di Lorenzo Zamponi

Capita anche questo, nello strano mondo dell’informazione italiana. Capita che 10.000 persone riunite in un palasport a Palermo dall’Udc per una manifestazione «Integrazione e legalità nell'Europa cristiana» valgano pagina 5 di Repubblica, mentre 30.000 in piazza a Vicenza contro la nuova base militare americana siano relegate a pagina 24, dopo l’imprescindibile presa di posizione di Bertinotti sulla crisi dell’Alitalia e l’ennesimo filmato su Youtube del professore che picchia un alunno. Ci sarebbe voluto ben altro che un corteo riuscito, pacifico e determinato contro l’imposizione di una pesantissima servitù militare, per scompaginare i titoli già previsti da settimane su Berlusconi Day, Fini successore, Casini traditore. Ci sarebbero voluti scontri violenti, ad esempio, paventati nei giorni scorsi dall’amministrazione comunale di centrodestra e dai due principali quotidiani locali, Il Gazzettino e Il Giornale di Vicenza, entrambi schierati su posizioni conservatrici.

di Maurizio Coletti

Che giochi si stanno facendo sul tema della droga? Il grande scandalo suscitato dal decreto della Turco sembra mantenere strascichi e veleni: alla Commissione Sanità del Senato viene presentato un ordine del giorno che sconfessa l’operato della Ministro alla Salute. Prima firmataria, la senatrice Binetti che fa partire la macchina sulla quale salgono i senatori dell’opposizione e, “per evitare ulteriori danni” si dice, anche quelli della maggioranza. Di che tratta il decreto della Turco avevamo già detto tre settimane fa: un iniziale passo che doveva far partire l’operazione di abrogazione della legge Fini Giovanardi. Un passo timido, forse troppo isolato. Un tentativo di ridurre i danni visibili dell’infamità vigente: si permette di detenere più principio attivo di cannabis, prima di far scattare misure che possono arrivare fino al carcere. Ricordiamo, sommariamente, che le basi per giungere alle dosi stabilite dalla legge erano assai complicate ed il risultato completamente privo di supporti scientifici.

di Fabrizio Casari

La certezza di codici è sempre stata la premessa inutile delle loro diverse interpretazioni. Un reato, ad esempio, lo è sempre e comunque, indipendentemente dal ruolo di chi lo commette? A giudicare dall’inchiesta che la Procura di Roma ha aperto contro Enrico Deaglio, pare proprio di no. Il direttore di Diario, infatti, nello spazio di un interrogatorio, si è visto trasformato da “persona informata dei fatti” a persona “iscritta nel registro degli indagati”. Un tempo era conosciuta come “il porto delle nebbie”, per la sua capacità d’insabbiamento di ogni inchiesta che lambisse il potere politico. Oggi, la Procura di Roma, toglie la polvere dal fascistissimo Codice Rocco e ripropone con furore l’articolo 656, che definisce e sanziona il reato di “diffusione di notizie false, esagerate e tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico”. Pena prevista? Trecentonove euro di ammenda nel migliore dei casi, fino a tre mesi di reclusione nel peggiore.

di Elena G. Polidori


Il film di Enrico Deaglio, Uccidete la democrazia, sui presunti brogli elettorali alle elezioni politiche 2006, oltre al clamoroso successo di pubblico, ha avuto senz’altro il merito di aver aperto il vaso di Pandora dei dubbi e delle incertezze seguite alla proclamazione della vittoria dell’Unione. Dopo giorni di polemiche seguite alla proiezione del film nelle sale di Montecitorio e all’apertura di un’inchiesta da parte della Procura di Roma, sembra che ormai si sia fatta strada la convinzione che qualcosa di illecito sia davvero avvenuto nelle stanze del Viminale al momento del conteggio dei voti, ma che sia praticamente impossibile arrivare a scoprire gli artefici del brogli e i loro mandanti. La difficoltà risiede principalmente nel fatto che riuscire a dimostrare l’esistenza di un disegno golpista del centrodestra dietro i dati “anomali” delle schede bianche è, giuridicamente, un’impresa senza sbocco.
Ecco perché anche i magistrati della Procura di Roma non riconteranno le schede bianche, come era stato ipotizzato, ma si limiteranno ad ascoltare gli autori dell’inchiesta circa le informazioni in loro possesso sul procedimento di afflusso dei risultati dai seggi alle prefetture, fino al Viminale. Come vuole la tradizione, la verità su cosa accadde nella notte tra il 10 e l’11 aprile 2006 non la sapremo mai.

di Lidia Campagnano

E’ del 1999 la decisione dell’Onu di celebrare, ogni 25 novembre, la Giornata Internazionale contro le violenze alle donne. La data ricorda l’assassinio, dopo torture indicibili, di due sorelle dominicane, Minerva e Maria Teresa Mirabal, fermate dai militari del dittatore Trujillo mentre si recavano a visitare in carcere i loro cari. Probabilmente qualcuno ha scritto il numero di donne che hanno pagato lo stesso prezzo di Minerva e Maria Teresa alle tirannie del mondo, ma il problema è che quel numero finisce col confondersi con altri numeri di donne vittime di violenze diversissime per il soggetto che le compie: un militare o un marito, il vicino di casa di diversa religione o il padre di uguale religione, il dannato della Terra o il benestante europeo, il vecchio e il ragazzotto, il progressista e il fascista.


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