Gaza, gli scogli della tregua

di Michele Paris

L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe...
> Leggi tutto...

IMAGE
IMAGE

Ecuador: la "valanga" referendaria

di Juan J.Paz-y-Miño Cepeda

Il 21 aprile (2024), su iniziativa del governo di Daniel Noboa, presidente dell'Ecuador, si è svolta una consultazione e un referendum su 11 quesiti, tre dei quali riguardavano il ruolo delle forze armate nella lotta contro la delinquenza e la criminalità organizzata, a sostegno della polizia; altri tre sull'estradizione degli ecuadoriani, sull'aumento delle pene e sulla scontata esecuzione di pene piene per i condannati; altri tre sulle magistrature specializzate in materia costituzionale, sul reato di porto d'armi e sul fatto che lo Stato diventerà proprietario dei beni sequestrati di origine illecita. Le altre due erano sull'arbitrato internazionale e un'altra per consentire l'introduzione del lavoro a ore e a tempo determinato....
> Leggi tutto...

di Michele Paris

Lo scontro politico in atto da alcuni mesi a questa parte nello Yemen continua a dare segnali di aggravamento in seguito alla persistente impossibilità anche solo di sedere al tavolo delle trattative dei rappresentanti delle fazioni coinvolte nella crisi del più povero dei paesi arabi. L’avanzata del gruppo sciita degli Houthi (Ansar Allah) aveva provocato la settimana scorsa il crollo definitivo del governo installato da Stati Uniti e Arabia Saudita, scatenando una valanga di condanne di quello che è stato definito da più parti come un vero e proprio colpo di stato.

A favorire un qualche dialogo tra i vertici degli Houthi e i principali partiti politici yemeniti ci stanno provando le stesse Nazioni Unite, ma la ripresa dei negoziati dopo il caos dei giorni precedenti è subito naufragata nella giornata di lunedì. I leader del partito Nasserita e di quello islamista sunnita Islah hanno infatti abbandonato le discussioni denunciando la minaccia, espressa a loro dire da uno dei negoziatori Houthi, di usare la forza per costringere le proprie controparti ad accettare un piano di transizione per il paese, studiato e implementato dalla stessa organizzazione sciita.

Il piano in questione consiste in una “dichiarazione costituzionale” e, secondo gli Houthi, sarebbe stato adottato in seguito al vuoto di potere venutosi a creare in Yemen dopo le dimissioni del presidente filo-americano, Rabbu Mansour Hadi, il 22 gennaio scorso.

Hadi e vari membri del suo governo erano stati di fatto tenuti agli arresti domiciliari dagli stessi Houthi per forzare il regime a dare finalmente attuazione a un piano per l’integrazione dei leader del movimento che rappresenta le tribù sciite del nord dello Yemen nelle istituzioni del paese dopo decenni di repressione e marginalizzazione.

Dopo questi sviluppi, le Nazioni Unite hanno cercato di organizzare colloqui di pace tra le parti ma, spazientiti dallo stallo, gli Houthi hanno alla fine lanciato un ultimatum di tre giorni per trovare un accordo. Scaduto questo termine, gli Houthi hanno deciso di passare all’azione, assumendo il potere in maniera diretta e portando a compimento una rapidissima ascesa iniziata nel settembre 2014 con la presa della capitale, Sanaa.

La già citata “dichiarazione costituzionale” ha così dissolto il parlamento yemenita per sostituirlo con un Consiglio Nazionale di Transizione di 551 membri guidato da un Consiglio Presidenziale di 5 membri. A supervisionare il nuovo governo “tecnico” dovrebbe essere poi un Comitato Rivoluzionario degli Houthi, presieduto dal loro leader, Mohammad Al-Houthi.

L’unica strada verso una soluzione pacifica della crisi nel paese della penisola arabica appare quella del negoziato promosso dall’ONU, rappresentato dall’inviato speciale Jamar Benomar. Tuttavia, il livello dello scontro non lascia intravedere progressi, tanto più che lo stesso segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, continua a chiedere il reintegro del presidente Hadi, mentre quest’ultimo avrebbe dichiarato lunedì la sua indisponibilità a riassumere l’incarico che aveva abbandonato sotto pressione a gennaio.

Il dilagare in Yemen degli Houthi rappresenta un duro colpo per gli interessi dell’Arabia Saudita e degli Stati Uniti, i cui governi, dopo i disordini provocati dalla “Primavera Araba” del 2011, erano riusciti a mandare in porto un piano di transizione per mettere da parte l’odiato presidente, Ali Abdullah Saleh, e continuare a mantenere il controllo sul paese.

