di Giuseppe Zaccagni

Non si placa la repressione e non cessa la rivolta in Myanmar. Ma Russia, India e Cina credono di vedere, nel mare “zafferano” della rivolta birmana, anche le bandiere a stelle e strisce della potenza americana. E mai come questa volta il duro giudizio geostrategico accomuna le diplomazie dei tre paesi. Ossessionati dall’espansionismo americano temendo che il sì a un’ingerenza negli affari interni di un Paese sovrano possa in futuro essere usata anche contro di loro. Come già avvenuto in Ucraina e in Georgia per la Russia, nel Pakistan per l’India e per la Cina con il Tibet. E così c’è un “no” agli americani che non è solo un grido che esce dai palazzi delle diplomazie. Fanno così ingresso nell’arena politica asiatica alcune concezioni geopolitiche che vanno ad opporsi alle idee sviluppate, nei media mondiali, sulla base di quanto avviene a Bangkok. Perché sia al Cremlino di Putin che nella capitale indiana che fu di Gandhi, che nella cittadella cinese che fu di Mao, la questione birmana è seguita sotto due aspetti. Il primo - che è poi quello più importante - riguarda la preoccupazione che si riferisce al fatto che le proteste che sconvolgono il paese asiatico siano il frutto di precise manovre di stampo americano.

di Carlo Benedetti

MOSCAQuesta è storia d’oggi, ma sembra uscita da una di quelle vecchie avventure narrate dal Disney di “Paperon dei Paperoni”. Gli ingredienti ci sono tutti. Lui, avido di denari, che accumula ricchezze: conta e riconta le sue monete d’oro. Gli altri in attesa di fargli fuori qualche spicciolo... Ed ora è la Russia dei “nuovi russi” che si ritrova in questo binario classico. Ma questa volta i ricconi e gli “altri” (i loro figli, per un totale di 70) sono tutti dalla stessa parte. Si scopre così, grazie ad una superdocumentata ed esplosiva inchiesta giornalistica locale, una nuova faccia della vita dei Vip, degli oligarchi, degli arricchiti e dei mafiosi di ogni genere che occupano la Russia post-sovietica. La rivelazione - che esce nei media di Mosca - fa scandalo ed apre gli occhi a una popolazione addormentata dall’avanzata del capitalismo selvaggio. Il documento su questa casta oligarchica - che comprende 38 nomi - viene presentato con uno schema di stampo burocratico. Simile ad una dichiarazione dei redditi: nome e cognome, ruoli, proprietà, capitale privato. Poi arrivano i figli (nome e data di nascita) con la somma che spetta ad ognuno di loro, come eredità attuale. E qui si entra nel campo “giuridico” che prevede i discendenti diretti con il primogenito destinato ad essere l’erede al trono. E che, al momento attuale, vuol dire, per i figli dei “nuovi russi” un bastimento carico di 231 miliardi di dollari.

di Elena Ferrara

Nuovi, importanti e significativi passi in avanti nelle comunità dei 10 milioni di Rom sparsi nel mondo. Ora è la volta della Bulgaria e della Russia e i settori interessati sono quelli della televisione e del teatro. Tutto comincia nella città bulgara di Vidin, nella parte nord occidentale del paese, dove vengono organizzati i primi studi di una televisione tutta Rom. Si chiama RomaTv ed è la prima emittente a carattere etnico. Ha come obiettivo quello di contribuire all’integrazione della comunità zingara nella società bulgara e nello stesso tempo cerca di sfatare molti miti di stampo negativo sui Rom che sono stati costruiti nel corso degli anni. Alle trasmissioni vengono invitati esponenti della comunità, ospiti stranieri, studiosi della storia Rom, psicologi ed esponenti della vita locale. Si cerca di far uscire dal ghetto una minoranza che è da sempre emarginata dal punto di vista mediatico e, quindi, da qualsiasi tipo di “integrazione televisiva”. Per ora il raggio d’azione dell’emittente è limitato ad alcune zone abitate prevalentemente da Rom, ma l’obiettivo generale è quello di raggiungere un pubblico sempre più vasto uscendo anche dal ristretto campo della tematica zingara. In pratica l’obiettivo degli organizzatori di questa televisione consiste nello scendere sul terreno della competitività con le altre società televisive.

di Bianca Cerri

Massimo D’Alema è ottimista: la battaglia per una moratoria universale sulle esecuzioni può essere vinta. Anche Romano Prodi, nel suo intervento davanti all’Assemblea Generale dell’Onu, ha parlato di “un futuro più giusto e privo di vendette fratricide”. In attesa di sapere cosa accadrà, l’Italia ha intanto messo definitivamente al bando la pena capitale dalla sua Costituzione. Un passo dovuto, dal momento che i paesi che aderiscono alla richiesta della moratoria hanno l’obbligo di ratificare un protocollo che prevede l’abolizione definitiva delle leggi capitali. L’impegno del governo italiano non ha tuttavia suscitato grandi entusiasmi negli Stati Uniti, dove le esecuzioni si susseguono l’una all’altra e dove il 12 settembre è addirittura ricomparsa la sedia elettrica, uno strumento che speravamo di esserci lasciato alle spalle assieme ai tanti altri orrori che hanno scandito il cammino dell’umanità. E’ stato lo stesso condannato, Daryl Holton, un reduce della guerra del Golfo che nel 1997 era stato incriminato per l’uccisione dei suoi tre figli e della loro sorellastra, a chiedere di essere giustiziato tramite elettroesecuzione. Molto probabilmente la scelta di morire nello stesso modo atroce dei condannati di cui aveva sentito parlare tante volte nei 19 anni trascorsi nel braccio della morte, era scaturita da un doloroso bisogno di espiazione.

di Eugenio Roscini Vitali

Nella Repubblica Islamica dell’Iran, da molti considerata un rigido e inscindibile monolite conservatore, l’elezione dell’ex-presidente iraniano Akbar Hashemi Rafsanjani a capo dell’Assemblea degli esperti è senza dubbio un significativo segnale di cambiamento; un duro colpo per i falchi del regime che riapre vecchie questioni e che spacca in due la gestione del potere. Il successo di Rafsanjani frena in qualche modo quel ciclo di cambiamenti che si stava sviluppando intorno a un nuovo gruppo di potere, quello dei conservatori radicali che si rifanno ai concetti chiave della mobilitazione rivoluzionaria che si fonda sull’abbinamento mostazafin/ mostakbarin (oppressi /oppressori) e che per lungo tempo è stato confuso dall’occidente con la coppia antinomia proletari/capitalisti tipica del marxismo. Rimasto a lungo lontano dai vertici che contano, perché espressione di una corrente contraria al sistema, questa rinata formazione di pensiero si è manifestata nei suoi due maggiori rappresentanti: Mahmood Ahmadinejad, portavoce della scuola laica, e l’ayatollah Messbah Yazdi, membro della componente religiosa. Nonostante le vittorie ottenute, favorite soprattutto dal sostegno della Guida Suprema, l’ayatollah Ali Khamenei, questo gruppo non è riuscito a stringere quelle alleanze che sono essenziali per sostenete una leadership duratura e si è ritrovato solo e distante dal resto della politica interna iraniana.


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