Gaza, gli scogli della tregua

di Michele Paris

L’attitudine dei vertici di Hamas nei confronti dell’ultima proposta di tregua avanzata da Israele sembra essere improntata a un’estrema cautela. Il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza ha fatto sapere nelle scorse ore che restano ancora elementi ambigui nella bozza sottoposta con la mediazione egiziana, anche se le trattative sono tuttora in corso e il documento potrebbe...
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Ecuador: la "valanga" referendaria

di Juan J.Paz-y-Miño Cepeda

Il 21 aprile (2024), su iniziativa del governo di Daniel Noboa, presidente dell'Ecuador, si è svolta una consultazione e un referendum su 11 quesiti, tre dei quali riguardavano il ruolo delle forze armate nella lotta contro la delinquenza e la criminalità organizzata, a sostegno della polizia; altri tre sull'estradizione degli ecuadoriani, sull'aumento delle pene e sulla scontata esecuzione di pene piene per i condannati; altri tre sulle magistrature specializzate in materia costituzionale, sul reato di porto d'armi e sul fatto che lo Stato diventerà proprietario dei beni sequestrati di origine illecita. Le altre due erano sull'arbitrato internazionale e un'altra per consentire l'introduzione del lavoro a ore e a tempo determinato....
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di Fabrizio Casari

Quando ci sono programmi e proposte, di solito il confronto o lo scontro politico emergono. Quando c’è il nulla, è la polemica a farla da padrona. Infatti, solo due giorni orsono, Pierfurby Casini, preso atto che Niki Vendola si presenterà candidato alle primarie del PD, sancendo così anche formalmente l’alleanza di Sel con il PD alle prossime elezioni, si è detto “inorridito” all’idea che Vendola possa governare il paese, attività per la quale “non è adatto”.

Bersani, dal canto suo, gli ha ricordato come di inorridimenti lui dev’essere un esperto, avendo co-governato per anni con Berlusconi. La si potrebbe definire una reazione scomposta quella del leader centrista, che pure normalmente usa un linguaggio sobrio. Tanto nervosismo è dunque da capire.

Il punto è che Casini si rende perfettamente conto che una campagna elettorale, per quanto la si provi a depotenziare, non può divenire solo un appuntamento formale, un esercizio di democrazia dovuta e nient’altro perché, comunque, Monti governava e Monti dovrà governare, vinca chi vinca e perda chi perda. E’ vero che il giochetto è riuscito nello scorso autunno, cioè un governo tecnico per cacciare Berlusconi, ma ora non può essere riproposto in assenza di quello scenario.

Berlusconi è finito e il suo partito è alla disfatta, non c’è nessuna emergenza nazionale da dover affrontare con strumenti che sospendono la democrazia, fosse anche quella formale. Peraltro, i disastrosi risultati ottenuti dai professori fanno intravvedere il baratro e non l’uscita dalla crisi. Il PD, che ha già pagato il prezzo più alto per il suo sostegno all’ammucchiata dei cosiddetti professori, non può proseguire senza porsi l’obiettivo di governare. La politica per procura la si può fare nella posizione di Casini - il nulla al centro del niente - ma non può essere proponibile come orizzonte al maggiore partito del paese.

Casini, con la Grande Coalizione e con il Monti perenne pensa di poter garantirsi un ruolo di cerniera politica e, nel contempo, evitare il centrosinistra al governo, con un esponente PD a Palazzo Chigi. Lo schema dell'emergenza nazionale dell'incarico a Monti, usato appunto l'anno scorso per far fuori Berlusconi, stavolta dovrebbe servire a far fuori Bersani. Ma il fatto é che quando i disegni sono troppo sottili, finiscono per rompersi e ritenere che il PD sia nato per far vivere di rendita il centro privo di suffragi sembra effettivamente troppo anche per un partito come quello di via del Nazareno.

Dunque si deve andare a votare e ci si dovrà presentare agli elettori chiedendo il loro voto. Monti andrebbe - nelle intenzioni di Casini e di quelli che pesano molto più di lui - presentato come "risorsa nazionale" da un arco di forze che lo metterebbe al riparo di quello che sceglieranno di dirgli gli elettori. Casini sa benissimo che Monti è amato nei circoli finanziari e di altro tipo, ma è detestato a livello popolare; purtroppo per lui, Costituzione impone che, quando il mandato scade, si vota con il suffragio universale. E proprio nei numeri sta il problema.

