Sono stati sufficienti tre nomi - Santiago, Italia, Nanni Moretti – per scatenare gli zombie della politica, delle frasi ad effetto del tipo: “Un inno sobrio, emozionante e rigoroso al valore della memoria”, come ha commentato Walter Veltroni  il nuovo film (Santiago, Italia) di Nanni Moretti.

Un sound sofisticato e innovativo quello scandito dalle note vocali di Lara Iacovini che pubblica il nuovo singolo “Te l’hanno mai detto che”, in rotazione radiofonica e accompagnato da un video particolarmente suggestivo, prodotto da Stefano Centamore con la regia di Stefano De Carli, e presente su tutte le principali piattaforme digitali.

 

Lara, interprete bresciana particolarmente apprezzata nel panorama jazzistico nazionale e internazionale, è la vocalist d’eccezione del brano scritto - parole e musica - dal compositore romano Massimiliano Nudi, registrato e mixato da Stefano De Carli e Lorenzo Pedron presso il Kinematic Studio di Milano (edito e distribuito da Abeat Records). Max Nudi e Lara Iacovini hanno prodotto il brano e saranno protagonisti di una nuova produzione nella prossima primavera.

 

“Te l’hanno mai detto che”, è una sorta di inno al cambiamento, di viatico alla possibilità di mettersi sempre in discussione e di viaggiare, idealmente e concretamente, verso la migliore realizzazione di se stessi.

 

“Occorre porsi l’obiettivo di rincorrere sempre i propri sogni - afferma Max Nudi - senza omologarsi necessariamente alle convenzioni, quando queste possono rappresentare un ostacolo alla migliore espressione dei propri talenti. Nelle professioni, ma in genere nella vita, occorre ricordarsi che vale la pena di volersi bene e curarsi delle proprie vocazioni, delle proprie ambizioni, evitando di spersonalizzarsi e mettendo qualche ingrediente di intraprendenza e di rischio ragionato per “volare via” ed approdare a mete di benessere emozionale. Per vivere una vita e un tempo di qualità o, come spesso dico, a colori”.

C'è poco da stupirsi se anche alla Deutsche Islam konferenz (Dik), la conferenza dell'Islam tedesco, di qualche giorno fa, tutto il dibattito s'è incentrato sulle definizioni che da decenni alimentano la confusione, poiché gli aggettivi “moderato” ,“fondamentalista”, persino “tedesco” riferiti all’Islam, non hanno senso. 

 

In questa religione più delle altre, non esiste alcuna lettura corretta della scrittura sacra poiché tutte le conclusioni alle quali si giunge sono soltanto delle interpretazioni.  Soprattutto sulle contraddizioni, a volte evidenti, tra il Corano e gli hadith (i detti attribuiti a Maometto) su alcuni questioni base come l’apostasia, lo sterminio degli infedeli, l’inferiorità della donna.

 

Certamente ci sono i fedeli dell'Islam, come del resto quelli di altre fedi, che s'impegnano  a reinterpretare, o ignorare completamente, le parti più pericolose e assurde delle loro scritture di riferimento. Ma proprio le contraddizioni più truci sono impugnate dagli ortodossi, che ne danno in effetti l’interpretazione più coerente.

 

E' una fede faidaté come il cattolicesimo di Comunione e Liberazione o dell'Opus Dei, di cui i seguaci accettano o rigettano i precetti a seconda delle loro personali inclinazioni o convinzioni, con la pretesa di assoluta verità. Ma alla fine, se l'insidia arriva “dall'esterno” fanno quadrato anch'essi intorno alla Chiesa cattolica, come i fondamentalisti  intorno all'Islam.

 

Questa premessa è d'obbligo per meglio capire perché la catalogazione dell'Islam voluta dai liberisti e dai sostenitori della “scontro di civiltà” (quest'ultimi cari alla famiglia dei  Bush), è divenuta mainstream, con lo scopo prioritario di dissuadere e di confondere chi s'impegna a sviluppare proposte concrete per una società senza confini, ed analizza le conseguenze dei flussi migratori illimitati sulla sanità pubblica, sull'educazione, sui posti di lavoro.

