di Carlo Benedetti

E’ una rumorosa e tragica campagna elettorale quella che ha preso avvio in Russia in vista delle presidenziali fissate per il 2008. Non si svolge secondo le regole classiche della dialettica politica. Volano colpi bassi in un mare di retorica. Ma, soprattutto, esplodono colpi di pistola, si alternano raffiche di kalashnikov ed attentati. Nessun dialogo a distanza, ma scontri ravvicinati tra bande rivali. Restano sul campo oligarchi e portaborse, banchieri e manager, politici e giornalisti, amministratori e membri di consigli d’amministrazione… Le parole che più ricorrono nei rapporti di polizia sono “mafia” e “massoneria”, “lobby” e “clan”. E i dibattiti che annunciano le battaglie cominciano nelle strade, nei night-club o nei ristoranti di maggior lusso per poi finire nel freddo delle stanze degli obitori. I cimiteri sono così l’ultimo palcoscenico come avviene a Mosca dove quello di “Vaganskoie” - che vede la tomba del poeta Esenin - ha già una via di croci ortodosse o di stelle di David con su scritti i nomi dei ladri e dei corrotti raggiunti dalla “giustizia” delle cosche. E' in questo mondo stravolto dalla violenza che si svolge la corsa per la presidenza del Cremlino. Qui non sono in gioco ideologie o schieramenti geopolitici. Nessuna operazione intellettuale per una eventuale trasmissione delle idee, nessun percorso politico. Nessun laboratorio sociale. La lotta all’ultimo sangue è per il bottino economico.

di Fabrizio Casari

Rafael Correa, quarantatrè anni, economista, candidato della sinistra, è il nuovo Presidente dell’Ecuador. Ha sconfitto, con quattordici punti di scarto, il candidato filostatunitense Alvaro Noboa, imprenditore agricolo dotato di scarse idee e, per giunta, confuse. Tanto gli exit-poll quanto il “conteggio rapido”, hanno confermato il sentire generale del paese andino, che senza i brogli del primo turno avrebbe avuto già da alcune settimane il suo legittimo, nuovo Presidente. Correa è l’ottavo presidente a far ingresso nel Palazzo di Carondelet a Quito. Dopo il boomerang nicaraguense, dove l’ambasciata Usa con le sue ingerenze pesanti, oltre ogni legittimità, ha contribuito alla vittoria di Daniel Ortega, anche l’Ecuador si è rivelato una pagina disastrosa per la propaganda statunitense. Ad Alvaro Noboa, infatti, non è bastato l’appoggio degli Stati Uniti: anzi, forse proprio il sostegno sfacciato offerto al “bananero”, è stato il colpo di grazia per le stesse aspirazioni statunitensi. Una volta di più gli Usa, incapaci di concepire una politica rispettosa del diritto ed improntata sulla multilateralità, hanno scelto un fantoccio locale per fermare l’onda lunga indipendentista e democratica e, nell’illusione che bastasse, si sono consegnati a quella sorta di Calderoli ecuadoriano di Noboa, che ha distribuito parole in libertà e minacce a piene mani circa il rischio di “consegnare il Paese a Chavez”.

di Lorenzo Zamponi

Un “charnego” presidente e un sesto partito non catalanista. Queste le due grosse novità del nuovo Parlamento della Generalitat eletto il 1 novembre. Sarà il socialista José Montilla, nato in Andalusia (“charnego” è un termine spregiativo per identificare i non catalani, simile all’italiano“terrone”), a guidare il secondo governo tripartito, essendo stato ufficialmente eletto dal “Parlament” venerdì 24 novembre. “Questa è la mia patria, signore e signori deputati – ha dichiarato Montilla nel suo discorso di candidatura – io non posso parlare della Catalogna dei miei antenati. Però è la Catalogna dei miei figli. E voglio che sia molto migliore ancora quella dei miei nipoti.” Tra martedì e mercoledì, dopo il complesso iter che coinvolge autorità locali, nazionali e monarchia, sarà formato il Govern destinato ad amministrare la regione più moderna e irrequieta della Spagna della cosiddetta seconda transizione. Le elezioni del 1 novembre non erano in ogni caso state il terremoto che molti aspettavano. “CiU gana pero no gobernará” titolava lo speciale de El Pais, e l'apertura dello stesso quotidiano era “Mas gana en Cataluña sin fuerza suficiente para impedir otro tripartito”.

di Daniele John Angrisani

E' così anche Walter Litvinenko, padre dell'ex agente dell'Fsb morto l'altro ieri a Londra, ha accusato il Cremlino di aver organizzato l'assassinio di suo figlio. L’unica cosa che sembra al momento sicura è che il materiale chimico usato per avvelenare l'ex spia russa sia il famigerato polonio-210. Un materialmente talmente radioattivo che persino l'autopsia del corpo di Litvinenko è stata rimandata sino a quando non saranno prese misure tali da garantire la sicurezza dei medici dell'obitorio. Nel frattempo da Gerusalemme è rimbalzata la notizia che Leonid Nevzin, ex amministratore delegato della Yukos, attualmente residente in Israele dove si è rifugiato per evitare l'arresto come il suo ex presidente, Mikhail Khodorkovsky, avrebbe rivelato al quotidiano israeliano Ha'aretz di aver incontrato l'ex agente dell'Fsb Alexander Litvinenko, morto giovedì a Londra, e di avergli passato delle informazioni riservate "potenzialmente pericolose per l'attuale dirigenza russa".

di Carlo Benedetti

L’Alleanza Atlantica, per gli Usa, è di nuovo stretta. E così Bush lancia l’operazione “Partenariato speciale” che avrà come obiettivo quello di estendere la Nato a cinque paesi: due europei (Svezia e Finlandia), due asiatici (Giappone e Corea del Sud) ed uno del Pacifico (Australia). Le convocazioni sono già state rese note ai governi interessati e l’appuntamento è fissato a Riga, capitale della Lettonia, per martedì 28 novembre. Si tratterà di un vero e proprio vertice Nato che avrà come tema centrale quello relativo all’invito ad entrare nel campo dei “Global Partners”. Sarà, con tutta probabilità, lo stesso presidente americano ad illustrare le proposte di “partenariato”. La sede lettone, comunque, sarà anche una sfida a Mosca dal momento che un vertice Nato si tiene, ora, proprio in prossimità dei confini russi.


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