La guerra in Ucraina ha prodotto una conseguenza inaspettata su Mario Draghi. Lo ha privato dell’unica caratteristica che tutti, amici e avversari, gli hanno sempre riconosciuto: un certo aplomb signorile e compassato, mezzo britannico e mezzo romano-gesuitico. Dopo sette mesi di conflitto, ormai, il nostro banchiere-premier si è trasformato in ultras atlantista più realista del re e più imperialista della Casa Bianca. Non perde occasione di proporre una visione manichea del mondo che a tratti sembra addirittura ingenua, infantile, in cui dalla parte sbagliata ci sono i russi cattivi e da quella giusta gli occidentali buoni. Con l’ovvio corollario che chiunque osi mettere in discussione questo schema così elementare viene etichettato come antidemocratico e connivente col nemico.

L’operazione mediatica sui presunti soldi russi, condotta dal Dipartimento di Stato USA, fa notizia, sebbene essa sia assolutamente inventata. Distribuire 300 milioni di Dollari tra 28 Paesi diversi pensando di poterne condizionare la vita politica ed economica, è imbecillità che nemmeno la finanza creativa di Tremonti avrebbe ideato.

Del resto gli interessi politici della Russia hanno a che vedere con il consolidamento della sua cintura di sicurezza in Asia e Medio Oriente e le sue politiche di difesa si muovono precisamente negli stessi ambiti. Difficile credere che vi sia nelle redazioni italiane uno talmente idiota da pensare che a Mosca ritengano congrua la cifra di 300 milioni di Dollari per destabilizzare i paesi occidentali, eppure si scrive perchè serve alla causa. La domanda non è quindi sul perché gli USA inventano una panzana alla vigilia del voto in Italia; la vera questione è come mai la stampa italiana da spazio e persino rilancia senza un briciolo di credibilità ed affidabilità una fake news elettorale.

Le larghe intese non le vuole mai nessuno, ma alla fine si fanno. Finisce sempre così, quando non c’è alternativa. E il rischio è che anche le elezioni politiche del 25 settembre producano uno scenario del genere. Da mesi si parla di Fratelli d’Italia come d’una corazzata invincibile, destinata a fare sfaceli, addirittura a guidare una coalizione capace di ottenere i due terzi dei seggi e quindi di cambiare la Costituzione a proprio piacimento, senza passare per il referendum confermativo. Se però si guardano i sondaggi, la verità appare molto lontana da questa narrazione. Secondo numeri elaborati da Demos per Repubblica, al momento Fdi si fermerebbe sotto il 25% (al 24,6%), poco sopra il Pd (22,4%), mentre la Lega non andrebbe oltre il 12%, facendosi superare anche dal Movimento 5 Stelle (13,8%). Forza Italia dovrebbe invece accontentarsi del 7,7% e il cosiddetto Terzo Polo, a dispetto del nome, arriverebbe molto lontano dal terzo posto, non riuscendo a mettere insieme fra Azione e Italia Viva più del 6,8% dei voti.

Matteo Salvini ci ha abituato a mille sproloqui insopportabili, ma quando parla di Russia non dice assurdità. Anzi, a volte sembra il bambino della favola di Andersen che urla “il Re è nudo”, manifestando l’evidenza che gli adulti fingono di non vedere. “Le sanzioni stanno alimentando la guerra – ha detto la settimana scorsa il leader leghista – molti imprenditori mi stanno chiedendo di rivederle. Ci stanno rimettendo gli italiani e guadagnando i russi, quindi a Bruxelles c’è qualcuno che ha sbagliato i conti”. E ancora: le sanzioni “non stanno funzionando, ripensare la strategia è fondamentale per salvare posti di lavoro e imprese in Italia”.

“Il Presidente della Repubblica nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri e, su proposta di questo, i Ministri”. Dice questo l’articolo 92, comma secondo, della Costituzione italiana. Non parla di “doveri” del Capo dello Stato, anzi: quando si tratta di formare il Governo, il nostro ordinamento concede al Colle un ampio potere discrezionale. Il vincolo ovviamente c’è: alla fine l’Esecutivo deve ottenere la fiducia dal Parlamento. Ma questo non significa affatto che il Presidente della Repubblica debba per forza indicare come Presidente del Consiglio incaricato il leader del partito che ha ottenuto più voti. Se così fosse, negli anni Ottanta non sarebbero entrati a Palazzo Chigi prima il repubblicano Giovanni Spadolini (81-82), poi il socialista Bettino Craxi (83-87), che, pur governando con la Dc (la formazione di maggioranza relativa nel pentapartito), misero fine al monopolio democristiano sulla Presidenza del Consiglio. Meno che mai Monti o Draghi, mai votati.


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