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- Scritto da Fabio Marcelli
La notizia che alcuni missili russi avrebbero colpito la Polonia, oltre a tenerci tutti col fiato sospeso per varie ore, ha scatenato i più intimi adepti NATO annidati nelle pieghe del putrescente sistema politico italiano. Mi riferisco in primo luogo alla coppia Letta/Calenda, che col suo brillante gioco di squadra ha determinato la resistibile vittoria della destra alle elezioni politiche italiane del 25 settembre. Pare che i due geni della politica in questione abbiano deciso di seguire le indicazioni del loro maître à penser, ovvero del personaggio di cui ora mi sfugge il nome, che poco tempo fa si chiedeva se gli Italiani, come a suo dire gli Ucraini, sarebbero disposti a morire per la “libertà “. A corto di idee e troncata ogni connessione, sentimentale o materiale, col popolo italiano, a costoro non resta che rifugiarsi nella retorica patriottarda (dulce et decorum est pro patria mori) coll’aggravante non trascurabile che in questo caso non si tratta della patria di nessuno, ma semmai degli interessi della NATO e degli Stati Uniti a vedere soddisfatti e garantiti i propri interessi economici e strategici.
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- Scritto da Michelangelo Ingrassia
Abstract: questa è la storia di otto milioni di euro che emigrano dalla povera Sicilia verso l’opulento Nord sul barcone di un bando di gara della Regione Siciliana. Una migrazione legale, sotto il profilo giuridico, compiuta nel rispetto delle normative e delle procedure vigenti, come attestano le fonti consultate. Le parole chiave del racconto sono solo due: privatizzazione e sanità. Tre i personaggi principali, tutti siciliani: un ex ministro della Repubblica, un ex Presidente della Regione Siciliana e il Presidente attualmente in carica.
La storia inizia il 16 dicembre 2021, quando l’Azienda di Rilievo Nazionale e Alta Specializzazione Ospedali Civico-Di Cristina-Benfratelli pubblicò sul proprio sito un bando di gara la cui descrizione era: procedura aperta telematica per l’affidamento triennale, con eventuale rinnovo di 24 mesi, del servizio di assistenza medica, infermieristica e consulenza medica specialistica di supporto alle neo costituende unità operative complesse di Cardiochirurgia Pediatrica (lotto 1) e Neurochirurgia Pediatrica (lotto 2) dell’Arnas Civico-Di Cristina-Benfratelli di Palermo.
Una settimana dopo, con nota datata 23 dicembre 2021, l’Istituto di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico - Policlinico San Donato, del Gruppo San Donato, chiedeva, in virtù dell’apposita normativa, la rettifica dell’art. 9 del Capitolato Speciale del Bando di Gara da attuarsi mediante l’eliminazione della seguente disposizione: “…non sono ammessi operatori sanitari assunti con contratto di collaborazione coordinata e continuativa. Non sono altresì ammessi operatori a regime libero professionale, salvo cause di forza maggiore da concordare e farsi autorizzare preventivamente con la direzione dell’Arnas”; e contestualmente chiedeva anche la proroga dei termini della ricezione delle offerte.
Esaminata tale richiesta di rettifica, fu espresso parere favorevole alla modifica e di conseguenza, con la Delibera n. 9 del 5 gennaio 2021, l’Arnas, alla luce delle modifiche agli atti di gara, riapriva i termini per la presentazione dell’offerta con scadenza fissata alle ore 10:00 del 28 febbraio 2022.
L’esito della gara fu reso noto il 28 settembre 2022. Come da Delibera n. 1231 del 23 settembre 2022, il servizio fu aggiudicato al Policlinico San Donato SpA. Quella del Gruppo San Donato di Milano, che è il primo gruppo ospedaliero privato italiano, con un fatturato nel 2020 di un miliardo e seicento milioni di euro, come si legge sul sito del Gruppo, fu la sola offerta pervenuta e solo per il lotto 1. La gara per il lotto 2, invece, andò deserta.
