di Carlo Benedetti

Tutto, a parole, era in nome dell’amicizia. Il “campo socialista” era un terreno comune per azioni coordinate nei campi più diversi. Il Patto di Varsavia era la struttura portante di una collaborazione militare che tendeva alla unificazione degli eserciti. Il Comecon era una sorta di “mercato comune socialista” che controllava e regolava, con i diktat che giungevano dalla sede di Mosca, i rapporti economici. Il Comintern aveva lasciato spazio ad una sorta di internazionale dei partiti dei paesi socialisti. E la capitale russa, in questa rete di rapporti d’amicizia, aveva assunto un ruolo guida rivelando, anche con le forme esteriori, il carattere di una forza sopranazionale. Tanto che nella metropoli sovietica tutto stava a dimostrare che si era realizzata una unità globale.

di Elena Ferrara

Il “quartetto” - Stati Uniti, Unione Europea, Russia e Onu - si riunirà il 28 febbraio a Berlino. Avrà all’ordine del giorno la definizione dei termini del confronto con il nuovo governo palestinese guidato da Ismail Ha­niyeh, l'esponente di Hamas già Pri­mo Ministro nel monocolo­re uscente. Il mini-vertice dovrebbe segnare (ancora una volta) l’impegno delle “grandi potenze” nel favorire la continuazione del dialogo tra israeliani e palestinesi, in­sieme alla riaffermazione della comu­ne volontà di arrivare alla realizzazio­ne dello Stato palestinese accanto a quello israeliano per avviare, si spera, una nuova stagione politica. A Berlino, quindi, la diplomazia mondiale si troverà di fronte ad una inedita fase di strategia politica. Tutto questo tenendo conto che nella riunione dei giorni scorsi (che si è svolta a Tel Aviv) tra il primo ministro israeliano Ehud Ol­mert, il Presidente dell’Autorità pale­stinese (Ap) Abu Mazen e il Segreta­rio di Stato Usa Condoleezza Rice si è comunemente ribadito che “uno Stato palestinese non può nascere dalla violenza e dal terrore”.

di Carlo Benedetti

Due volte con il polacco Karol Woityla - Giovanni Paolo II - con un faccia-a-faccia tutto in lingua russa. Ora sarà la prima volta con il tedesco Joseph Ratzinger - Benedetto XVI – e anche in questo caso non ci sarà bisogno dell’interprete. Perché Vladimir Putin – presidente russo – negli anni in cui serviva il Kgb nella Rdt, si era ben organizzato parlando esclusivamente tedesco. Ed eccolo ora alla nuova prova del dialogo tra Russia e Vaticano. Perché l’annuncio della sua visita Oltretevere – pur se non ancora ufficiale – è già dominio delle diplomazie. Arriverà in Italia il 13 marzo, incontrerà il presidente Napolitano, il premier Prodi e poi si trasferirà in Vaticano per dare il via ad un dialogo con il Papa. E sarà, questo, il momento più significativo della missione che dovrà contribuire – con ragionevolezza e moderazione – a creare le condizioni per un compromesso tra la Chiesa ortodossa e il Vaticano.

di Giuseppe Zaccagni

Sembra superato lo stallo dei colloqui tra Pyongyang e Seul: sarà per i risultati ottenuti al recente vertice di Pechino sul nucleare, oppure per il clima che si sta creando in vista del compleanno del leader del Nord, ma il fatto è che si annuncia ora la ripresa dei contatti ufficiali fra i due paesi. Le delegazioni governative si incontreranno infatti nella capitale nordista dal 27 febbraio al 2 marzo. L’agenda del vertice è già stata fissata con una riunione preparatoria, che si è svolta nella città di frontiera di Kaesong, situata a nord del 38° e nota per essere una zona economica speciale. Distensione, quindi, su quella linea segnata dal famoso parallelo, ultimo baluardo “caldo” della guerra fredda? Distensione, ma non soluzione. La strada è ancora lunga e gli uomini del Nord hanno una linea di condotta che, certamente, non facilita i processi di avvicinamento. Resta un contenzioso epocale segnato dallo scetticismo. Perché il Nord parla di riunificazione delle due realtà nazionali, ma prevede che il processo debba svolgersi secondo le regole dettate dal governo di Pyongyang sempre più prigioniero di un labirinto economico di cui non riesce a liberarsi.

di Giuseppe Zaccagni

E’ in stato di continua contraddizione fra la retorica dei propri obiettivi e la realtà dei fatti. Non accetta le condizioni del cambiamento e non accenna ad esami di coscienza. E si rivela sempre più un leader con i denti d’acciaio e una volontà di ferro. Temuto in patria e all’estero. Eccolo, quindi, questo Mahmud Ahmadine¬jad impegnato ancora una volta a rispedire al mittente - l’Onu - l’ultimatum che gli era stato dato. Perché la sua risposta è che l’Iran continuerà nel suo programma nucleare (l’arricchimento dell’uranio), anche se dovesse “rinunciare a qualsiasi altro progetto per i prossimi dieci anni”. Così a Teheran vince il fronte della fermezza con gli esperti che ribadiscono che l’Iran ha fatto, in queste ultime ore, nuovi ed importanti passi avanti nel suo programma sul combustibile nucleare. Quindi: nessuna interruzione. Al contrario: successi e progressi.


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