di Mazzetta

La Guerra di Natale non ha portato nessun dono alla povera Somalia e probabilmente non ne porterà che di avvelenati. L’invasione Etiope, assolutamente illegale, ma stigmatizzata solo da qualche stato islamico, non ha finora compiuto il miracolo, ma semmai ha contribuito a formare situazione paragonabile ad un Iraq in sedicesimo.Ora che è stato ammesso apertamente che l’invasione è stata voluta da Washington, non resta che tenere conto delle vittime fino a che al Dipartimento di Stato non decideranno diversamente. Ad oggi, qualche migliaio di morti nei combattimenti, più di trentamila profughi; oltre alle centinaia di morti e di feriti in un Mogadiscio che ogni giorno assomiglia sempre di più a Baghdad.Come a Baghdad, più velocemente che a Baghdad, la situazione volge allo stallo e a scenari di guerriglia permanente. Tutte le potenze interessate, UE, UA e USA, hanno chiesto insieme all’ONU un governo di unità nazionale, l’apertura di un dialogo tra il governo in provetta di Ghedi e Yusuf e la controparte dell’UIC (Unione Corti Islamiche), ma i due non ci sentono.

di Agnese Licata

Dopo il pesante attentato che a metà ottobre aveva causato oltre cento morti e 150 feriti, le Tigri per la liberazione della patria Tamil (Ltte) e le loro rivendicazioni d’indipendenza sono tornate a comparire sulle pagine dei giornali occidentali. Questa volta il bilancio non è andato oltre tre feriti (non gravi), ma la portata internazionale dell’ultimo attentato in Sri Lanka è stata anche più ampia. Ad essere colpiti questa volta, infatti, non sono stati guerriglieri, soldati o civili locali, ma un gruppo di diplomatici arrivati in elicottero nella base aerea di Batticaloa per coordinare gli aiuti ai rifugiati nella parte est del Paese, in fuga dalla guerriglia. Tra i feriti dai colpi di mortaio e dalle schegge di granata anche Pio Mariani, ambasciatore italiano nell’isola, oltre all’americano Robert Balnke e al tedesco Jurgen Weerth.

di Lidia Campagnano

Srebrenica, luglio 1995: fu genocidio. Così ha sentenziato la Corte internazionale di giustizia dell’Aja, su un’istanza presentata dalla Repubblica di Bosnia. Fu genocidio perché vennero perseguitati barbaramente e sterminati giovani, vecchi, uomini, donne e bambini, a migliaia, colpevoli di non essere serbi e dunque di occupare spazio “destinato” ai serbi dalle mosse e contromosse delle pulizie etniche (in quello stesso periodo la popolazione serba doveva abbandonare quasi tutti i quartieri di Sarajevo). Fu perpetrato dalle truppe del generale serbo-bosniaco Mladic, ma non è provato che fu l’esito di un ordine proveniente dallo Stato serbo, da Belgrado, cioè da Milosevic.

di Carlo Benedetti

Tutto, a parole, era in nome dell’amicizia. Il “campo socialista” era un terreno comune per azioni coordinate nei campi più diversi. Il Patto di Varsavia era la struttura portante di una collaborazione militare che tendeva alla unificazione degli eserciti. Il Comecon era una sorta di “mercato comune socialista” che controllava e regolava, con i diktat che giungevano dalla sede di Mosca, i rapporti economici. Il Comintern aveva lasciato spazio ad una sorta di internazionale dei partiti dei paesi socialisti. E la capitale russa, in questa rete di rapporti d’amicizia, aveva assunto un ruolo guida rivelando, anche con le forme esteriori, il carattere di una forza sopranazionale. Tanto che nella metropoli sovietica tutto stava a dimostrare che si era realizzata una unità globale.

di Elena Ferrara

Il “quartetto” - Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Onu - si riunirà il 28 febbraio a Berlino. Avrà all’ordine del giorno la definizione dei termini del confronto con il nuovo governo palestinese guidato da Ismail Ha­niyeh, l'esponente di Hamas già Pri­mo Ministro nel monocolo­re uscente. Il mini-vertice dovrebbe segnare (ancora una volta) l’impegno delle “grandi potenze” nel favorire la continuazione del dialogo tra israeliani e palestinesi, in­sieme alla riaffermazione della comu­ne volontà di arrivare alla realizzazio­ne dello Stato palestinese accanto a quello israeliano per avviare, si spera, una nuova stagione politica. A Berlino, quindi, la diplomazia mondiale si troverà di fronte ad una inedita fase di strategia politica. Tutto questo tenendo conto che nella riunione dei giorni scorsi (che si è svolta a Tel Aviv) tra il primo ministro israeliano Ehud Ol­mert, il Presidente dell’Autorità pale­stinese (Ap) Abu Mazen e il Segreta­rio di Stato Usa Condoleezza Rice si è comunemente ribadito che “uno Stato palestinese non può nascere dalla violenza e dal terrore”.


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