Fu così che il 4 novembre scorso, sugli organi di stampa, comparve la notizia che dopo dodici anni la Cardiochirurgia Pediatrica tornava finalmente a Palermo. Grazie a questo bando di gara, infatti, gli specialisti privati del Gruppo San Donato andranno periodicamente a Palermo per formare il personale sanitario siciliano della Cardiochirurgia Pediatrica che dovrebbe riaprire nel giugno 2023. “Una partnership innovativa, un matrimonio integrato tra pubblico e privato”, dichiarò il Presidente della Regione Siciliana Renato Schifani, firmando il contratto a Palazzo d’Orleans. Sarà certamente entusiasta pure il ministro Nello Musumeci, visto che quando questa storia ebbe inizio, a presiedere il governo della Regione era proprio lui. Ancor più contento sarà l’ex ministro Angelino Alfano, già compagno di Musumeci e Schifani nella coalizione del centrodestra, defilatosi dalla vita politica nel 2018 e diventato nel 2019 Presidente del Policlinico San Donato di Milano.
A questo punto è necessario porre qualche domanda, perché a questo serve la storia. Quanto costerà alla Regione Siciliana un intervento cardochirurgico fra gli 8 milioni incassati da un gruppo privato e le spese utili per il personale, la strumentazione, i macchinari, i materiali e la gestione del reparto? Possibile che la Sicilia non riesca a liberarsi dall’interessato e milionario “aiuto” dei gruppi sanitari privati? Davvero bisogna spendere otto milioni di euro dei siciliani per formare e supportare medici e infermieri siciliani? Davvero in Sicilia non ci sono eccellenze ed esperienze siciliane da mettere in campo per la formazione, l’assistenza e la consulenza medica in Sicilia?
La vicenda, tuttavia, è emblematica di una nuova tendenza finanziaria operante nel nostro tempo: la privatizzazione dal di dentro di settori primari che però esternamente restano pubblici. In tal modo i costi rimangono a carico degli enti pubblici e dei cittadini mentre i profitti vanno ai gruppi privati. Non per caso il Gruppo San Donato si prepara a sbarcare felicemente in Piazza Affari.
Michelangelo Ingrassia
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- Scritto da Fabio Marcelli
I quattro gatti spelacchiati che hanno partecipato all’orribile manifestazione per la guerra organizzata a Milano da Calenda e soci sabato 5 novembre, hanno avuto modo, fra l’altro , di ascoltare dal vivo gli interventi di due ragazzotti, tali Alisei e Intraguglielmo, i quali avrebbero espresso l’auspicio di un’Europa combattente e dichiarato, alla stregua di novelli Catone, che, se necessario la Russia va distrutta.
Si è trattato probabilmente del climax del crescendo di bellicismo che sta contagiando il mondo e in particolare il nostro Paese, patria elettiva degli assaltatori da poltrona e degli intrepidi guastatori da comizio. Ne avevamo viste di tutti i colori, compreso Brunetta che, alla fine della sua carriera politica, inneggiava alla controffensiva ucraina, sfoggiando improbabili doti di stratega militare, ma appare irraggiungibile il vertice di stoltaggine irresponsabile raggiunto dai due dirigenti e membri della gloriosa Federazione giovanile calendiana.
Si tratta con evidenza anche dell’ennesima dimostrazione del fallimento del sistema educativo italiano, dato che i due ardimentosi giovanotti sembrano ignorare che chiunque abbia provato, nel corso dei secoli, a distruggere la Russia, da Napoleone a Hitler, ha finito per distruggere se stesso. Ma si tratta soprattutto della riprova di come il martellante sistema propagandistico guerrafondaio e suprematista messo su da televisioni e stampa (con l’unica eccezione importante de Il Fatto Quotidiano) sia riuscito a fare breccia nelle menti più deboli.
La parola d’ordine del resto non è nuova, essendo stata ripresa e rilanciata dagli ambienti più oltranzisti dell’atlantismo. Ad esempio dal senatore McCain, il quale in epoca ben precedente all’attuale conflitto ucraino l’aveva fatta propria in modo tale da dare adeguata copertura ideologica agli interessi di determinati settori affaristici statunitensi, primo fra tutti ovviamente il complesso militare-industriale. In termini più ampi la posizione che fu di McCain - ma che contraddistingue oggi vari settori dell’establishment e del deep state statunitense - è stata analizzata da John Wight su Counterpunch e ricondotta in sostanza alla ben nota bramosia statunitense di dominare il mondo, spazzando via ogni rivale effettivo o potenziale.
È a tale intento egemonico, sempre più difficile da realizzare nell’attuale contesto internazionale, che vanno fatte risalire le radici dell’attuale conflitto ucraino, con la scelta di intervenire nel Paese per destabilizzarlo e creare un focolaio di crescente tensione colla Russia. Oggi questa stessa nefasta dottrina politica e militare è attiva per vanificare ogni possibilità di cessate il fuoco, di negoziato e di soluzione pacifica del conflitto che pure sarebbe possibile. Di conseguenza essa opera per mantenere l’Europa e il mondo sull’orlo del baratro.
Quanto all’Europa, del resto, l’intento dei guerrafondai atlantisti d’oltreoceano è ben scolpito nelle parole che una di loro ebbe a pronunciare, venendo intercettata, proprio a proposito dei fatti di piazza Maidan che, nel febbraio 2014 segnarono l’inizio conclamato del conflitto ucraino: “Fuck Europe”. Espressione plastica e ben rivelatrice dell’intento di fondo di questa corrente di pensiero, cui gli attuali governanti europei, compresa la nostra finta sovranista Giorgia, oppongono com’è noto un atteggiamento improntato alla virile consapevolezza dell’ineluttabile necessità di una pecoreccia sottomissione a diktat, voleri e interessi del Grande Alleato.
I popoli, nonostante le pesanti campagne di indottrinamento ideologico bellicista, continuano ad essere a favore della pace, come dimostrato fra l’altro dal successo della manifestazione per la pace del 5 novembre a Roma. Un aspetto particolarmente insidioso e deplorevole di questa campagna è costituito dall’intento razzista di delegittimare e svilire la cultura altrui, come premessa della stessa negazione della natura umana del “nemico”. Accade pertanto che una cultura ricca da tanti punti di vista come quella russa sia boicottata dai zelanti esecutori del verbo atlantista ed abbiamo già visto più di un episodio che va in questo senso. L’appello contro la russofobia firmato da varie persone, tra le quali il sottoscritto (https://www.change.org/p/stop-alla-russofobia?redirect=false) intende reagire a queste nefandezze, nella consapevolezza del fatto che la cultura deve costituire invece una potente arma per la pace e il dialogo.
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"Se non puoi battere il tuo nemico, unisciti a lui", recita un detto ereditato dai poteri forti fin dai tempi antichi. All'interno della grande battuta d'arresto storica, che sarà ricordata dagli antropologi del futuro come neoliberismo, c'è poco di salvabile. Quando il sistema mondiale capitalista è riuscito a distruggere il suo principale nemico, l'Unione Sovietica, e ai suoi popoli, con tutta la loro bellezza umana e totale ingenuità politica, è stata venduta la falsità dell'"economia sociale di mercato" e il brutale laboratorio cileno di Pinochet, grazie alle favole dei media, è diventato il principale modello da seguire per i governi, il grande progetto umanista della sinistra mondiale è stato praticamente messo fuori gioco.
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- Scritto da Fabrizio Casari
Dal 3 Marzo di quest’anno, i media russi, come Russia Today e Sputnik, sono stati bloccati in tutto il territorio dell’Unione Europea oltre che negli USA. E’ stato il primo atto delle sanzioni contro Mosca stabilite dalla UE come risposta all’inizio dell’operazione militare speciale in Ucraina. Una evidente connessione sentimentale con il governo di Kiev, che anche senza guerra aveva chiuso 11 partiti, due televisioni e una radio per “sospette simpatie russe” e proibito l’uso del russo come lingua ufficiale (in un paese dove una buona quota della popolazione è russofona).
I media russi, attraverso la sede di Russia Today in Francia, avevano deciso di ricorrere al Tribunale europeo contro la decisione che viola il principio europeo della libera circolazione delle idee e che applica una censura contraria a tutte le norme che regolano internazionalmente il libero accesso alle informazioni.
