di Matteo Ghiglione e Giorgio Cavallaro

Strano destino quello dell’intervento militare in Afghanistan. La missione, che era stata creata in un clima di profondo consenso da parte dei paesi occidentali, arriva al suo sesto anno dilaniata da una profonda crisi. Per capire quanto grave sia il problema basta dare una occhiata alle parole del segretario Jaap de Hoop Scheffer: "Tutti sono consapevoli degli enormi progressi che sono stati fatti negli ultimi anni, ma si può fare di più e si deve fare di più". Detto in parole semplici: l’alleanza non riesce ad avanzare nella sua offensiva anti-talebana, anzi questi sono ogni giorno più forti. Scheffer ha chiesto ai paesi impegnati di aumentare il loro sforzo, inviando nuove truppe o permettendo l’utilizzo in zone di combattimento di quelle già dislocate. Il problema è che alcuni stati rifiutano di inserirsi in zone di guerra. Il vertice di Riga, del Novembre 2006, stabiliva un precario compromesso fra combattenti come USA o Gran Bretagna e i dislocati in aree pacificate come Italia, Germania e Francia. In vista della primavera, e quindi di una offensiva, il ministro della Difesa USA ha proposto di rivedere l’accordo in modo da far sì che tutte le truppe in Afghanistan combattano senza che vi siano “situazioni eccezionali”. E senza la necessità di ricorrere ogni volta all’autorizzazione dei governi nazionali.

di Daniele John Angrisani

La prima settimana di passione del Congresso americano sulla questione irachena è finita, come ci si attendeva, con l'approvazione da parte della Camera dei Rappresentanti - 246 voti a favore e 182 contrari alla fine di una discussione molto animata - della risoluzione che boccia la richiesta di aumento delle truppe in Iraq. Un atto non vincolante, ma allo stesso tempo di forte valenza politica. Il Senato non è invece riuscito ad approvare la medesima risoluzione, per una questione procedurale che ha consentito ai repubblicani di bloccare la mozione, nonostante ieri 56 senatori abbiano votato a favore e 34 contro. Questo perché il regolamento del Senato USA, per proteggere i diritti della minoranza, da spesso facoltà all'opposizione di bloccare la discussione ed il voto su una risoluzione, a meno che non vi sia il voto qualificato di almeno 60 senatori su 100, a favore dello sblocco e del passaggio della risoluzione stessa per il voto definitivo nell’aula del Senato, cosa che in questo caso non è avvenuta.

di Bianca Cerri

Va bene lavorare come schiave per una paga da fame, senza assicurazione e senza assistenza. Passi pure che le ore di straordinario non vengono retribuite e che la pensione resta un’utopia. Ma essere discriminate e molestate sessualmente proprio non va giù al milione e duecentomila lavoratrici di Wal Mart, gigante della vendita al dettaglio, che hanno deciso di intraprendere una “class action”, ovvero un’azione legale collettiva per presunti danneggiamenti. Sono stanche di essere derise e sfruttate dalla famiglia più ricca d’America e per questo hanno deciso di passare ai fatti nella speranza di recuperare la dignità e i mancati diritti economici. Ma già che ci siamo, come fece Sam Walton, padre dell’attuale catena di grandi magazzini, ad arricchirsi? Facile: sposò Helen Robson, figlia di un uomo danaroso che gli prestò i soldi per realizzare il primo mega-emporio dell’Arkansas, un’idea di cui Walton si era appropriato rubandola di sana pianta ad un amico. Era il 1962 e la paga dei commessi non superava i 60 centesimi l’ora, molto al di sotto dei minimi salariali previsti. Per non avere noie, Walton assunse John Tate, suo buon amico nonché avvocato conosciuto come una vera bestia nera dei sindacati. Iniziò così il culto di Mr. Sam, la cui filosofia imprenditoriale consisteva nell’applicare prezzi più bassi della concorrenza al fine di accaparrarsi i clienti farà della Wal Mart una delle prime imprese mondiali oltre che immagine stessa dell’America.

di Matteo Cavallaro e Giorgio Ghiglione

Il 22 Aprile 2007, i cittadini francesi saranno chiamati alle urne: per la nona volta dalla nascita della Quinta Repubblica, dovranno eleggere un nuovo Presidente. Nel caso molto probabile in cui nessuno dei candidati raggiunga la maggioranza assoluta dei consensi, si terrà il 6 maggio un secondo turno tra i due più votati. Poco più di un mese dopo, il 10 e il 17 Giugno, i cittadini di Francia dovranno invece esprimersi sul rinnovo dell'organo legislativo, il Parlamento. Visti i particolare rapporti che esistono tra Presidente, Primo Ministro e Parlamento, entrambe le elezioni hanno un valore politico reale e non solo formale. Questi cinque anni del secondo mandato Chirac hanno visto eventi di particolare rilevanza nella storia francese e non. A partire dall'arrivo al ballottaggio di Jean-Marie Le Pen e la conseguente rottura del bipolarismo tipico della Quinta Repubblica, per arrivare all'incendio delle banlieu e alle contestazioni del CPE. Nell'ultimo scorcio del suo mandato si è visto lo scontro fra il suo delfino De Villepin e Nicholas Sarkozy che ha determinato la vittoria di quest'ultimo, attuale candidato gollista.

di mazzetta

La tradizionale campagna militare primaverile si è aperta in anticipo in Afghanistan. Ogni anno, ormai da secoli, chi invade l’Afghanistan sa che con il disgelo riprendono le attività dei guerrieri afgani. che sia stato per effetto del “global warming” o per impazienza, l’anticipo dell’apertura della stagione bellica è stato una sorpresa solo per le NATO e per il comando americano. Mentre il segretario dell’alleanza atlantica De Joop dice che “spezzeremo le reni” agli afgani cattivi, i comandi americani chiedono più uomini e mezzi. Non per resistere, dicono loro, ma per sferrare una “offensiva” decisiva. La situazione nel paese è chiaramente giunta allo stallo e nessuna grande battaglia potrà risolvere l realtà sul campo. Da una parte ci sono le forze alleate che non possono essere cacciate, dall’altra c’è un’alleanza afgana allargata che non può essere spazzata via in campo aperto. In mezzo una popolazione per la quale la vita è sempre difficile e il panorama è sempre più punteggiato dai burka.


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