 

Ne è un esempio la guerra che si è scatenata contro il Global Compact for Migration, il documento dell'Onu che stabilisce alcune linee guida nella gestione dell’immigrazione e dell’accoglienza dei richiedenti asilo sulla base delle ultime indicazioni di studiosi, operatori e funzionari. Non è vincolante, perché contiene più un approccio comprensivo che una serie di proposte concrete. Tuttavia, fra i 23 obiettivi che si pone ci sono molte norme già previste dal diritto internazionale, come “affrontare e ridurre le vulnerabilità dei migranti”, “combattere il traffico degli esseri umani”, e così via.

 

Inoltre, accanto a questi obiettivi ci sono diversi incoraggiamenti a una maggiore cooperazione fra gli Stati per gestire meglio il fenomeno migratorio, e qualche proposta più politica, come l’apertura di vie legali per l’immigrazione. I paesi europei  più interessati dai flussi migratori come Francia e Germania, hanno annunciato che firmeranno il documento. Fra i paesi europei che non lo faranno ci sono quelli tradizionalmente più ostili ai migranti come Ungheria, Polonia, Slovacchia e Austria inclusa.

 

Innanzi a tutti sul fronte del “no” ci sono gli Stati Uniti d'America. Per la cronaca anche l'Italia “non firmerà alcunché” , come ha dichiarato l'altro ieri il vice premier Matteo Salvini e, quindi, il primo ministro Conte non sarà tra i capi di Stato e di governo  che adotteranno ufficialmente  la proposta dell'Onu, l’11 dicembre prossimo a Marrakech.

 

E' giusto è sbagliato? Certamente è il momento ideale per far leva sulla confusione. I politici e il mainstream allineati con gli americani continuano ad indicare - è un esempio tra tanti - l'Arabia saudita come la culla dell'Islam moderato, ignorando o fingendo di non sapere che i sauditi hanno realizzato 18 mila e 500 raid aerei sullo Yemen, con una media di 14 bombardamenti al giorno, in larga parte finalizzati a terrorizzare la popolazione civile, provocando almeno 56 mila morti.

 

Tant'è che su quella tragedia è recentemente uscito su Foreign Policy un articolo dall’eloquente titolo: “L’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi stanno affamando gli yemeniti fino alla morte”. Del resto lo scorso settembre le Nazioni Unite hanno reso pubbliche valutazioni agghiaccianti: “Quattordici milioni di yemeniti, circa la metà della popolazione, si trovano sul baratro della fame e senza la cessazione immediata di bombardamenti e di embargo sarebbe impossibile impedire una strage di massa”.

 

A conferma che nulla non accade nulla per caso, c'è Israele, avamposto della “civiltà occidentale” nel mondo arabo, che ha instaurato rapporti sempre più stretti con le peggiori teocrazie dispotiche del Golfo, fingendo di non sapere - altro esempio tra i tanti - che il principe bin Salman, mentre “concedeva” la patente alle donne, faceva arrestare con capi di accusa assurdi “alcune fra le più note attiviste saudite dei diritti delle donne”.

 

Sono scenari poco conosciuti ai più e sui quali i grandi mezzi d'informazione glissano per rendere ancora più credibile l'immagine degli “arabi moderati” che appiccicano alle teocrazie del Golfo, demonizzando chi, nel mondo arabo, persiano e via dicendo, si ribella alle politiche imposte da Washington. Questa strategia amplificata dal mainstream che si affina ogni giorno e da anni, è nata per far sì che la gente famigliarizzi con ideologie o con volontà distruttive e lentamente si convinca che queste idee sono le sue idee. Sicché di fronte a un fatto improvviso di quelli scioccanti come lo può essere un attentato con morti e feriti la spiegazione che le masse si danno sull'accaduto è in sintonia con quello che il potere vuole.

 

Un esempio viene proprio dal muro di Berlino davanti al quale il presidente Reagan affermò che qualsiasi ostacolo alla mobilità delle persone è una minaccia per l’intera umanità. Da allora c'è stato un via libera alla circolazione dei capitali e della forza lavoro osannato dalle folle. Le quali tutto potevano immaginare ma non che la globalizzazione gestita  dagli Stati Uniti di colpo cessasse, perché così avevano  deciso i suoi gestori. Infatti il presidente, Donald Trump, annunciò il cambiamento di tendenza rispolverando il significato del muro che era stato costruito lungo il confine col Messico per lanciare la retorica anti emigranti, che è stata poi raccolta dai movimenti populisti disseminati in tutta l'Europa.

