di Maura Cossutta

A Chianciano sembra già tutto deciso. Eppure le attese continuano a essere tante, che succeda davvero qualcosa di importante, che arrivino risposte, che venga indicata la strada. Un popolo di sinistra che aspetta l'ultima chance, quasi un deus ex machina che cambi finalmente i destini. Ma gli attori di questa moderna tragedia greca paiono recitare altri copioni, già visti, già noti. Le mozioni discusse e votate nei congressi territoriali sono state cinque: sembrerebbe essere stata, questo, una prova di volontà di chiarezza, per nominare in modo trasparente distinzioni sostanziali, per una discussione politica senza infingimenti. Ma tutto appare molto più prosaico, il solito schema della conta e delle percentuali dei voti, da far pesare dopo, nel congresso nazionale, da usare nella contrattazione finale. Mozioni diverse per impedire la scelta più importante per un partito, quella della sua linea politica.

di Giovanni Gnazzi


La favola della settimana scorsa, per la quale in cinquantotto giorni il governo Berlusconi avrebbe rimosso la spazzatura da Napoli, è apparsa ai più come l’ennesima boutade del Premier. Non solo perché la spazzatura non è stata eliminata, bensì spostata di qualche chilometro, ma anche perché il Presidente del Consiglio non ha perso l’ennesima occasione per rivendicare a sé ogni merito e agli avversari ogni demerito. E’ parte del personaggio, niente di nuovo, anzi tutto già visto, persino per chi proprio non voleva e non vuole vedere. Perché quando si dipinge come una icona del buongoverno, definendosi a metà strada tra Churcill e De Gaulle o descrive Mara Carfagna come una nuova Santa Maria Goretti, si può anche pensare all’edizione di mezza sera del Bagaglino, ma quando esce dal suo mondo fantastico per entrare nel nostro, molto meno dorato, c’è da preoccuparsi. Infatti, che ci si sia creduto o no, le promesse elettorali di Silvio Berlusconi in tema di economia si sono rivelate quello che erano: illusionismo mediatico. La crisi economica italiana, che seppure non risente come in altri Paesi del crack sui mutui, ma che è indubbiamente più grave in considerazione della particolarità del nostro debito pubblico, sta misurando i suoi livelli più acuti proprio da quando il governo Berlusconi si è insediato a Palazzo Chigi.

di Saverio Monno

Al termine di un finesettimana a dir poco frenetico, Verdi e Comunisti italiani hanno chiuso i rispettivi congressi nazionali. A Chianciano, gli stati generali del sole che ride hanno conferito la reggenza a Grazia Francescato, che con oltre il 60% delle preferenze riuscita ad avere la meglio sull’ex deputato Marco Boato e su Fabio Roggiolani, leader dei Verdi in Toscana e presentatore della mozione “Progetto Ecologista e Federalista”. La votazione, a scrutinio segreto, ha chiuso una tre giorni di tensioni, attese e recriminazioni. Ad appoggiare la presidentessa storica dei Verdi è statai, l’anima più radicale del partito; dallo stesso Pecoraro Scanio, che è spuntato a giochi fatti, tra i fischi, “solo” per la “benedizione”, ai vari Paolo Cento, Loredana de Petris, Gianfranco Bettin e Angelo Bonelli (molto fischiato anche lui). “Una vittoria – denuncia Boato – all'insegna di uno sfrontato continuativismo, che vede prevalere le ragioni di un gruppo dirigente già artefice della disfatta elettorale”. Un mandato “ponte”, quello della Francescato, che dovrebbe consentire al partito di restare a galla almeno sino alle prossime Europee, cercando magari di riaprire il dialogo con l’ala riformista degli ambientalisti, già approdati nel Pd, badando poi a non indispettire troppo Pdci e Rifondazione, perché non si sa mai…Nel frattempo, “non chiamateci più quelli del no – ha avvertito la neoportavoce nazionale – noi diciamo alcuni no, non ideologici, ma sacrosanti, e tanti sì vitali”.

di Mariavittoria Orsolato


Che Umberto Bossi non fosse pronto alla morte ove l’Italia chiamasse lo sapevamo già da un pezzo. Sapevamo anche che il Senatùr quando va in Veneto ad arringare i suoi serenissimi padani, dà il meglio di sé: come quando, col suo immancabile fazzoletto verde, chiese ai fedelissimi del Carroccio di imbracciare fucili, schioppi e scacciacani per una versione riveduta e corretta della marcia su Roma o come quella volta a Venezia - c’è da dire, memorabile - in cui apostrofò una signora che aveva coraggiosamente esposto il tricolore, dicendole che con quella bandiera ci si poteva pure pulire il culo. E scusate la volgarità, ma è di Bossi che stiamo parlando e non si può andare fuori contesto. La scorsa domenica le ire e le frustrazioni secessioniste del leader della Lega e - non dimentichiamolo - Ministro delle Riforme, sono state monopolizzate dall’inno di Mameli: durante l’annuale congresso della Liga Veneta, tenutosi a Padova, il Bossi Furioso se l’è presa con il settimo verso del nostro - ammettiamolo - sgangherato inno nazionale alzando elegantemente il dito medio e aggiungendo: “Dice che siamo schiavi di Roma, toh!”. Peccato che nell’inno nazionale l’unica schiava di Roma (ladrona?) fosse la vittoria, ma nessuno degli scalmanati presenti in sala gliel’ha fatto notare.


di Fabrizio Casari

Dialogo. Meglio non chiedersi cosa significhi concretamente; basti solo sapere che risulta il termine più usato in questa afosa stagione della politica. Il dialogo, per principio, è un rapporto fondato su un reciproco interesse. Ora, che il governo abbia bisogno di dialogare con l’opposizione è persino ovvio. Per quanto ampio sia il margine del suo consenso, difficile che si sia disposti a proporre al Paese un piano di purghe generalizzato senza condividerne il peso con l'opposizione. Il risultato auspicato, fin troppo facile prevederlo, é di corresponsabilizzare l’opposizione stessa nei riverberi negativi delle riforme, mentre ci si gode appieno l’aspetto utilitaristico a tutto vantaggio della ulteriore sedimentazione della propria maggioranza, che coincide con quella della propria prospettiva politica. Quello che sfugge, invece, è l’utilità del suddetto dialogo da parte dell’opposizione. Perché se si dice - e con ragione - che il governo balla sul Titanic, che le sue promesse si sono rivelate "fuffa" allo stato puro, che il paese può d’implodere e che il rischio di deriva autoritaria è tutt’altro che una ossessione comunarda, allora non si capisce quale interesse abbia l’opposizione a correre dietro al governo.


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