Il pugno di ferro del Piano Ruanda

di redazione

Dopo due anni di ostruzionismo da parte della Camera dei Lord, il governo conservatore britannico ha alla fine incassato l’approvazione definitiva della legge che consente di deportare immigrati e richiedenti asilo in Ruanda. La “Safety of Rwanda (Asylum and Immigration) Bill” ha chiuso il suo percorso al parlamento di Londra poco dopo la mezzanotte di lunedì. Il provvedimento, introdotto...
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Ucraina, l’illusione delle armi

di Michele Paris

L’approvazione di una nuova all’apparenza consistente tranche di aiuti americani da destinare all’Ucraina è stata per mesi invocata come la soluzione alla crisi irreversibile delle forze armate e del regime di Kiev di fronte all’avanzata russa. Il via libera della Camera dei Rappresentanti di Washington nel fine settimana ha perciò scatenato un’ondata di entusiasmo negli Stati Uniti e in Europa. I quasi 61 miliardi appena stanziati non faranno però nulla per cambiare il corso della guerra e, se anche dovessero riuscire a rimandare la resa ucraina, aggraveranno con ogni probabilità i livelli di distruzione e morte nel paese dell’ex Unione Sovietica. La propaganda di governi e media ufficiali, scattata subito dopo il voto in...
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di Michele Paris

L’abbattimento nel fine settimana di un aereo militare siriano da parte di un jet americano nella Siria sud-orientale rischia di far precipitare definitivamente la situazione nel paese mediorientale in guerra. La versione ufficiale offerta dagli Stati Uniti per quello che è il quarto attacco deliberato contro le forze di Damasco nelle ultime settimane è apparsa subito poco convincente, a conferma che quella in atto è una strategia per prolungare il conflitto tra lo Stato Islamico (ISIS) e il regime siriano, sempre più nel mirino di Washington e delle milizie filo-occidentali.

L’SU-22 siriano sarebbe stato abbattuto dopo che aveva bombardato truppe appartenenti alle cosiddette Forze Democratiche Siriane (SDF), a maggioranza curda e sostenute dagli USA, nella città di Jaadeen. In quest’area della Siria, le forze americane hanno creato unilateralmente una “zona di de-escalation” del conflitto, come previsto da una proposta della Russia ma mai concordata con Mosca o Damasco, da cui sostengono di addestrare guerriglieri dell’opposizione armata destinati a combattere l’ISIS.

A questi scenari ha fatto riferimento il comunicato ufficiale del Pentagono dopo l’abbattimento del jet siriano, avvertendo che attacchi volti a disturbare “le legittime operazioni anti-ISIS”, condotte dagli USA e dai gruppi armati da essi sostenuti, “non saranno tollerati”.

Fermo restando che di legittimo non vi è nulla nell’occupare militarmente il territorio di un paese sovrano senza il suo consenso, la ricostruzione americana dell’accaduto è stata smentita anche da fonti ostili al regime siriano. Testimonianze sul campo citate dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani hanno ad esempio escluso che il jet abbattuto avesse colpito le Forze Democratiche Siriane.

Piuttosto, altre ricostruzioni indicano come il velivolo da guerra del regime stesse operando contro l’ISIS a Resafa, località cruciale per l’avanzata delle forze governative verso la città  di Deir Ezzor, sotto assedio dello stesso “califfato”. In molti hanno collegato l’iniziativa militare americana di domenica con le voci di una strategia deliberata degli USA e delle milizie curde, impegnate nell’offensiva di Raqqa, di lasciare una via di fuga verso sud, cioè verso Deir Ezzor, agli uomini dell’ISIS.

Se non vi è chiarezza sui fatti di questi giorni, ciò che sembra fuori discussione è il nuovo elemento di destabilizzazione della situazione mediorientale aggiunto dall’insediamento illegale delle forze USA in territorio siriano e, precisamente, nel sud-est del paese presso la base di al-Tanf.

Quest’area della Siria è aspramente contesa tra le parti in conflitto, principalmente perché il suo controllo da parte delle forze di Assad consentirebbe al regime di assicurarsi un corridoio con l’Iraq, unendo le forze con quelle delle milizie sciite che operano oltreconfine, e da qui verso l’Iran. La base di al-Tanf è peraltro isolata e minacciata dall’avanzata delle forze governative, così che, se si esclude un ripiegamento del contingente USA nella vicina Giordania, c’è da attendersi un’escalation delle provocazioni americane nel prossimo futuro, principalmente sotto forma di attacchi come quello di domenica contro il jet siriano.