 

Questo spiega l'accanimento americano contro il Global Compact for Migration, che rischia di squassare l'Europa perché, come è specificato in un ampio e dettagliato dossier del quotidiano tedesco Die Welt, è stata proprio la Germania a svolgere un ruolo da protagonista nella stesura del Global Compact. Spiega Die Welt che l’obiettivo del Global Compact è, «immigrazione illimitata e uguali diritti per tutti. […] Il fulcro del patto Onu sull’immigrazione sta nella regolamentazione di un’immigrazione caotica di richiedenti asilo, profughi di guerra e altri migranti attraverso la legalizzazione dell’immigrazione illegale».

 

La Germania, come si detto, è stata in prima fila nella genesi dell’operazione. Lo conferma un documento del ministero degli Esteri tedesco, nel quale si ricorda che,«nel 2016 e 2017 il governo federale ha via via intensificato la sua collaborazione con le Nazioni Unite in questo ambito, svolgendo un lavoro sostanzioso insieme all’Onu nel sostegno a profughi, migranti e sfollati nei Paesi di origine, transito e arrivo». E dunque l’orgogliosa constatazione che «la Germania ha contribuito attivamente all’elaborazione di entrambi gli accordi con proposte per la stesura dei rispettivi testi».

 

Quanto basta per scatenare un think tank assordante e per molti versi, come detto, minaccioso per la stabilità della Germania, il paese trainante nella Comunità europea. Dopo l’11 dicembre, dopo Marrakech il quadro sarà ben chiaro su quello che ci si prospetta.

  

Una celebrazione genuina e intensa dei Queen, quella che il regista Bryan Singer mette in scena con Bohemian Rhapsody. Al centro la loro musica e il loro straordinario cantante, Freddie Mercury, il quale ha sfidato gli stereotipi e ha frantumato le convenzioni per diventare uno degli artisti più amati del pianeta.

 

Il film traccia la rapida ascesa della band attraverso le loro canzoni iconiche e il suono rivoluzionario. Raggiungono un successo senza eguali, ma Freddie, in una svolta inaspettata, circondato da influenze più oscure, rifugge i Queen in cerca della sua carriera da solista. Dopo aver sofferto senza la sua band,  Mercury riesce a riunirsi con i suoi compagni giusto in tempo per Live Aid.

 

Affrontando coraggiosamente la diagnosi di Aids, la rock star guida la band in una delle più grandi performance nella storia della musica rock. I Queen creano un'eredità che continua ad ispirare sognatori e amanti della musica e non, fino ai giorni nostri.

 

Non ci troviamo di fronte a un film originale o che lascia il segno, quanto piuttosto a una pellicola che mira a ripercorrere in maniera precisa ed altamente emotiva la strada percorsa dal famoso gruppo rock e dal suo frontman, senza offrire nulla di più se non una pedissequa interpretazione da parte degli attori. Ma il confronto con il vero Mercury diventa inevitabile, quanto al tempo stesso letale per il film.

 

Bohemian Rhapsody (Gran Bretagna, Usa 2018)

Regia: Bryan Singer

Sceneggiatura: Anthony McCarten

Cast: Rami Malek, Lucy Boynton, Gwilym Lee, Ben Hardy, Joseph Mazzello, Aidan Gillen, Tom Hollander, Allen Leech, and Mike Myers

Un viaggio, della speranza, della salvezza, ma anche del dolore e della violenza. È quello raccontato da Luca Sola nella mostra fotografica Stimela. Southern Africa Migration Project, curata da Lorenzo Respi, realizzata da Arci in collaborazione con All Aroud Art e promossa da Indisciplinarte e Opera Laboratori Fiorentini negli spazi del Caos centro arti opificio siri di Terni.

 

Un racconto, fatto di scatti in bianco e nero, che affronta il tema attuale delle questioni sociali, umanitarie e geopolitiche che stanno scrivendo la cronaca e la storia dell'Africa contemporanea.


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