Georgia, gli 'agenti' dell’Occidente

di Mario Lombardo

Il parlamento georgiano ha approvato questa settimana in prima lettura una controversa legge sugli "agenti stranieri", nonostante le proteste dell'opposizione e gli avvertimenti di Bruxelles che la legislazione potrebbe mettere a rischio le ambizioni del paese di aderire all’Unione Europea. La misura, ufficialmente nota come "Legge sulla trasparenza dell'influenza straniera", ha ricevuto...
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La memoria scomoda di Euskadi

di Massimo Angelilli

Il prossimo 21 aprile si svolgeranno le elezioni amministrative nei Paesi Baschi. Ovvero, il rinnovamento del Parlamento Autonomo, incluso il Lehendakari - Governatore che lo presidierà e i 75 deputati che lo integreranno. Il numero delle persone aventi diritto al voto è di circa 1.800.000, tra le province di Vizcaya Guipúzcoa e Álava. Il bacino elettorale più grande è quello biscaglino comprendente Bilbao, mentre la sede del Parlamento si trova a Vitoria-Gasteiz, capitale dell’Álava. Le elezioni regionali in Spagna, come d’altronde in qualsiasi altro paese, non sono mai una questione banale. Men che meno quelle in Euskadi. Si inseriscono in una stagione particolarmente densa di ricorso alle urne, iniziata con l’appuntamento...
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di Michele Paris

Gli elettori greci che si recheranno alle urne domenica per scegliere il nuovo parlamento si apprestano con ogni probabilità ad infliggere una severa lezione ai principali partiti politici che hanno applicato le politiche di austerity dettate dagli ambienti finanziari internazionali, gettando il paese in una situazione a dir poco disastrosa. Nell’imminente voto anticipato, la Nuova Democrazia (ND) e, soprattutto, il Partito Socialista (PASOK) andranno così incontro ad un vero e proprio tracollo, a tutto beneficio delle formazioni politiche estreme di destra e di sinistra che in questa campagna elettorale hanno alimentato l’illusione di un percorso alternativo per il paese europeo maggiormente colpito dalla crisi del debito.

I più recenti sondaggi assegnano al PASOK un consenso più che dimezzato rispetto al 2009, quando vinse le elezioni con il 44% dei voti. Meno pesante dovrebbe essere invece il calo dell’ND di centro-destra, attestato attorno al 22% contro il 33% di tre anni fa. I due più importanti partiti greci pagano ovviamente il loro sostegno all’attuale governo tecnico guidato dall’ex governatore della Banca Centrale, Lucas Papademos, succeduto nel novembre dello scorso anno al leader del PASOK, George Papandreou, già scrupoloso esecutore delle misure draconiane richieste da Unione Europea e Fondo Monetario Internazionale in cambio del cosiddetto “piano di salvataggio”.

In netta crescita appaiono al contrario i partiti di opposizione della sinistra che approfitteranno dell’emorragia di voti del PASOK - Coalizione della Sinistra Radicale (SYRIZA), Partito Comunista Greco (KKE) e Fronte della Sinistra Anti-Capitalista (ANTARSYA) - e della destra, su cui convergerà parte degli elettori dell’ND ma anche del Raggruppamento Popolare Ortodosso (LAOS) di estrema destra, anch’esso facente parte della coalizione che appoggia il premier Papademos.

I due partiti della destra greca in ascesa sono i Greci Indipendenti, una formazione creata recentemente da fuoriusciti dell’ND, e il movimento neo-nazista Alba Dorata, accreditato dai sondaggi di circa il 5%. Complessivamente, si prevede che saranno una decina i partiti in grado di superare la soglia di sbarramento del 3%, facendo nascere il parlamento greco più frammentato dalla fine del regime militare nel 1974.

Il primo partito dopo le elezioni di domenica dovrebbe dunque tornare ad essere la Nuova Democrazia ma, secondo le previsioni, il suo leader Antonis Samaras, per diventare primo ministro, dovrà accontentarsi di formare una scomoda alleanza di governo con il PASOK. Insieme, i due partiti potrebbero sfiorare quota 40%, forse abbastanza per ottenere la maggioranza in parlamento, dal momento che la legge elettorale greca prevede un premio di 50 seggi per il partito che raccoglie più voti.