Da parte russa non c’era nessuna illusione circa l’esito del ricorso, ma dal punto di vista politico l’idea di provocare una reazione imbarazzata e imbarazzante che racconta l’ipocrisia europea è stata vista come occasione da cogliere.
E infatti così è stato. Il Tribunale della UE ha stabilito che questo “divieto temporaneo” “non mette in discussione la libertà di espressione in quanto tale” contrariamente a quanto sancito dai media russi. Nella sua decisione, il tribunale Ue ha sostenuto in particolare che tali misure, “purché temporanee e reversibili, non ledano in modo sproporzionato il contenuto essenziale della libertà di impresa di RT France”.
Il tribunale ritiene altresì che “le restrizioni di RT France alla libertà di espressione sono proporzionate, in quanto appropriate e necessarie agli obiettivi perseguiti”, vale a dire impedire la “propaganda” a sostegno della “aggressione militare dell’Ucraina da parte della Federazione Russa” durante “le trasmissioni trasmesse in televisione e su Internet da un mezzo interamente finanziato dallo Stato russo”.
Questo dell’assetto proprietario è un elemento insistente nelle motivazioni, ma la proprietà governativa non può in nessun caso rappresentare un surplus di colpa per i media sanzionati e sarebbe il caso di ricordare che tutte le catene radio-televisive più importanti d’Europa sono di proprietà dei rispettivi governi. Dunque si accusa la Russia di fare ciò che fa l’Europa, ovvero mantenere i propri media pubblici.
Quanto alla propaganda, è evidente come il termine sia usato solo per gli avversari e faccia parte della guerra terminologica con la quale gli avvoltoi si presentano come passeri. Dalla codificazione di una terminologia corrispondente ai messaggi che apertamente o in forma subliminale si intende veicolare, comincia il bombardamento mediatico destinato a rivoltare il reale con la versione artefatta dello stesso.
La verità occidentale filtra del resto da ogni rigo. Insomma, i media europei fanno informazione, mentre in Russia fanno propaganda. Gli europei sono imprenditori e i russi oligarchi. Le monarchie europee sono democratiche mentre la democrazia russa è autarchia. I limiti di parola nella UE sono misura garantista, mentre in Russia sono censura. Le stesse misure per la UE sono sicurezza, per la Russia sono repressione. E, da aggiungere, il teatro dei russi è la guerra, quello degli ucraini è la resistenza, e i russi non si ritirano, vengono respinti.
Come si vede la sentenza è una dichiarazione di campo, nulla ha a che vedere con l’interpretazione e l’applicazione del Diritto. Anzi a leggerne il significato sembra volersi confermare l’assunto secondo cui la legge per i nemici si applica e per gli amici si interpreta. La decisione del Tribunale UE è infatti un atto politico, un modo per tentare di sostenere con le vesti del Diritto le scelte ideologiche di Bruxelles, che sono prodotto di una guerra ideologica, militare, commerciale e politica dell’atlantismo contro i paesi che non fanno parte della NATO.
Che il diritto alla censura sia rivendicato politicamente e giuridicamente da chi fuori dalla UE si erge a paladino della libertà di stampa negli altri paesi, fa parte dei paradossi dell’impianto ideologico atlantista. Il Parlamento europeo, amena conventicola di nullo spessore, emette condanne alla censura di tutti mentre esso stesso censura e questo spiega l’assenza di ogni decenza giuridica, sacrificata sull’altare dell’obbedienza dovuta alla NATO.
Si potrà obiettare che è comunque una sentenza di una autorità giurisdizionale, però non si può certo dire di essere di fronte ad una fonte autorevole del Diritto internazionale. Il Tribunale, infatti, insieme alla Corte di Giustizia è uno dei due organi che compongono il sistema giurisdizionale dell'Unione Europea, ossia la sua Corte di Giustizia. Ma la sua autorevolezza sul piano del Diritto esibisce dei limiti piuttosto evidenti, vista la subordinazione de facto alle decisioni politiche dell’Unione Europea.
