di Michele Paris

Ottenuta l’approvazione dei piano di stimolo all’economia da 787 miliardi di dollari e annunciato il budget federale che potrebbe cambiare radicalmente il volto della società americana nel prossimo decennio, il neo-presidente Barack Obama e la sua amministrazione si apprestano ad affrontare una delle questioni più spinose della propria agenda: l’allargamento della copertura sanitaria. Lo scorso mese di febbraio, le già incerte prospettive di una riforma del sistema erano state ulteriormente ostacolate dalle dimissioni del segretario alla Salute designato Tom Daschle (ex senatore democratico e lobbista, considerato un’autorità in ambito sanitario) in seguito ad una disputa intorno al mancato pagamento di contributi fiscali per 128.000 dollari. L’annuncio del sostituto di Daschle - la governatrice del Kansas Kathleen Sebelius - e il progettato accantonamento di un fondo da 634 miliardi di dollari, raccolti dall’aumento delle tasse per i redditi più alti, promettono tuttavia di ridare nuovo vigore alla promessa di Obama di istituire un sistema di assistenza sanitaria alla portata di ogni americano.

di Eugenio Roscini Vitali

La Corte Penale Internazionale dell'Aja (CPI) ha emesso un mandato di arresto per Omar Hasan Ahmad al-Bashir, Presidente e padrone del Sudan, salito al potere il 13 ottobre 1989 con un golpe che rovesciò il primo ministro Sadiq al-Mahdi. Al-Bashir è accusato di crimini di guerra e crimini contro l’umanità, reati relativi alle vittime del Darfur morte durante gli anni del conflitto iniziato nel febbraio 2003; la Corte, che non ha imputato il leader sudanese per il reato di genocidio perché non in possesso degli elementi necessari a dimostrarlo, sceglie una posizione meno intransigente di quanto richiesto da gran parte della comunità internazionale e dalle organizzazioni per i diritti umani che, al contrario, lo ritengono responsabile di un tentativo di pulizia etnica che avrebbe puntato ad eliminare le popolazione non islamica del Darfur.

di mazzetta

In Guinea-Bissau la realtà si è occupata ancora una volta di realizzare le fantasie più estreme. La storia racconta di un lungo confronto tra il presidente e il capo dell'esercito che risaliva ai tempi della dittatura (peraltro recente, visto che la transizione a una specie di democrazia è avvenuta nel 2005) e che lo scorso fine settimana è trasceso fino alla morte dei due antichi rivali. All'assassinio del capo dell'esercito Batista Tagme Na Waie, saltato insieme alla sua auto in un attentato, i militari hanno reagito poche ore dopo uccidendo il presidente. I ribelli non sembrano aver interesse alla presa del potere, ora assunto ad interim dallo speaker del Parlamento in attesa di nuove elezioni presidenziali. L'azione è sembrata una vendetta, piuttosto che un golpe, la rappresaglia tra clan rivali che si rumoreggia si contendano anche il lucroso traffico della droga

di Eugenio Roscini Vitali

Al Pentagono è ormai dissenso aperto: c’è chi non nasconde le sue preoccupazioni sul ritiro delle truppe dall’Iraq, chi pensa che lo sforzo militare in Afghanistan potrebbe diventare eccessivo, chi è certo che l’Iran abbia le capacità è il materiale sufficiente per realizzare la bomba atomica e chi infine smentisce. A dare il via alla prima querelle dell’era Obama è l’ordigno nucleare iraniano: da una lato l’annuncio dato ai microfoni della Cnn dall’Ammiraglio Mike Mullen, comandante dello Stato Maggiore interforze degli Stati Uniti, nominato da George W. Bush a giugno del 2007: questi si dice convinto che Teheran avrebbe una quantità di uranio arricchito superiore di un terzo rispetto alle previsioni e che sarebbe già in grado di sviluppare l’ordigno. Dall’altro la rapida smentita dello stesso segretario alla Difesa, Robert Gates, uno dei ministri repubblicani confermato da Barack Obama che sul canale Nbc ha detto di essere certo che al momento l'Iran non è neanche vicino ad avere il quantitativo di uranio arricchito necessario alla costruzione di una bomba atomica e ha la questione chiuso con un lapidale “c’è ancora tempo per convincerli a tornare indietro”.

di Michele Paris

È passato quasi un anno ormai da quando la Corte Suprema degli Stati Uniti decretò lo stop alla moratoria della pena di morte, dichiarando legittimo il procedimento di esecuzione tramite iniezione letale. Dall’aprile del 2008 sono state così ben 51 le condanne eseguite in America e svariate altre decine risultano in calendario solo nelle prossime settimane. Un inaspettato contributo all’abolizione della pena di morte - per lo meno in alcuni dei 36 stati che ancora la prevedono nel proprio ordinamento giudiziario - potrebbe però giungere dall’attuale situazione economica di crisi, che sta producendo vere e proprie voragini nei bilanci di molti stati. Istruire casi nei quali viene richiesta la condanna capitale risulta infatti molto più oneroso per le finanze pubbliche rispetto ad un processo per omicidio dove la pena massima prevista sia il carcere a vita.


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