I vertici dell’ND hanno però già fatto intendere di non essere particolarmente entusiasti di entrare in una nuova coalizione con il PASOK, che si baserebbe peraltro su un una maggioranza risicata e su un partito di centro-sinistra gravemente screditato dall’esito elettorale. L’altra ipotesi sarebbe quella di un’alleanza che includa i partiti minori, magari tra il PASOK e le sinistre, la quale darebbe vita in ogni caso ad un governo ugualmente instabile e precario.

Per questa ragione, molti leader politici greci, soprattutto dell’ND, parlano già apertamente di altre elezioni entro pochi mesi, qualcuno addirittura già a giugno, se non si riuscirà a mettere assieme una maggioranza stabile. L’aspirazione dell’ND sarebbe appunto di ottenere una chiara vittoria in un secondo round elettorale nel 2012, così da formare in autonomia un governo che continui ad ubbidire prontamente all’UE e all’FMI, contrariamente alla volontà espressa in maniera chiara dalla vasta maggioranza della popolazione greca.

Che le vie alternative per Atene dopo il voto non siano molte è reso evidente dalle scadenze fissate dalla troika (UE, FMI, BCE) con cui il governo Papademos ha raggiunto l’accordo per il prestito da 173 miliardi di euro lo scorso marzo. In una situazione di impoverimento diffuso, di gravissima recessione e con una disoccupazione ufficialmente al 14%, la Grecia dovrà infatti tagliare la propria spesa pubblica di altri 11,5 miliardi di euro entro giugno. Anche un eventuale nuovo esecutivo formato da forze attualmente all’opposizione, che si dicono contrarie all’austerity o che chiedono di rinegoziare l’accordo con UE/FMI, sarebbe perciò esposto ad enormi pressioni da parte degli ambienti finanziari internazionali per ritrattare in fretta le promesse elettorali.

Come ha significativamente scritto ieri il Wall Street Journal, se la Grecia non avrà un governo stabile e pronto a mettere in atto ulteriori privatizzazioni, tagli alla spesa e licenziamenti nel settore pubblico, l’Unione Europea e il Fondo Monetario potrebbero sospendere gli aiuti finanziari, aggravando la crisi politica e sociale nel paese con conseguenze sull’intera unione monetaria.

A ribadire l’accoglienza riservata ad un eventuale gabinetto che mostrerebbe anche solo qualche esitazione nel rispettare gli impegni internazionali è stata, ad esempio, una recente analisi di Bank of America citata sempre ieri dalla Reuters, nella quale si afferma che “la paralisi politica in Grecia dopo le elezioni potrebbe portare al default e addirittura all’uscita dall’euro”. Per questo, continua il documento della banca statunitense, “crediamo che la troika non potrebbe avere altra scelta che congelare i fondi diretti alla Grecia se non ci sarà un governo stabile”.

Inoltre, visto che Atene nel recente passato ha più volte mancato alcuni degli obiettivi di rigore imposti da UE/FMI, in molti ritengono che da parte di questi ultimi ci sarebbe ora ancora meno tolleranza verso leader greci intenzionati a rinegoziare l’accordo, anche per evitare un destabilizzante effetto domino in altri paesi europei dove, come in Grecia, le politiche di austerity sono estremamente impopolari.

Come esempio della sorte a cui andrebbe incontro un governo democraticamente eletto che manifestasse l’intenzione di discostarsi dai diktat di Unione Europea e Fondo Monetario, per quanto riguarda la Grecia, c’è d’altra parte quello del gabinetto Papandreou. Quando il leader del PASOK lo scorso ottobre annunciò un possibile referendum popolare sul pacchetto di salvataggio da poco approvato a livello europeo, venne infatti travolto dalle critiche e fu costretto a dimettersi di lì a pochi giorni.

In definitiva, anche se i media occidentali continuano a ipotizzare che un’affermazione delle forze di sinistra ad Atene, assieme ad una eventuale vittoria nelle presidenziali francesi del candidato socialista François Hollande, potrebbe produrre un ripensamento generale delle politiche di rigore, le pressioni e i ricatti dei mercati finanziari farebbero in modo, tutt’al più, di limitare i cambiamenti a qualche concessione di secondaria importanza, lasciando sostanzialmente invariato il drammatico quadro generale nei paesi europei più in difficoltà come la Grecia.

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