di Matteo Cavallaro e Giorgio Ghiglione

Il 7 Dicembre 2006 l’agenzia Associated Press batteva le parole, mai così veritiere, di George Bush: “It’s bad in Iraq”. In Iraq la situazione è pessima. Questa dichiarazione era pressoché contemporanea alla pubblicazione del rapporto Baker, il documento bipartisan che, nei fatti, boccia la linea sin qui adottata nel gestire la guerra al terrore. Scrive infatti nelle proprie conclusione la commissione: “Nonostante uno sforzo massiccio, la stabilità in Iraq rimane un miraggio e la situazione si sta deteriorando”. Pare insomma che l’intera classe dirigente degli Stati Uniti si sia finalmente resa conto della reale gravità in cui versa il paese occupato. Forti di questa nuova consapevolezza negli Stati Uniti in molti si adoperano a pensare ad una exit strategy che permetta di salvare l’onore, il denaro e la pelle. E non necessariamente in questo ordine.

di Bianca Cerri

Sean Bell doveva sposarsi sabato 25 novembre, ma gli invitati hanno atteso invano il suo arrivo in chiesa. Del resto, l’assenza di Bell era più che giustificata, dal momento che si trovava già da ore nella sala mortuaria del “Mary Immaculate Hospital”, crivellato dai proiettili sparatigli addosso dalla polizia. Il primo dicembre, migliaia di persone hanno partecipato alla cerimonia funebre in suo onore. Nicole Paultre, la compagna di Bell e madre dei suoi due figli, che lo aveva aspettato ai piedi dell’altare senza sapere che non l’avrebbe rivisto mai più, ha seguito il corteo senza mai smettere di singhiozzare. I due si erano conosciuti in prima liceo, la loro seconda bambina era nata appena cinque mesi fa e non vedevano l’ora di sposarsi se solo ne avessero avuto il tempo. La morte di Sean Bell non è stata un incidente, ma un atto di deliberata oltre che immotivata violenza. Dopo i funerali, la comunità afro americana di Queens ha sfilato nelle strade lanciando slogans contro la brutalità della polizia.

di Carlo Benedetti

L'interscambio commerciale tra India e Cina arriverà entro il 2010 a 40 miliardi di dollari e per il 2007 scatterà un programma di turismo di massa tra questi due giganti asiatici. Si delinea una rivoluzione economica e sociale che è annunciata a Nuova Delhi dal presidente cinese Hu Jintao impegnato in una storica missione insieme al primo ministro indiano Manmohan Singh: "Cina e India - dice l’esponente di Pechino - sono Paesi in una fase di grande sviluppo e le nostre relazioni acquistano un signifi¬cato mondiale. Aumenteremo le forme di collaborazione in aree come il commercio, l'agricoltura, gli investimenti, lo sviluppo delle risorse umane e il turismo”. E questa fase di sviluppo toccherà anche i settori della diplomazia perché si apriranno nuovi consolati nei due paesi: uno indiano a Guangzhong e uno cinese a Calcutta. Intanto a questa rivoluzione annunciata si unisce anche Singapore che con le sue banche, industrie, raffinerie e cantieri navali entra in rapporto diretto con Cina ed India e l’occidente è obbligato a tener conto di questa nuova realtà geoeconomica.

di Alessandro Iacuelli


Mentre in Europa la notizia quasi non viene citata, facendola passare in sordina, l'agenzia di stampa cinese Xinhua preferisce dare ampio spazio alla novità: Cina e Francia si accordano per la cooperazione nel campo dell’energia nucleare. L’accordo è stato raggiunto lo scorso 1 dicembre durante un incontro fra il vice premier cinese Zeng Peiyan e l’inviato speciale del presidente francese e ministro dell’Economia, Finanza e Industria, Thierry Breton.
Il vice premier Zeng ha dichiarato che "la carenza di energia in Cina ha reso necessario accelerare lo sviluppo di impianti nucleari e la Francia, che possiede le tecnologie e gli equipaggiamenti più avanzati, si è dimostrata pronta alla cooperazione in questo settore." Breton gli fa eco confermando che "il governo francese prenderà iniziative concrete per accelerare la cooperazione con la Cina". In realtà si tratta di un incremento della cooperazione già in atto nel settore nucleare; infatti la Cina ha usato per la prima volta tecnologia nucleare francese nel suo impianto di Daya Bay nella provincia meridionale del Guandong e, ancora, nell’impianto nucleare di Ling’ao, nella stessa provincia.

di Carlo Benedetti

Due vertici che hanno coinvolto il mondo dell’Ovest e dell’Est si sono svolti nei giorni scorsi. A Riga, capitale della Lettonia, il 28 novembre si sono riuniti gli uomini della Nato mentre a Minsk, capitale della Bielorussia, il giorno dopo si sono ritrovati i dirigenti delle ex repubbliche sovietiche. I due appuntamenti, che si sono svolti a poca distanza quanto a collocazione geografica, hanno messo in luce – quanto a situazione geopolitica – varie realtà e tutte in trasformazione. La Nato, in primo luogo, non è riuscita a nascondere una situazione di contrasti e di scontri. Il tutto con un evidente processo che ha segnato un netto indebolimento degli schieramenti interni. E questo soprattutto per quanto concerne la questione dell’impegno militare in Afghanistan. Perché se da un lato l’organizzazione atlantica è riuscita ad ottenere altre truppe per quelle operazioni che sono già in atto nel teatro di guerra, dall’altro non è riuscita a “convincere” paesi come Italia, Spagna, Francia e Germania a fare lo stesso. L’Italia, comunque, manterrà tutte le sue truppe in Afghanistan e ''non per breve tempo'', ma contemporaneamente insisterà nel promuovere una conferenza internazionale per risolvere ''politicamente'' la crisi che sta soffocando quel Paese.


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