Rafah e le macerie della tregua

di Michele Paris

Dopo settimane trascorse ad accusare Hamas di non volere accettare un accordo per la liberazione degli “ostaggi” che avrebbe messo fine alla guerra nella striscia di Gaza, il regime israeliano di Netanyahu ha scatenato l’annunciata offensiva nella località di Rafah letteralmente poche ore dopo che il movimento di liberazione palestinese aveva dato il proprio consenso all’accordo sul...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Gaza, gli scogli della tregua

di Michele Paris

L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe essere il punto di partenza per una “seria discussione”. È abbastanza chiaro che Washington e Tel Aviv puntino quanto meno a mettere in pausa il massacro di palestinesi nella striscia. Le manovre attorno alla proposta per un cessate il fuoco nasconde però il tentativo di garantire una qualche copertura al regime di Netanyahu, il quale ha...
> Leggi tutto...

di Carlo Musilli

Dopo una delle settimane peggiori degli ultimi anni, chiusa con un ribasso del 6,5%, lunedì Piazza Affari ha registrato un crollo memorabile: -5,96% in una sola seduta. Per ritrovare un tonfo simile dobbiamo risalire al novembre 2011, quando in Europa scoppiava la crisi del debito sovrano, lo spread volava a 575 punti base e i rendimenti sui Btp decennali schizzavano all'8 percento.

Eppure, il crollo di ieri non riguarda solo l'Italia o i Pigs, ma coinvolge tutte le principali Borse mondiali (Francoforte -4,7%, Parigi -5,3%, Londra -4,6%, Tokyo -4,6%, Dow Jones, Nasdaq e S&P500 rispettivamente -3,5%, -3,8% e -3,9%), trainate al ribasso dai crolli in sequenza del listino di Shanghai (-8,45% lunedì, dopo il -11% della settimana scorsa).

Ma come si è arrivati a tanto? Andiamo con ordine. A metà agosto, la tripla svalutazione dello yuan decisa da Pechino ha determinato prima una crisi borsistica locale, poi una crisi della moneta cinese e di buona parte delle valute emergenti, infine un contagio su scala mondiale. Inizialmente si pensava che il problema cinese fosse circoscritto agli interessi del gigante asiatico, tant'è vero che in un primo momento - mentre le Borse cinesi crollavano - i listini europei tenevano botta. Ciò si spiega con le limitazioni imposte dalla Cina stessa: gli operatori stranieri possono investire poco sui listini di Shanghai e Shenzhen, perciò l'esposizione diretta degli operatori occidentali ai mercati cinesi è estremamente ridotta.

In seguito, però, fra gli investitori globali si è diffuso il timore che il governo cinese - dopo essersi dimostrato incapace di gestire efficacemente la crisi della Borsa - fallisca anche nel tentativo di dare nuovo slancio alla crescita del Pil, che sta rallentando (anche se le stime parlano comunque di un +6,8% per quest'anno, di un +6,5% per il 2016 e di un +6% per la fine del decennio).

Pechino, dal canto suo, non ha fatto molto per allontanare queste parure, dal momento che fin qui non sono state prese misure efficaci per rilanciare gli investimenti fissi, l'export e soprattutto i consumi interni, che dovrebbero essere stimolati (alzando i salari) per compensare il rallentamento della domanda in altre aree del mondo.

Il cuore del problema, dunque, non è economico, ma politico. A spaventare i mercati non sono (ancora) i numeri, ma le scarse capacità dimostrate dalla dirigenza del Partito nella gestione della crisi. Il vero dilemma è nelle riforme promesse e finora rimaste sulla carta perché osteggiate dai gruppi di dirigenti del Partito che preferiscono continuare a puntare tutto sulle esportazioni.

Anche sul versante azionario il quadro è simile. Pur avendo perso circa il 35% rispetto ai livelli massimi, la Borsa cinese rimane in crescita di quasi il 100% rispetto all'anno scorso. Tuttavia, non è escluso che la correzione continui sui mercati europei, perlomeno finché il governo di Pechino non convincerà gli investitori globali di avere di nuovo la situazione sotto controllo.

D'altra parte, gli strumenti per agire non mancano: esistono circa 5mila miliardi di riserve bloccate che possono essere liberate per sostenere l'economia cinese. Usa e Europa, inoltre, vorrebbero che la Cina tagliasse con più decisione i tassi d'interesse (quello a un anno è ancora al 4 e mezzo percento, contro i livelli prossimi allo zero delle economie occidentali).

Se questi cambiamenti avverranno, il governo cinese riuscirà a rassicurare definitivamente i mercati occidentali. Eppure, non si tratta di una partita che interessa solamente Washington e Bruxelles. Negli ultimi anni, infatti, la Cina è stata il principale sostegno dell'Occidente durante la crisi finanziaria, ma anche un fattore decisivo per la crescita degli altri Paesi emergenti, soprattutto di quelli africani.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

Ecuador: la "valanga" referendaria

di Juan J.Paz-y-Miño Cepeda

Il 21 aprile (2024), su iniziativa del governo di Daniel Noboa, presidente dell'Ecuador, si è svolta una consultazione e un referendum su 11 quesiti, tre dei quali riguardavano il ruolo delle forze armate nella lotta contro la delinquenza e la criminalità organizzata, a sostegno della polizia; altri tre sull'estradizione...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy