di Agnese Licata

Ryszard Kapuściński, dopo aver trascorso una vita viaggiando da una nazione all’altra, da un continente all’altro, con la sola compagnia di una macchina fotografica, un taccuino e una penna, è morto martedì notte nella sua terra, la Polonia, in un ospedale di Varsavia. Non aveva fatto una scelta facile nella sua lunga carriera da giornalista, Kapuściński. Aveva scelto di dare voce a chi voce non ha, a quei milioni di poveri che affollano e hanno sempre affollato il Terzo Mondo. Aveva preferito essere testimone del loro dramma anonimo e silenzioso, piuttosto che parlare del ricco e invasivo Occidente. “ …i poveri, di solito, stanno zitti”, aveva scritto. “La miseria non piange, non ha voce. La miseria soffre, ma soffre in silenzio. La miseria non si ribella. I poveri insorgono solo quando sperano di poter cambiare qualcosa. Di solito si sbagliano, ma solo la speranza è capace d’indurre la gente ad agire. La principale caratteristica di un mondo perennemente in miseria è l’assenza di speranza”. E così, per raccontare eventi storici come le guerre africane d’indipendenza, la fine dell’impero sovietico, la rivoluzione iraniana, Kapuściński partiva sempre dalla gente comune, con la quale condivideva, spalla a spalla, un pezzo d’esistenza. Non era certo un frequentatore di alberghi internazionali, il giornalista polacco.

di Agnese Licata

Sceglie le parole di William Shakespeare, Nadine Gordimer. Lei, scrittrice afrikaner che nel Sud Africa dell’apartheid ha lottato a fianco dei neri e dell’African National Congress, lei sceglie un passo del “Mercante di Venezia” per parlare delle nuove generazioni di scrittori africani, di colonialismo, di un mondo in cui sempre più spesso prevale l’isolazionismo delle culture, delle religioni, delle classi sociali. “(…) sono un nero. Non ha occhi, un nero? Non ha mani, organi, statura, sensi, affetti, passioni? Non si nutre anche lui di cibo? Se lo pungete non sanguina? Non si ammala delle stesse malattie? E non si cura con le stesse medicine?… ” (monologo dell’usuraio ebreo Shylock, atto III, scena I). “I’m black”, invece della versione shakespeariana “I’m Jewish” (sono un ebreo). Così sceglie di cominciare la sua lectio magistralis questa esile ma battagliera donna bianca di ottantatre anni, arrivata a Torino da Johannesburg per un convegno sulla letteratura africana organizzato dal Premio Grinzane Cavour.

di Liliana Adamo

In "The Revenge of Gaia", l'ultimo libro dello scienziato inglese, James Lovelock, c'è un vademecum che potrà tornare utile ai superstiti dei cambiamenti climatici, quei pochi che rimarranno immuni al crollo definitivo dell'umana civiltà. Per restituirlo in modo plausibile ed efficace, lo scritto non è in forma elettronica bensì in cartaceo con inchiostro durevole. In esso sono contenute le più ardue cognizioni scientifiche accumulate in migliaia d'anni, ad esempio nozioni di fisica come la posizione della Terra nel sistema solare; biologiche come l'enumerazione delle forme più cruente, microbiche e virali, che causano malattie epidemiche. Insomma, il retaggio del nostro vissuto (per il quale abbiamo lottato e sofferto) e le tracce di un mondo che conoscevamo, un mondo che abbiamo amato ed annientato, riassunto in poche righe per rinnovare l'umana specie.

di Liliana Adamo

"La terra è stato un pianeta servizievole. Nei 200 anni trascorsi, ha assorbito più della metà di tutte le emissioni artificiali d'anidride carbonica attraverso il carbonio naturale "e lo ha affondato", principalmente nell'oceano ma anche sulla terra. Il resto delle emissioni nocive è stato lasciato nell'aria ad aggravare l'effetto serra, così da amplificare le temperature medie globali. Ma se qualcosa dovesse interferire con questo processo del carbonio utile "affondato e in un certo qual modo riadattato al ciclo naturale"? Possiamo per sempre contare su un andamento naturale per rendere questi elementi dispersori, o possono trasformarsi in fonti pericolose di carbonio atmosferico?". Ancora una volta, The Independent, è tra le rare voci che si levano contro l'inerzia; applicando una definizione meramente scientifica l'anno appena trascorso lo ripenseremmo biologicamente come l'anno in cui inizia il disgelo, la disgregazione di ghiacciai millenari e d'intere aree artiche con la conseguente distruzione di una biodiversità tanto frangibile quanto preziosa.

di Sara Nicoli

Sessantatre anni per avere un po’ di giustizia. Proclamata per colpevoli contumaci, dal valore ormai solo morale e neppure del tutto esauriente. Qualcosa di importante, però, per ribadire i valori della Resistenza sui quali è stata costruita la nostra democrazia. E sottolineare, ancora una volta, la profonda abiezione morale verso la dottrina nazista e le sue atrocità, sentimenti robusti che comunque non hanno bisogno di camere di consiglio per essere valutati. E’ finito con dieci condanne e sette assoluzioni il processo, celebrato davanti al Tribunale Militare di La Spezia, a 17 ex ufficiali nazisti, tutti ultraottantenni e contumaci, per l’eccidio di Monte Sole, o strage di Marzabotto come viene ricordata dal maggiore dei comuni colpiti, la sanguinaria rappresaglia eseguita dalle truppe naziste in Italia tra il 29 settembre e il 5 ottobre 1944, per far “tabula rasa” dei partigiani. Fra i caduti, 95 avevano meno di sedici anni, 110 ne avevano meno di dieci, 22 meno di due anni, 8 di un anno e quindici meno di un anno. Il più giovane si chiamava Walter Cardi: era nato da due settimane.


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