di Mariavittoria Orsolato

Sono ormai quattro mesi che la sedia vacante del presidente della Commissione di Vigilanza parlamentare Rai rimane vuota. Da quattro mesi il nome ci sarebbe, quello del parlamentare IdV Leoluca Orlando, ma i continui dinieghi della maggioranza stanno facendo slittare la nomina, intasando i lavori della commissione che dovrebbe vigilare sulla trasparenza e la correttezza di viale Mazzini. La questione non ha nulla di istituzionale ma, al contrario, ha una dimensione sfacciatamente politica: il Governo e la maggioranza tutta osteggiano apertamente il candidato proposto dall’opposizione, in nome di una non precisata par-condicio e disertano in modo sistematico le votazioni alle Camere, facendo decadere così il numero legale necessario alla validità del responso. Il celeberrimo ex sindaco della Palermo antimafia non sarebbe idoneo alla carica di presidente della commissione in quanto esponente del partito di Di Pietro, riconosciuto denigratore delle Istituzioni.

di Mariavittoria Orsolato

Quattro anni e infinite querèlles dopo, l’epopea vicentina dell’aeroporto Dal Molin e dei suoi oppositori sembra destinata a chiudersi con un nulla di fatto. Lo scorso martedì l’area della discordia è stata infatti formalmente ceduta all’esercito americano per mano del commissario di Governo Paolo Costa, un gesto che in molti avevano definito prevaricante e avventato, in vista del referendum consultativo previsto per domenica e soprattutto in attesa del pronunciamento - in calendario per il prossimo 8 ottobre - del Tar veneto, lo stesso che lo scorso giugno aveva dato lo stop al progetto di ampliamento dopo aver verificato “irregolarità procedurali ed errate valutazioni ambientali”. I pochi vicentini che ancora speravano di far valere la loro voce in capitolo hanno però dovuto rassegnarsi davanti al Consiglio di Stato che giovedì ha decretato l’inammissibilità del referendum promosso dalla giunta targata Pd. In breve, il quesito referendario chiedeva ai cittadini di Vicenza di giudicare positivamente o meno la volontà del Comune di acquistare la zona demaniale destinata all’ampliamento della caserma Ederle, in modo da restituirla alla collettività.

di mazzetta

Decine di migliaia di ricercatori precari non vedranno il rinnovo dei contratti, gli aspiranti insegnanti impegnati nelle SSIS sono stati messi alla porta senza tanti complimenti bruciando completamente il loro investimento formativo, gli altri precari addetti all'istruzione pubblica saranno licenziati per non correre il rischio di doverli assumere. Tagli alle risorse finanziarie, tagli alle ore d'insegnamento, talmente selvaggi e così poco meditati che ieri si è scoperto che non sono nemmeno previsti fondi per coprire l'aumento delle ore in carico ai nuovi “maestri unici”. “Bisogna risparmiare per pagare meglio gli insegnanti”, dice mentre annuncia la creazione di un sistema di valutazione esterno degli insegnanti affidato a privati, forse amici, sicuramente esosi. Va in onda, a reti unificate, lo smantellamento della formazione basata sui principi costituzionali di universalità nell’accesso.

di Agnese Licata

La pioggia sembravano quasi non sentirla, le migliaia di manifestanti che, ancora una volta, sabato scorso sono scese in piazza per ribadire che a Vicenza, la città del Palladio, o in qualsiasi altra città, non c’è posto e non ci sarà mai posto per una base militare da 440mila metri quadrati, men che meno americana. Il presidio permanente “No Dal Molin” ha alle spalle, ormai, due anni di lotte. Eppure, non basta il tempo che passa a logorare la volontà di chi abita qui e di chi viene da tutto il Nord Italia per portare il proprio sostegno. Anzi. La conquista fondamentale, ossia il diniego dell’accordo orale Usa-governo italiano per la cessione di un pezzo di territorio, non è ancora arrivato, ma passi avanti se ne sono fatti e non da poco, se si considera che in ballo c’è uno dei punti più incontestabili dalla politica italiana (di destra come di sinistra): la succube collaborazione con la Casa Bianca.

di Giovanni Cecini

C’era una volta l’MSI, movimento ispirato alle tradizioni e ai valori della sconfitta Repubblica Sociale. C’era una volta Giorgio Almirante, Pino Romualdi e Arturo Michelini, tutti esponenti con un pedigree “democratico” e “liberale”. Il primo era stato segretario di redazione del periodico antisemita “La difesa della razza” e alto dirigente del ministero della Cultura Popolare a Salò, gli altri due, tra i vari incarichi e mansioni, erano stati designati anche vice-segretari del partito fascista repubblichino. In barba allo spirito della Repubblica Italiana e al dettato successivo della Costituzione democratica, nel 1946, a differenza degli omologhi di Vichy processati e condannati, essi costituirono un movimento, chiaramente figlio dell’esperienza fascista, in particolar modo di quella più controversa e più meschina, quella del periodo 1943-45 in cui Mussolini, dopo venti anni di regime totalitario, consegnò la politica italiana ai nazisti e si rese quindi responsabile dei loro peggiori crimini.


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