Nel 2012, così, a seguito di negoziati tra i leader politici e alle spalle della popolazione, era stata organizzata un’elezione-farsa con un solo candidato alla presidenza – Hadi, allora vice di Saleh – il quale, una volta assunto il potere, si è mostrato ancora più disponibile del suo predecessore a garantire a Washington l’utilizzo del proprio paese come base per condurre operazioni militari nell’ambito della “guerra al terrore”.

Da qualche anno, lo Yemen viene infatti indicato come uno dei poli di attrazione del terrorismo qaedista, come confermerebbe il fatto che qui sarebbero stati progettati alcuni degli attentati in Occidente nel recente passato, andati a buon fine o, per lo più, sventati. La stessa programmazione del massacro di gennaio nella redazione parigina del giornale satirico Charlie Hebdo viene ricondotta dai governi occidentali all’organizzazione al-Qaeda nella Penisola Arabica (AQAP), di stanza appunto in Yemen.

Lo Yemen è così uno dei campi di battaglia dei droni americani, ma dietro la retorica che prende di mira il fondamentalismo sunnita si nascondono interessi di altra natura. La preoccupazione principale degli USA in relazione allo Yemen è legata cioè all’importanza strategica di questo paese che confina con l’Arabia Saudita e si affaccia sullo stretto di Bab el-Mandeb, il quale congiunge il Mar Rosso con il Golfo di Aden e quindi l’Oceano Indiano.

Da qui transitano importantissime rotte commerciali, come quelle che consentono il trasporto del petrolio nordafricano o dell’export europeo e americano verso i paesi asiatici. Le preoccupazioni di Washington o Riyadh per la situazione in Yemen sono dunque facilmente comprensibili, soprattutto in considerazione del fatto che gli Houthi sciiti, secondo molti, sarebbero appoggiati dall’Iran.

Nonostante la retorica “rivoluzionaria” degli Houthi, tuttavia, i leader di questo movimento non intendono sconvolgere i rapporti sociali o le strutture del potere in Yemen, bensì desiderano ottenere un certo ruolo nella gestione dello stato e mettere fine alle persecuzioni a lungo patite dalla minoranza sciita per mano del governo centrale. Inoltre, gli Houthi si sono mostrati più volte disponibili al compromesso sia con gli altri partiti politici yemeniti sia con le potenze internazionali interessate alla stabilità del loro paese, a cominciare dagli Stati Uniti.

Proprio a Washington, infatti, sembrano essere in corso valutazioni circa la natura dei nuovi padroni dello Yemen, in modo da assodare, come ha scritto recentemente il Los Angeles Times, “se il prossimo governo [degli Houthi] possa essere convinto a prendere parte alla guerra contro al-Qaeda”, sia pure “con meno entusiasmo dei precedenti” di Saleh e Hadi.

La battaglia condotta dagli Houthi aveva comunque trovato un certo sostegno tra una popolazione sempre più ostile al governo filo-americano e filo-saudita. Secondo alcune rivelazioni, inoltre, gli stessi sostenitori del deposto presidente Saleh avrebbero appoggiato più o meno direttamente gli Houthi nel tentativo di rimuovere il governo di Hadi.

Ben presto, però, l’offensiva di un gruppo settario che rappresenta solo una minoranza della popolazione dello Yemen ha suscitato svariate proteste popolari e l’avversione delle forze politiche tradizionali, estromesse dal potere.

Lo scenario venutosi a creare, poi, rischia seriamente di far scivolare il paese nella guerra civile, dal momento che gli Houthi sono in conflitto con i militanti di al-Qaeda e, soprattutto, il loro tentativo di espandere il controllo ad altre regioni dello Yemen sta provocando pericolose spinte indipendentiste.

Il baratro in cui sta scivolando lo Yemen è in definitiva il risultato del fallimento dell’impopolare progetto politico imposto da USA e Arabia Saudita nel 2012. In maniera tutt’altro che sorprendente, tuttavia, proprio l’implosione dell’apparato statale e il caos dilagante potrebbero fornire l’ennesima occasione per giustificare un nuovo intervento militare da parte di questi stessi governi, in modo da cercare di “stabilizzare” la situazione e controllare direttamente le sorti di un paese strategicamente fondamentale e teatro di scontro delle crescenti rivalità regionali.

Pin It

Altrenotizie su Facebook

altrenotizie su facebook

 

 

ter2

Il terrorismo contro Cuba
a cura di:
Fabrizio Casari
Sommario articoli

 

USA, ritirata dal Sahel

di redazione

Le speranze di Washington di riuscire a mantenere la presenza militare in Niger sono tramontate definitivamente dopo l’arrivo a Niamey dei primi cento consiglieri militari della “Africa Corps” russa. Gli Stati Uniti lo scorso fine settimana hanno infatti reso noto di aver accettato di ritirare dal Niger il contingente di...
> Leggi tutto...

IMAGE

Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy