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di Roberta Folatti
Impossibile riscattarsi
Nonostante le critiche quasi unanimemente positive, rimango dubbiosa sull’utilità di dare un seguito a “Happiness”. Perdona e dimentica è l’ideale continuazione di quel film ma, secondo me, non aggiunge nulla. Conferma semmai la totale assenza di speranza che caratterizzava la prima pellicola.
In definitiva dimenticare e perdonare sono azioni troppo superiori alle capacità umane. E forse anche un tantino incongrue.
Il nuovo film di Todd Solondz riprende in mano i fili delle storie raccontate in Happiness”, in particolare quelle delle tre sorelle, Joy, Trish e Helen. I personaggi sono segnati dalle esperienze vissute ma non rassegnati, sia che si ostinino a credere che bisogna guardare avanti o che pensino sia lecito dare ancora delle chance a se stessi e agli altri. Con un implacabile cinismo, che a tratti si stempera in corrosiva ironia e in pietà, il regista ricompone la sua “galleria degli orrori”. Un’umanità perdente, ormai abituata a veder naufragare le proprie illusioni, abbruttita anche nei tratti fisionomici.
Joy e Trish tentano di ricominciare (o di continuare) a vivere, una intraprendendo una nuova relazione con un uomo (finalmente) “normale”, l’altra perdonando il marito dopo aver messo distanza tra sé e lui, ma i fantasmi del passato non smettono di perseguitarle. Nel caso di Joy si materializzano acquistando vita autonoma, in quello di Trish rappresentano un ostacolo fatto di diffidenza e paure nei confronti degli uomini. Anche il buon “diavolo” che ha incontrato, finisce per confondersi ai suoi occhi con ciò che ha cercato di allontanare, e sarà lei a ferire lui e a negarsi l’ultima possibilità.
Insomma vivere significa, secondo Solondz, sopportare una serie di scherzi cinici del destino, che fanno ridere a denti stretti noi spettatori ma che non lasciano scampo. La natura umana tende al male o all’infelicità, gli errori dei padri ricadono sui figli, non esiste realmente l’opportunità di emanciparsi, di scrivere la propria storia scegliendo una strada nuova.
Perdona e dimentica (Usa, 2009)
Regia: Todd Solondz
Sceneggiatura: Todd Solondz
Cast: Allison Janney, Shirley Henderson, Michael Kenneth Williams, Ally Sheedy
Distribuzione: Archibald
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di Roberta Folatti
Da dove viene il pericolo?
La Cia descritta nell’ultimo film di Roman Polansky è decisamente inquietante, quasi alla stregua di un’associazione a delinquere... E molte le assonanze tra Adam Lang, protagonista insieme al suo ghost writer, e Tony Blair. Di Bush junior, mai nominato ma costantemente adombrato, si danno per scontate nefandezze e respondabilità.
L’uomo nell’ombra pesca a piene mani dalla recente attualità politica, concentrandosi sulla guerra al terrorismo che ha giustificato azioni assai discutibili. I buoni sono coloro che si oppongono ad un uso disinvolto della violenza, che stride con la difesa dei diritti umani e delle convenzioni internazionali. Individuarli, questi buoni, distinguendoli dai cattivi, non sembra un esercizio tanto difficile, la trama del film in fondo si srotola senza eccessivi intoppi. Certo le ambiguità ci sono, come in ogni thriller che si rispetti, ma alla fine colpevolezza e innocenza si giocano dentro un ambito piuttosto ristretto e il disvelamento finale può lasciare l’amaro in bocca. Troppo ingenuo il protagonista e sbrigativa l’ultima scena? Il sospetto è lecito...
Polansky si è attenuto alla trama del libro da cui è tratto il film, i tocchi da maestro li ha riservati all’ambientazione e all’atmosfera, sufficientemente torbida nella sua freddezza da “quartieri alti”. Una casa ultramoderna e sorvegliatissima in mezzo alla brughiera, con enormi vetrate che trasmettono inquietudine anzichè senso di protezione, alberghi semivuoti e vagamente squallidi, ville dall’aspetto perbene, fatte apposta per depistare gli ingenui.
L’ex Primo ministro inglese, interpretato da Pierce Brosnan, sceglie un luogo un tantino inadatto per scrivere in tranquillità le sue memorie, o meglio per farle scrivere al ghost writer, che fa il lavoro ma non compare. Sta nell’ombra appunto. In realtà a stare nell’ombra, minacciose, sono altre figure che non vogliono trapeli una catena di conoscenze che potrebbe far risalire alla Cia. L’organizzazione americana viene dipinta in termini molto crudi, a differenza di altre pellicole più “embedded”, nel film di Polansky ci si deve guardare da chi comunemente sta dalla parte del “Bene”.
