E’ noto quanto sostenevano gli antichi: gli dei accecano coloro che vogliono perdere. Questa considerazione si attaglia perfettamente alle élites del cosiddetto occidente collettivo che, per smania di potere e per megalomania, sono accecate e non vedono l’abisso verso il quale si stanno dirigendo a capofitto. Questa catastrofe - o meglio una liberazione per noi - non ci farebbe versare nessuna lacrima se ahimè, del tutto nolenti, non fossimo ad esse legati; pertanto, se non ci sganciamo presto subiremo la loro stessa sorte. Per sottrarci a questo destino non voluto - e del resto evitabile se ci animassero il buon senso e il raziocinio - dovremmo risvegliarci dal torpore che appesantisce la nostra mente distratta e affaticata.

Tra le conseguenze più catastrofiche della trasformazione liberista del lavoro, iniziata al tramonto del Ventesimo secolo e perfezionata all’alba del Ventunesimo, vi sono i “buoni lavoro”, meglio noti come “voucher”. Esordirono in Francia nel 1994, poi in Germania nel 2003 e in Belgio nel 2004. Furono importati in Italia nel 2003 dalla Riforma Biagi, applicati nel 2008 dal governo Prodi limitatamente al settore agricolo, estesi ad altri settori dal governo Berlusconi nel 2009. Furono poi liberalizzati dal governo Monti nel 2012 con la Riforma Fornero, che peraltro ne innalzò il limite economico da tre a cinquemila euro per ogni lavoratore.

Nel 2013 il governo Letta cancellò ogni riferimento alla originaria “natura meramente occasionale” delle attività lavorative. Nel 2015 il governo Renzi ne innalzò il limite a settemila euro e introdusse l’obbligatorietà dell’attivazione telematica. Nel 2017 il governo Gentiloni, per scongiurare il referendum abrogativo proposto dalla Cgil, li abolì ma per sostituirli con il Libretto di Famiglia per colf e badanti e con i Contratti di prestazione occasionale per alcune categorie di lavoratori agricoli e per determinate attività lavorative nell’ambito della Pubblica Amministrazione.

La notizia che alcuni missili russi avrebbero colpito la Polonia, oltre a tenerci tutti col fiato sospeso per varie ore, ha scatenato i più intimi adepti NATO annidati nelle pieghe del putrescente sistema politico italiano. Mi riferisco in primo luogo alla coppia Letta/Calenda, che col suo brillante gioco di squadra ha determinato la resistibile vittoria della destra alle elezioni politiche italiane del 25 settembre. Pare che i due geni della politica in questione abbiano deciso di seguire le indicazioni del loro maître à penser, ovvero del personaggio di cui ora mi sfugge il nome, che poco tempo fa si chiedeva se gli Italiani, come a suo dire gli Ucraini, sarebbero disposti a morire per la “libertà “. A corto di idee e troncata ogni connessione, sentimentale o materiale, col popolo italiano, a costoro non resta che rifugiarsi nella retorica patriottarda (dulce et decorum est pro patria mori) coll’aggravante non trascurabile che in questo caso non si tratta della patria di nessuno, ma semmai degli interessi della NATO e degli Stati Uniti a vedere soddisfatti e garantiti i propri interessi economici e strategici.

Abstract: questa è la storia di otto milioni di euro che emigrano dalla povera Sicilia verso l’opulento Nord sul barcone di un bando di gara della Regione Siciliana. Una migrazione legale, sotto il profilo giuridico, compiuta nel rispetto delle normative e delle procedure vigenti, come attestano le fonti consultate. Le parole chiave del racconto sono solo due: privatizzazione e sanità. Tre i personaggi principali, tutti siciliani: un ex ministro della Repubblica, un ex Presidente della Regione Siciliana e il Presidente attualmente in carica.

La storia inizia il 16 dicembre 2021, quando l’Azienda di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione Ospedali Civico-Di Cristina-Benfratelli pubblicò sul proprio sito un bando di gara la cui descrizione era: procedura aperta telematica per l’affidamento triennale, con eventuale rinnovo di 24 mesi, del servizio di assistenza medica, infermieristica e consulenza medica specialistica di supporto alle neo costituende unità operative complesse di Cardiochirurgia Pediatrica (lotto 1) e Neurochirurgia Pediatrica (lotto 2) dell’Arnas Civico-Di Cristina-Benfratelli di Palermo.

Una settimana dopo, con nota datata 23 dicembre 2021, l’Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico - Policlinico San Donato, del Gruppo San Donato, chiedeva, in virtù dell’apposita normativa, la rettifica dell’art. 9 del Capitolato Speciale del Bando di Gara da attuarsi mediante l’eliminazione della seguente disposizione: “…non sono ammessi operatori sanitari assunti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Non sono altresì ammessi operatori a regime libero professionale, salvo cause di forza maggiore da concordare e farsi autorizzare preventivamente con la direzione dell’Arnas”; e contestualmente chiedeva anche la proroga dei termini della ricezione delle offerte.

Esaminata tale richiesta di rettifica, fu espresso parere favorevole alla modifica e di conseguenza, con la Delibera n. 9 del 5 gennaio 2021, l’Arnas, alla luce delle modifiche agli atti di gara, riapriva i termini per la presentazione dell’offerta con scadenza fissata alle ore 10:00 del 28 febbraio 2022.

L’esito della gara fu reso noto il 28 settembre 2022. Come da Delibera n. 1231 del 23 settembre 2022, il servizio fu aggiudicato al Policlinico San Donato SpA. Quella del Gruppo San Donato di Milano, che è il primo gruppo ospedaliero privato italiano, con un fatturato nel 2020 di un miliardo e seicento milioni di euro, come si legge sul sito del Gruppo, fu la sola offerta pervenuta e solo per il lotto 1. La gara per il lotto 2, invece, andò deserta.

Fu così che il 4 novembre scorso, sugli organi di stampa, comparve la notizia che dopo dodici anni la Cardiochirurgia Pediatrica tornava finalmente a Palermo. Grazie a questo bando di gara, infatti, gli specialisti privati del Gruppo San Donato andranno periodicamente a Palermo per formare il personale sanitario siciliano della Cardiochirurgia Pediatrica che dovrebbe riaprire nel giugno 2023. “Una partnership innovativa, un matrimonio integrato tra pubblico e privato”, dichiarò il Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, firmando il contratto a Palazzo d’Orleans. Sarà certamente entusiasta pure il ministro Nello Musumeci, visto che quando questa storia ebbe inizio, a presiedere il governo della Regione era proprio lui. Ancor più contento sarà l’ex ministro Angelino Alfano, già compagno di Musumeci e Schifani nella coalizione del centrodestra, defilatosi dalla vita politica nel 2018 e diventato nel 2019 Presidente del Policlinico San Donato di Milano.

A questo punto è necessario porre qualche domanda, perché a questo serve la storia. Quanto costerà alla Regione Siciliana un intervento cardochirurgico fra gli 8 milioni incassati da un gruppo privato e le spese utili per il personale, la strumentazione, i macchinari, i materiali e la gestione del reparto? Possibile che la Sicilia non riesca a liberarsi dall’interessato e milionario “aiuto” dei gruppi sanitari privati? Davvero bisogna spendere otto milioni di euro dei siciliani per formare e supportare medici e infermieri siciliani? Davvero in Sicilia non ci sono eccellenze ed esperienze siciliane da mettere in campo per la formazione, l’assistenza e la consulenza medica in Sicilia?

La vicenda, tuttavia, è emblematica di una nuova tendenza finanziaria operante nel nostro tempo: la privatizzazione dal di dentro di settori primari che però esternamente restano pubblici. In tal modo i costi rimangono a carico degli enti pubblici e dei cittadini mentre i profitti vanno ai gruppi privati. Non per caso il Gruppo San Donato si prepara a sbarcare felicemente in Piazza Affari.

Michelangelo Ingrassia

I quattro gatti spelacchiati che hanno partecipato all’orribile manifestazione per la guerra organizzata a Milano da Calenda e soci sabato 5 novembre, hanno avuto modo, fra l’altro , di ascoltare dal vivo gli interventi di due ragazzotti, tali Alisei e Intraguglielmo, i quali avrebbero espresso l’auspicio di un’Europa combattente e dichiarato, alla stregua di novelli Catone, che, se necessario la Russia va distrutta.

