Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Gaza, terremoto nei campus

di Mario Lombardo

Le proteste degli studenti americani contro il genocidio palestinese a Gaza si stanno rapidamente diffondendo in molti campus universitari del paese nonostante le minacce dei politici e la repressione delle forze di polizia. Alla Columbia University di New York è in atto in particolare un’occupazione pacifica di alcuni spazi all’esterno dell’ateneo e nella giornata di lunedì i manifestanti hanno ottenuto l’appoggio dei docenti, i quali hanno sospeso le lezioni per protestare a loro volta contro l’arresto di oltre cento studenti nei giorni scorsi. Esponenti del Partito Democratico e di quello Repubblicano, così come il presidente Biden, hanno denunciato la mobilitazione, rispolverando le solite accuse di antisemitismo e a...
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di Tania Careddu

Più di dieci morti e centinaia e centinaia di braccianti (solo nell’ultimo anno), senza distinzione di nazionalità, sfruttati per far funzionare la filiera agroalimentare. Opaca e soggetta a scarsi controlli, dalla cui mancata trasparenza sono in pochi a uscirne indenni. Troppo riduttivo attribuirne le responsabilità al capolarato il quale, invece, uno dei tanti anelli della catena che permette alle aziende di comprimere i costi, è solo l’effetto della mancata trasparenza della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) e del ruolo distorto delle organizzazioni dei produttori (OP) che agiscono come moderni feudatari, dimostrando che il costo dei prodotti agricoli (vedi soprattutto arance) riduce in povertà i piccoli produttori e lascia marcire il made in Italy.

Le cause, piuttosto, sono da ricercarsi nella strutturalità del fenomeno, dal quale traggono diretto vantaggio proprio le aziende e interi settori dell’agricoltura: funzionale al sistema produttivo, lo sfruttamento è nelle mani dell’imprenditore. Di quello meno qualificato, chiuso in quel circolo vizioso tra prodotti sostituibili, scarsa qualità e innovazione inesistente, che risolve le proprie disfunzioni con l’uso di manodopera ricattabile. Evadendo tasse e contributi, l’uso degli attualissimi e abusati voucher ne è un esempio, spinge nel baratro l’intera economia, aziende virtuose comprese.

Una dinamica, frutto di un mercato selvaggio e abbandonato a se stesso, che coinvolge una lista di soggetti e pratiche: dai fornitori e subfornitori alla gestione dei trasporti delle merci dai magazzini fino alle piattaforme della grande distribuzione, dalla politica dei prezzi adottata a quella aziendale e di certificazione volte a verificare la condotta dei fornitori nei confronti dei lavoratori.

E’ l’estrema frammentarietà della produzione che non permette a nessuno di essere certo delle condizioni di lavoro e che rende difficile la ricostruzione dell’intera filiera, tenendo conto anche del fatto che produttori dai sistemi occulti e illegali agiscono fuori dal controllo delle aziende e che il settore logistico e del trasporto è caratterizzato da ampie zone d’ombra, humus favorevole alle infiltrazioni criminali.

E per effetto della crisi, secondo quanto si legge nel Rapporto Filiera Sporca. La raccolta dei rifugiati. Trasparenza di filiera e responsabilità sociale delle aziende, sul mercato vince chi fa il prezzo (spesso spia dell’illegalità) più basso e la leva su cui comprimere i costi è, da sempre, quella del lavoro.

E così, la maggior parte delle aziende opera in una zona grigia, dove l’evasione contributiva la fa da padrona: una giornata lavorativa costa circa sessant’otto euro al giorno ma a rispettare questo parametro sono in pochi; in genere, i lavoratori risultano formalmente assunti ma il compenso quotidiano scende sotto i cinquanta euro, con picchi al ribasso; le buste paga sono perfette ma i braccianti sono costretti a restituire una parte dei soldi percepiti; e ultimamente è diventata una prassi persino riprendersi i bonus Irpef di ottanta euro introdotti dall’attuale governo.

Il ricorso al lavoro nero, poi, è un meccanismo perfettamente oliato, incentivato dal sistema dei sussidi di disoccupazione: le cooperative agricole funzionano come agenzie interinali per i produttori e i commercianti ma anziché lavorare per loro, i braccianti sono utilizzati al nero da altre aziende, maturando le giornate contributive per il sussidio; al loro posto, però, nelle campagne di raccolta, le cooperative mandano forza lavoro straniera pagata a trenta centesimi a cassetta di raccolto. Totale: dieci o quindici euro al giorno.

E’ quanto succede nella zona di Mineo, territorio di aranci e centri per gli immigrati, dove richiedenti asilo non assumibili perché privi di permesso di soggiorno, sostituiscono la regolarità. E’ lì che si annida lo sfruttamento: in quelle zone grigie che nessuno riesce (vuole) tracciare.

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