidate di recente sono state latrici di una situazione di minore affollamento. Che, invece, i riordini legislativi precedenti non hanno per niente agevolato. La riforma dell’Ordinamento penitenziario , nel 1994, e la preclusione all’accesso alle misure alternative, la legge Bossi-Fini sull’immigrazione, nel 2003, le leggi sulle droghe e sulla recidiva, nel 2009, hanno fatto lievitare la popolazione detenuta.

Anche se va meglio, a oggi, comunque, sono tremila e duecentotrentadue i detenuti oltre capienza massima. Vuoi perché l’area delle misure alternative al carcere, sebbene sia maggiormente applicata, non ha sostituito quella di reclusione, vuoi per la particolare condizione di tanti detenuti stranieri, i quali, nonostante ricevano un provvedimento di espulsione continuano a rimanere in carcere perché non viene eseguito (e la condizione di espulsi non consente loro di accedere ai permessi e agli altri benefici fruibili dai detenuti non extracomunitari).

Sono in calo gli stranieri: dopo l’introduzione da parte della Corte di giustizia dell’Aja della disapplicazione del reato di inottemperanza all’obbligo di espulsione del questore, sono calati al 32,6 per cento, quattro punti in meno rispetto al 2010. E però, forse perché l’Ordinamento penitenziario è stato approvato quando la loro presenza non era percentualmente significativa da giustificare un trattamento particolare, si notano ancora situazioni di grande criticità.

E non solo per loro. Visitando quaranta istituti penitenziari, gli operatori dell’Associazione Antigone hanno segnalato gravi carenze. In tema di dignità, per esempio. Mancano i beni essenziali: dall’acqua corrente potabile a Tempio Pausania al vitto insufficiente di Frosinone. Al Pagliarelli di Palermo sono obbligati a portare le maniche lunghe fino all’arrivo dell’estate, stabilito secondo l’arbitrio della direzione.

Le otto ore fuori dalla cella, previste dal ministero della Giustizia in nome della dignità, non sempre trascorrono in occupazioni dotate di senso: a Isernia le attività sono del tutto convenzionali e poco utili ai fini del reiserimento sociale. O in tema di diritto al lavoro: a parte due realtà d’eccellenza, Massa Carrara e Lodè Mamone in Sardegna, in cui lavorano all’aperto praticamente tutti i centoquaranta detenuti, al Bancale di Sassari lavorano per pochi soldi, poche ore a settimana o per pochi giorni al mese; a Enna e a Brindisi, a lavorare sono meno del 15 per cento.

Così, alla resa dei conti, a fine 2014, lavorava in carcere poco più di un quarto dei reclusi. Non va meglio sul fronte del diritto all’istruzione, fattore di emancipazione da scelte di criminalità: a Sassari Bancali non sono presenti convenzioni con istituti di istruzione superiore cosicché quelli interessati sono obbligati a chiedere il trasferimento alla casa circondariale di Alghero. A parte il caso specifico, la politica dei trasferimenti non tiene conto dei bisogni di continuità, evadendo il diritto alla territorialità della pena. Che tutelerebbe anche i legami affettivi. Il cui mantenimento è un diritto, lontanissimo dall’essere garantito per l’assenza di una modifica normativa.

Dunque, gli istituti attrezzati con aree colloquio per famiglie sono ancora in minoranza, dando luogo a file chilometriche di parenti. Una carenza che altera i (già complessi) rapporti. Di persone già vulnerabili socialmente e in condizioni psichiche molto precarie. Disagio molto diffuso tra la popolazione carceraria che richiederebbe la presa in carico (latitante) da parte dei Dipartimenti di salute mentale, per non lasciare soli gli operatori penitenziari.

Tanto per dirne una, a Tempio Pausania, lo psichiatra è presente in istituto solo per quattro ore a settimana per moltissimi detenuti. E dire che sarebbe necessario, considerato che i suicidi, in tutte le case circondariali della Penisola, sono stati ventiquattro nei primi sei mesi del 2015 su un totale di cinquantasette detenuti morti in carcere.

E poi, ritardi nelle visite specialistiche o nei ricoveri ospedalieri, mancato rispetto della privacy o della terzietà del ruolo del medico. Troppi ancora gli ergastolani, e in crescita rispetto al passato, e troppo pochi i permessi premio: in sei mesi, tre soli permessi ogni dieci detenuti. La durezza delle pene non ha nessuna efficacia deterrente. Serve una cura, per i cinquantaduemila e settecentocinquanta detenuti. E non solo per loro.

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