Si è trattato probabilmente  del climax del crescendo di bellicismo che sta contagiando il mondo e in particolare il nostro Paese, patria elettiva degli assaltatori da poltrona e degli intrepidi guastatori da comizio. Ne avevamo viste di tutti i colori, compreso Brunetta che, alla fine della sua carriera politica, inneggiava alla controffensiva ucraina, sfoggiando improbabili doti di stratega militare, ma appare irraggiungibile il vertice di stoltaggine irresponsabile raggiunto dai due dirigenti e membri della gloriosa Federazione giovanile calendiana.

Si tratta con evidenza anche dell’ennesima dimostrazione del fallimento del sistema educativo italiano, dato che i due ardimentosi giovanotti sembrano ignorare che chiunque abbia provato, nel corso dei secoli, a distruggere la Russia, da Napoleone a Hitler, ha finito per distruggere se stesso. Ma si tratta soprattutto della riprova di come il martellante sistema propagandistico guerrafondaio e suprematista messo su da televisioni e stampa (con l’unica eccezione importante de Il Fatto Quotidiano) sia riuscito a fare breccia nelle menti più deboli.

La parola d’ordine del resto non è nuova, essendo stata ripresa e rilanciata dagli ambienti più oltranzisti dell’atlantismo. Ad esempio dal senatore McCain, il quale in epoca ben precedente all’attuale conflitto ucraino l’aveva fatta propria in modo tale da dare adeguata copertura ideologica agli interessi di determinati settori affaristici statunitensi, primo fra tutti ovviamente il complesso militare-industriale. In termini più ampi la posizione che fu di McCain - ma che contraddistingue oggi vari settori dell’establishment e del deep state statunitense - è stata analizzata da John Wight su Counterpunch e ricondotta in sostanza alla ben nota bramosia statunitense di dominare il mondo, spazzando via ogni rivale effettivo o potenziale.

È a tale intento egemonico, sempre più difficile da realizzare nell’attuale contesto internazionale, che vanno fatte risalire le radici dell’attuale conflitto ucraino, con la scelta di intervenire nel Paese per destabilizzarlo e creare un focolaio di crescente tensione colla Russia. Oggi questa stessa nefasta dottrina politica e militare è attiva per vanificare ogni possibilità di cessate il fuoco, di negoziato e di soluzione pacifica del conflitto che pure sarebbe possibile. Di conseguenza essa opera per mantenere l’Europa e il mondo sull’orlo del baratro.

Quanto all’Europa, del resto, l’intento dei guerrafondai atlantisti d’oltreoceano è ben scolpito nelle parole che una di loro ebbe a pronunciare, venendo intercettata, proprio a proposito dei fatti di piazza Maidan che, nel febbraio 2014 segnarono l’inizio conclamato del conflitto ucraino: “Fuck Europe”. Espressione plastica e ben rivelatrice dell’intento di fondo di questa corrente di pensiero, cui gli attuali governanti europei, compresa la nostra finta sovranista Giorgia, oppongono com’è noto un atteggiamento improntato alla virile consapevolezza dell’ineluttabile necessità di una pecoreccia sottomissione a diktat, voleri e interessi del Grande Alleato.

I popoli, nonostante le pesanti campagne di indottrinamento ideologico bellicista, continuano ad essere a favore della pace, come dimostrato fra l’altro dal successo della manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma. Un aspetto particolarmente insidioso e deplorevole di questa campagna è costituito dall’intento razzista di delegittimare e svilire la cultura altrui, come premessa della stessa negazione della natura umana del “nemico”. Accade pertanto che una cultura ricca da tanti punti di vista come quella russa sia boicottata dai zelanti esecutori del verbo atlantista ed abbiamo già visto più di un episodio che va in questo senso. L’appello contro la russofobia firmato da varie persone, tra le quali il sottoscritto (https://www.change.org/p/stop-alla-russofobia?redirect=false) intende reagire a queste nefandezze, nella consapevolezza del fatto che la cultura deve costituire invece una potente arma per la pace e il dialogo.


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