Non per caso le sue sentenze sono sempre in linea con le decisioni politiche della Commissione Europea come delle altre istituzioni facenti capo alla UE. E non potrebbe essere altrimenti, a meno di non voler indicare le decisioni di Bruxelles e Strasburgo come contrarie al Diritto Internazionale. Non a caso, anche quando lo sono, come nel caso delle sanzioni che colpiscono 30 Paesi o delle misure restrittive unilaterali, illegittime ed illegali, che riguardano Cuba, Nicaragua e Venezuela, il Tribunale tace e acconsente.
Eppure sono sanzioni e restrizioni che violano norme del Diritto Internazionale e la Carta delle Nazioni Unite; contravvengono i regolamenti del WTO e gli accordi internazionali a tutela degli investimenti che la stessa UE ha sottoscritto e ispirato. Va da sé, quindi, che questa interpretazione utilitaristica e strumentale del Diritto non può essere confusa con il Diritto Internazionale in quanto tale, che vive di luce propria, indifferente ai calcoli politici ed è frutto di un orientamento giuridico non sottoponibile alla volontà politica di nessuna istituzione politica, nazionale o internazionale che sia.
La verità nascosta
In realtà, la decisione della NATO – di cui la UE è divenuta docile strumento – ha retroterra, funzione e scopi tutti politici. Il retroterra è ideologico è l’entrata in guerra contro la Russia. Invio di armi e munizioni all’Ucraina, addestramento delle sue truppe e finanziamento del suo governo, e guerra commerciale, politica e diplomatica alla Russia fanno della UE una istituzione in guerra contro Mosca. Che non lo sia apertamente, con la partecipazione diretta dei suoi eserciti al conflitto, è questione di valutazione del rischio, ovvero della paura di uscirne devastata. Ma la sua partecipazione diretta al conflitto è innegabile.
Con questo retroterra è stata stabilita la funzione censoria. Si sono adottate le sanzioni ai media russi, esattamente nella logica dei paesi in guerra che non consentono al nemico di poter essere presente sul loro territorio per dare la loro versione degli avvenimenti. Si definisce questa possibilità come contaminazione propagandistica, ma è esattamente il contrario: con una informazione univoca e militarizzata si vuole impedire che la popolazione possa avere una versione alternativa a quella che racconta il governo, impedendo così smentite alla propria propaganda di guerra.
Andrebbe anzi sottolineato come l’impero mediatico europeo abbia il timore manifesto di due media russi che, insieme, non sfiorano nemmeno il potenziale di fuoco del sistema informativo occidentale, il più esteso, ricco e diffuso del mondo. Perché non può permettersi di raccontare la verità bellica, altrimenti il costo per l’Europa del mantenimento della giunta di Kiev risulterebbe o sbagliato o inutile ed emergerebbe la spietatezza nazistoide dei suoi militari e non il racconto falsificato che li dipinge eroi.
E anche negli USA l’agitazione censoria corre. Il presidente della Commissione Esteri del Senato, Bob Melendez, (tra i capi del verminaio cubano-americano della Florida) ha scritto una lettera dove chiede alla direzione di Meta, Twitter e Telegram di “aumentare lo sforzo per limitare la diffusione di contenuti di Sputnik Mondo e Russia Today sulle reti social”. Sembra che la popolazione di origine latina residente negli USA sia più orientata verso i due media russi editi in lingua spagnola piuttosto che la CNN, Univision o le catene spagnole e i senatori chiedono almeno una loro restrizione sui social media.
E’ questo il sunto politico del bavaglio: quando una decisione ideologica, sebbene segnata dall’effetto autolesionista, va comunque perseguita perché l’obbedienza all’alleato d’Oltreoceano supera gli interessi dell’Unione, la narrativa della stessa non può trovare punti di incertezza. Serve una informazione blindata, che cancelli il reale, che sostituisca l’informazione con la propaganda, che ottenga il consenso con ogni mezzo, senza la possibilità che circolino verità diverse, anche solo in canali dal peso ridotto e ininfluente sui grandi numeri. Perché basta poco, se ben fatto, per creare danni agli autori dei misfatti.