Che la situazione sia sempre più precaria ed esplosiva è superfluo ricordarlo. La risposta del governo russo all’abbattimento del velivolo di Damasco lo ha confermato chiaramente. Il ministro degli Esteri di Mosca, Sergey Lavrov, ha chiesto il “pieno rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale della Siria”, per poi ricordare come “qualsiasi iniziativa sul campo, incluse le operazioni militari, debba essere coordinata con Damasco”.

La Russia, in sostanza, ha bollato come illegali le operazioni americane in Siria, dalla creazione di una “zona di de-escalation” alle azioni contro le forze armate siriane, perché condotte in maniera unilaterale e senza un mandato internazionale.

Il primo provvedimento concreto in risposta all’abbattimento è giunto lunedì, quando il ministero della Difesa russo ha annunciato di avere sospeso la linea di comunicazione con i militari americani istituita nell’ottobre del 2015. Questa misura era stata concordata per evitare scontri indesiderati tra le forze armate delle due potenze operanti in Siria e la sua sospensione minaccia di conseguenza il verificarsi di episodi che rischiano di allargare ulteriormente in conflitto in corso.

Nel comunicato dei vertici militari russi vi sono infatti poche ambiguità sulla condotta che verrà tenuta d’ora in avanti in Siria. Se, cioè, l’aviazione russa dovesse intercettare nelle aeree in cui conduce missioni di combattimento “oggetti volanti, inclusi jet e droni della coalizione internazionale [anti-ISIS]”, questi ultimi saranno considerati “bersagli delle forze aeree e di terra” schierate in Siria.

Il pericolo concreto di uno scontro diretto tra Russia e Stati Uniti in Siria registrato nelle ultime settimane è la diretta conseguenza della decisione americana di aumentare il proprio impegno nel paese mediorientale. Tutt’altro che casualmente, ciò è avvenuto in concomitanza con l’indebolimento dell’ISIS sotto i colpi dell’offensiva russo-iraniano-siriana.

Questa evoluzione del conflitto ha costretto Washington a cercare di ritagliarsi una zona franca sotto il proprio controllo in territorio siriano, in modo da garantirsi una maggiore presenza nel paese per intervenire sulle vicende della guerra e per assistere in maniera diretta le forze dell’opposizione.

In altre parole, il recedere dell’ISIS sta rendendo sempre più evidente il vero obiettivo del coinvolgimento degli USA in Siria, ovvero il rovesciamento del regime di Assad, come dimostra appunto il susseguirsi di operazioni militari contro le forze di Damasco nelle ultime settimane. Questa realtà rende anche sempre meno sostenibile la farsa della guerra esclusiva all’ISIS che la coalizione a guida statunitense starebbe combattendo, mentre nessun interesse ci sarebbe nel colpire le forze regolari siriane.

In questo senso, sintomatico appare il dispiegamento, riportato nel fine settimana dalla stampa internazionale, di un sistema missilistico USA (HIMARS) nella base di al-Tanf in territorio siriano. La notizia ha aggravato i timori di un’escalation militare americana nei confronti del regime di Damasco e, comprensibilmente, è stata accolta con estrema preoccupazione dalla Russia.

La crisi in Siria continua infine a intrecciarsi con le tensioni e le rivalità che stanno scuotendo il Golfo Persico. Sempre nel fine settimana, infatti, l’Iran ha lanciato per la prima volta un attacco missilistico dal proprio territorio contro postazioni dell’ISIS in Siria, ufficialmente come ritorsione per l’attentato terroristico del 7 giugno scorso a Teheran.

I missili avrebbero colpito gli obiettivi prestabiliti a Deir Ezzor e, soprattutto, hanno lanciato un chiaro messaggio ai rivali regionali della Repubblica Islamica, ma anche della Russia e del regime siriano, rafforzato dall’avvertimento che azioni simili potranno ripetersi se sarà necessario.

Il governo di Teheran, cioè, ha mostrato di essere pronto e in grado di rispondere a qualsiasi provocazione dovesse derivare dal deterioramento degli scenari mediorientali, a cominciare da un possibile allargamento della guerra in Siria.

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