Politicamente scorretto, almeno secondo certi canoni, ben recitato, soprattutto da Eawn McGregor, che fa l’uomo normale, l’antieroe capitato suo malgrado in una situazione più grande di lui, con ambientazioni degne di Hitchcock, quel che lascia perplessi de L’”uomo nell’ombra” forse è proprio la trama. Falsamente complicata, in realtà un poco involuta.
L’uomo nell’ombra (Francia, Germania, Gran Bretagna, 2010)
Regai: Roman Polansky
Sceneggiatura: Roman Polansky
Musica: Alexandre Desplat
Fotografia: Pawel Edelman
Scenografia: Albrecht Konrad
Cast: Ewan McGregor, Pierce Brosnan, Kim Cattral, Olivia Williams
Distribuzione: 01 Distribution
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di Roberta Folatti
Sentimenti adulti?
Non so voi, ma io trovo Meryl Streep una donna fantastica, una che sa invecchiare in modo gioioso, con classe e naturalezza. E grazie a questo “trucco” riesce a dimostrare meno anni di quelli che ha e a risultare credibile come ex moglie di Alec Baldwin (il quale al contrario non è propriamente in forma!).
E’ complicato, la nuova commedia firmata da Nancy Meyers, scorre piacevole, con picchi effervescenti, affrontando con leggerezza problemi e imbarazzi di una coppia reduce dal divorzio.
Un film di dialoghi, di situazioni spinte al limite del ridicolo ma in fondo molto comuni tra chi si lascia dopo una vita insieme. Jane, interpretata dalla Streep, si è ricostruita faticosamente un’esistenza lontano dal marito, che se n’è andato con una donna molto più giovane. Jake (Baldwin), già padre di tre figli, si ritrova pressato dalla nuova compagna che pretende da lui maggior virilità per mettere al mondo un altro bambino.
Tra i due ex la più risolta in fondo è Jane, che ha un lavoro gratificante, un ottimo rapporto coi figli e il sogno di ristrutturare casa, apportando modifiche sostanziali. Proprio grazie a questo progetto incontra un uomo, l’architetto che si occuperà dei lavori, che dimostra interesse nei suoi confronti. Interpretato da Steve Martin, Adam è serio e timido, esattamente l’opposto di Jake, l’ex marito di Jane.
Per una serie di incroci fortuiti, il personaggio incarnato dalla Streep si ritroverà al centro di un doppio corteggiamento, quello discreto di Adam e quello esuberante, chiassoso, per certi versi irresistibile di Jake, che riscopre il fascino dell’ex moglie (anche grazie a una disinibita notte di sesso) e le propone di tornare insieme. Quello di Baldwin è il personaggio più divertente, anche perché l’attore, messa su una discreta mole, è diventato davvero simpatico, come ha dimostrato anche durante la notte degli Oscar, in coppia proprio con il “rivale” Steve Martin.
Insomma il trio d’attori è praticamente perfetto e dà vita a una serie di gag autenticamente comiche, che strappano risate convinte.
Una commedia onesta, ben girata, i cui ingranaggi risultano oliati a dovere, che regala un paio d’ore di divertimento spensierato (anche se ha un retrogusto riflessivo non del tutto trascurabile). Personaggi un po’ “stagionati” che si dimostrano però capaci di provare ancora sentimenti, passioni, contraddizioni.
E’ complicato (Usa, 2009)
Regia: Nancy Meyers
Sceneggiatura: Nancy Meyers
Musiche: Heitor Pereira, Hans Zimmer
Cast: Meryl Streep, Alec Baldwin, Steve Martin, John Krasinski
Distribuzione: Universal
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di Roberta Folatti
Famiglia, regno delle incomprensioni
Il titolo originale del film si limitava al nome di una delle protagoniste, Chloe. I distributori italiani hanno aggiunto "Tra seduzione e inganno" per rendere il prodotto più “appetibile”.
In effetti di manipolazione ce n’è molta, e non solo da parte di Chloe. E’ la costruzione stessa della sceneggiatura ad ingannare lo spettatore. Il regista dissemina la narrazione di falsi indizi, che inducono convinzioni errate, sia in chi guarda che nei personaggi del film. In primis nella affascinante Julianne Moore, a torto invasa da un grande senso di insicurezza nei confronti del marito (la classica crisi dei cinquant’anni), tanto da convincersi che lui la tradisca con ogni giovane donna che incontra. Questo tarlo la spinge ad escogitare un piano piuttosto perverso per smascherarlo.
La ragazza scelta per sondare la moralità dell’uomo è Chloe che di mestiere fa la prostituta, ma è una figura molto particolare, una che prende il proprio “lavoro” con passione e creatività, quasi si trattasse di una missione. Il suo “credo” lo esprime all’inizio del film, in una sorta di prefazione che a un primo impatto suona un po’ avulsa dal resto della storia.
Con i boccoli biondi che incorniciano un viso a tratti angelico, Amanda Seyfried si insinua nella vita della ginecologa tormentata dai dubbi, scatenando una serie di eventi che nessuno riuscirà più a governare. Tra la donna più matura e la ragazza scatta una complicità morbosa, fitta di sottintesi, e il personaggio interpretato da Julianne Moore tarderà ad intuire le vere intenzioni di Chloe. L’inganno verrà alla luce quando le cose si sono già spinte troppo avanti...
Chloe. Tra seduzione e inganno è un remake del film francese “Nathalie”, anche se il regista Atom Egoyan non lo dichiara esplicitamente. La pellicola, come tutte quelle firmate dall’autore egiziano di origini armene (naturalizzato canadese), è sufficientemente disturbante, abbastanza scabrosa nell’illustrazione approfondita dell’attrazione fra due donne. Delude il finale che rimette a posto le cose in modo davvero troppo rassicurante, dopo che le carte erano state spaiate con abilità. E’ difficile capire come si passi da una situazione familiare di totale incomunicabilità alla nuova armonia, anche se il “sacrificio” di Chloe rappresenta la chiave di volta di tutta la vicenda.
Comunque la Moore è strepitosa nell’accostare il suo solito stile, sommamente femminile, ai tormenti tipici di una donna insoddisfatta, che sente di perdere seduttività nei confronti del marito.
Chloe. Tra seduzione e inganno (Canada, Usa, Francia, 2009)
Regia: Atom Egoyan
Sceneggiatura: Erin Cressida
Musiche: Mychael Danna
Cast: Julianne Moore, Amanda Seyfried, Liam Neeson, Nina Dobrev
Distribuzione: Eagle
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di Roberta Folatti
Sguardi sull’Iran
Il primo lungometraggio della videoartista e fotografa Shirin Neshat è affollato di donne, le loro vicende si snodano parallele ai drammatici avvenimenti storici che hanno preceduto la presa di potere da parte dello Scià Reza Pahlavi, con l’appoggio della Cia. C’è un doppio binario di lettura dunque, una sorta di rimando metaforico continuo, le scelte delle quattro protagoniste si riflettono sulla realtà esterna e viceversa l’affermarsi di un regime autoritario appanna progressivamente la loro gioia di vivere. Si spengono insieme alla democrazia.
Donne senza uomini ha un inizio folgorante, cielo, nubi in cammino e un volto nutrito di disperazione; per tutto il film si susseguono scene in cui le immagini comunicano sensazioni, trasmettono una energia segreta, sotteranea ma essenziale. E poi ci sono i volti delle protagoniste, ciascuna con un suo personalissimo dolore, una strada tortuosa e difficile lungo la quale ha incrociato figure maschili negative, violente, insensibili. Le donne della Neshat sono tutte in qualche modo perdenti, ferite, umiliate, maltrattate e sono lo specchio della democrazia negata in Iran.
Forse l’unico uomo realmente altruista, privo di secondi fini, del desiderio di prevaricare sulla donna, è il giardiniere della misteriosa villa in cui tre delle protagoniste si ritrovano, l’ultima accompagnata dal fantasma della quarta. Perno simbolico di tutta la storia, luogo di pace e risanamento, di una momentanea sintonia femminile. Ma tutto finisce quando la villa viene aperta al mondo esterno per una festa, la volgarità, la sopraffazione, l’opportunismo tornano a fare da padroni.
Donne senza uomini non ha una vera trama, la trama sta nelle relazioni fra i quattro personaggi femminili e fra loro e la Storia del paese. La lotta politica, le manifestazioni e la repressione che portano alla caduta di Mohammad Mossadegh, il primo presidente democraticamente eletto, avvengono lontano dall’atmosfera incantata della Villa e del suo florido giardino. Però il mondo esterno è destinato lo stesso a fare irruzione fra quelle mura, con tutta la sua violenza. Qualcuno ha accusato il film di essere troppo astratto, quasi impalpabile, in parte la sensazione di incompiutezza si avverte ma il primo lavoro della Neshat è comunque coinvolgente. Donne senza uomini ha un grande impatto visivo, è essenzialmente in questo che risiede la sua forza.
Donne senza uomini (Germania, Austria, Francia, 2009)
Regia: Shirin Neshat
Sceneggiatura: Shirin Neshat, Shoja Azari, dal romanzo «Donne senza uomini» di Shahrnush Parsipur
Fotografia: Martin Gschlacht
Cast: Pegah Ferydoni, Shabnam Tolouei, Orsi Toth, Arita Shahrzad
Distribuzione: Bim