di Eugenio Roscini Vitali

Il 24 agosto scorso, la Corte Suprema di Islamabad ha autorizzato l’ex primo ministro Nawaz Sharif, attualmente in esilio in Arabia Saudita, a tornare in Pakistan. La notizia, accolta favorevolmente dall’opposizione, crea non pochi problemi al presidente Pervez Musharraf, pressato dall’opposizione e dal terrorismo islamico, dai fatti della Moschea Rossa di Islamabad alla azioni di guerriglia organizzare lungo la frontiera nord occidentale dalle popolazioni tribali e dai gruppi legati ad al-Qaeda. Per Musharraf, ideatore del colpo di stato che il 12 ottobre 1999 rovesciò il governo Sharif, la sentenza arriva in un momento difficile; un provvedimento sul quale non si è ancora espresso pubblicamente ma al quale si sta preparando a rispondere mettendo in campo un’alleanza di peso: quella con l’ex premier Benazir Bhutto. Diretta dai vertici della Casa Bianca, l’operazione politica tenta di ridare stabilità ad un Paese dilaniato da mille problemi, affiancando ad un leader sempre più isolato una figura di spicco che in Patria è ancora molto amata.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Sembra di essere tornati a quel tempo della storia russa definito come smutnoe vremja, periodo dei torbidi. Allora si era in una situazione di anarchia assoluta che segnava la fine della dinastia dei Rurik del 1568 e annunciava l’arrivo di quella dei Romanov del 1613. Ora il caos soffia proprio nel momento in cui la Russia post-sovietica si accinge ad avviare una nuova campagna elettorale che dovrebbe portare al cambio del Presidente. Ed è appunto nel pieno di questa “competizione” che torna ad esplodere quel “caso Politkovskaja” (la giornalista moscovita uccisa il 7 ottobre 2006) che tiene in tensione una società dove si susseguono avvenimenti non facilmente decifrabili. Con una dialettica tutta interna al vertice, tra il grigiore degli apparati, l’arroganza degli oligarchi, la forza delle lobby e l’irruzione nella scena dei servizi dell’intelligence come avvenuto con l’uccisione a Londra dell’ex agente del Kgb, Litvinenko. Schegge impazzite o ritorni di fiamma? La cronaca di questi giorni, sbatte in prima pagina la realtà che esce dai mattinali di polizia. Veniamo informati che scattano le manette per sette ceceni e per tre ex poliziotti ed agenti dei servizi segreti. Un classico.

di Elena Ferrara

Si apre nell’etere una nuova pagina di guerra fredda - asiatica - con gli indipendentisti di Taiwan che vogliono far sentire la loro voce ai comunisti di Pechino e agli ascoltatori di mezzo mondo. Il programma d’attacco - dopo anni di supremazia incontrastata inglese ed americana - prevede la realizzazione di un canale internazionale tv capace di raggiungere l’intero paese (36.202 chilometri quadrati con una popolazione di 22 milioni di abitanti) per inserisi poi nella rete dei grandi network. La partenza è prevista entro un anno con un palinsesto di sei ore di notiziari ogni giorno, in inglese e cinese. L’intera operazione - come ha reso noto il ministro dell’Informazione Shieh Jhy-wey - è già stata vagliata dal governo anche nei dettagli finanziari: costerà 61 milioni di dollari. L’obiettivo, ovviamente, è estremamente ambizioso perchè fino ad oggi Taiwan dispone di un solo programma tv, via cavo, che trasmette in inglese solo di notte. Ora uscendo dai confini dell’isola la nuova emittente punterà a far conoscere e difendere i suoi punti di vista sulle maggiori questioni nazionali e mondiali. Raggiungerà, pertanto, anche i cinesi del continente. E così Pechino si troverà a fare i conti con una voce alternativa da non sottovalutare. Tenendo conto che la nuova formazione politica - che dirige oggi Taiwan - è riuscita a far superare all’intera popolazione quella fase di stallo in cui era venuta a trovarsi in seguito al dominio del vecchio “Partito nazionalista”.

di mazzetta

Abdullah Gul è il nuovo presidente della repubblica turca. La sua elezione è stata salutata con favore dall’Unione Europea e dagli Stati Uniti, ma rimane discussa in patria. Gul doveva diventare presidente già la primavera scorsa, ma l’insorgere dei nazionalisti contro un candidato troppo “islamico” per essere accettato dai nazionalisti dette vita prima ad una dura opposizione parlamentare e infine ad un pronunciamento bellicoso da parte della casta militare. Gul non incarna certo la figura del musulmano estremista e fanatico, è stato a lungo ministro degli esteri negli anni scorsi, durante i quali non ha minimamente creato motivi di attrito con i principali partner della Turchia e nemmeno con gli USA impegnati nella War on Terror. Stante la feroce opposizione dei militari, il premier Erdogan ha preferito andare alle elezioni e non percorrere fino in fondo la strada che avrebbe portato ad eleggere Gul in primavera con la maggioranza semplice alla terza votazione. Elezioni nelle quali il suo partito, l’AKP, ha raccolto il 47% dei consensi e si è riconfermato maggioranza di governo. A questo punto, esperite le votazioni a maggioranza qualificata dei due terzi, Gul è stato eletto a maggioranza semplice, ma con il conforto di un voto elettorale incentrato proprio sulla decisione di farlo salire alla massima carica dello Stato.

di Carlo Benedetti

MOSCA. La guerra, la tragedia, i morti, l’occupazione, la distruzione sistematica di una comunità, i pogrom, gli scontri etnici e religiosi. Tutto - direttamente o indirettamente - va sul conto della Nato, che ha scatenato il conflitto contro la Jugoslavia (per metterne in carcere il capo, Milosevic) e per fingere poi di salvare il Kosovo e le sue genti. E’ stato ed è un grande bluff, epocale, vergognoso, assurdo. Con un occidente in veste di aiutante di campo di una America sempre più arrogante perchè certa di rappresentare il verbo della libertà e della democrazia. Ed ora - mentre si avvicina il momento della verità per l’intera regione a cavallo tra Belgrado e Tirana - cominciano a chiarirsi le varie posizioni in vista di quelle elezioni politiche, che dovrebbero svolgersi nel novembre prossimo in tutto il Kosovo, concludendo così, almeno sulla carta, quel negoziato di 120 giorni svolto dalla cosiddetta “trojka” composta dagli uomini dell’Unione Europea, degli Usa e della Russia. Come sempre, la vicenda del “contenzioso” verrà condensata nelle righe di un freddo e burocratico documento che il 10 dicembre troverà posto nella scrivania del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki Moon. Dal testo di questo rapporto notarile scompariranno, ovviamente, le vicende reali di un paese distrutto e sconvolto. Prevarrà la norma della correttezza tipica delle cancellerie ministeriali e si cercherà di non offendere o chiamare in causa i boia che hanno tutti cognomi a stelle e strisce.


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