La difficoltà dei centristi di presentarsi dotati di sondaggi a una cifra e proporre Monti come premier é il limite strutturale dell'operazione: infatti, se invece della "Grande Coalizione" fosse solo il "Grande Centro" a proporre il nuovo mandato per il professore, vi sarebbe il rifiuto dello stesso premier, che è sufficientemente vanitoso dal voler vincere facile e sufficientemente spocchioso da non ritenersi oggetto di voto popolare ove incerto. Pierfurby, insomma, spinge sull’accelleratore della sua utilitaria parcheggiabile ovunque per il reincarico “a divinis” a Monti ma, nello stesso tempo, capisce benissimo che con il suo “Grande Centro”, già morto nella culla, non avrebbe nessuna possibilità di avvicinarsi alle percentuali che sarebbero in grado di condizionare i due schieramenti politici.

Per queste ragioni il leader dell'UDC vede l'alleanza tra Bersani, Vendola e forse altri settori della sinistra come il fumo agli occhi. Non solo per una generica avversione verso la sinistra, ma proprio perché il disegno della "Grande Coalizione" subirebbe uno stop inevitabile da un PD deciso a misurare la sua forza nelle urne sulla base di un programma diverso da quello dei professori. Casini sa bene che il suo ruolo resta centrale solo in presenza di un PD che veleggia al centro, privo di rotta e vedovo di valori di sinistra. E sa quindi che un’alleanza tra il PD e SEL di per se stessa sposterebbe contenuti e progetto in chiave progressista e potrebbe determinare un aggregatore elettorale di forte attrazione anche per quel popolo di sinistra da anni disertore delle urne.

Perché sono molti coloro i quali proprio non riescono a bersi la favola di Grillo e si troverebbero a disagio nel votare Di Pietro se andasse da solo, anche solo perché si vorrebbe votare il governo del paese e non del CSM. L’alleanza tra PD e SEL può aprire anche ad un riposizionamento della stessa IDV e ad una diversa e migliore interlocuzione con il cosiddetto “popolo dei referendum”, cioè con quelle migliaia di associazioni che, sulla difesa dei beni pubblici, costruiscono aggregazione politica e sociale non disponibile ad associarsi con i furbi del web.

Se dunque Bersani proseguirà nelle intenzioni finora dichiarate e altrettanto farà Vendola, potrebbero determinarsi due novità che aprirebbero scenari chiari: la prima è quella del fallimento dell’ipoteca di Casini sul PD, operazione che si avvale del cavallo di Troia dei democristiani interni al partito; la seconda è che un PD con Bersani vincitore delle primarie e sostenuto da Vendola, proprio perché proporrebbe una sterzata in chiave progressista della linea politica del partito, determinerebbe una frattura significativa interna con l’area degli ex PP, cui non potrebbe che seguire una conta, cioè un Congresso.

Per questo Veltroni, architetto insieme ad altri del partito, si dice oggi “preoccupato” della tenuta del PD. Non sono tanto le smodate e destrorse ambizioni di Renzi e la contesa con Bersani a minacciare l’unità interna; se Renzi non riesce a trovare un sostenitore di sinistra e un minimo di credibilità e serietà dei meccanismi di voto le primarie lo spediranno a casa. Per giunta, il sindaco di Firenze riesce persino a dividere i democristiani, giacché il sogno di rottamare tutti tranne Matteo Renzi si scontra con la voglia di autoriprodursi del ceto democristiano ed ex-pci del PD.

E’ invece il mutare dello scenario delle alleanze (prima con Casini, poi con Casini e Vendola, ora solo con Vendola) che mette seriamente in discussione l’unità interna del partito. Poiché ne ipotizzano uno scatto, la ricerca di una identità politica, la proposta di un programma che si distingua in forma decisa dalle ricette economiche ultraliberiste dei tecnici. Tutto quello che i teorici dell’intoccabilità dell’agenda Monti vedono come il fumo negli occhi.

Per i democristiani che lavorano per Casini nel Pd sarebbe una sciagura, dal momento che una fase congressuale pre-elettorale costituita da due diverse e divergenti opzioni in campo, evidenzierebbe la loro dimensione fortemente minoritaria nel partito. E in alternativa, visto il peso elettorale di cui dispongono, la minaccia profferita tra le righe da Letta e più volgarmente da Fioroni di una possibile uscita della loro area dal PD, non spaventa nessuno; anzi quasi galvanizza molti, cioè i tanti ad essersi resi conto che la costruzione in laboratorio del PD si è rivelata un disastro politico. Sarebbe un boomerang, di quelli che hanno già colpito la triade Rutelli, Binetti e Lanzillotta, residuati di tutti e cercati da nessuno. Nessuno li eleggerebbe più, dovrebbero cercarsi i voti e non li troverebbero.

Ma sarebbe un guaio grosso per lo stesso Casini, che di ora in ora vede Fini, Montezemolo e la restante compagnia di giro perdere ruolo e peso. C’è il rischio che Pierfurby, che pensava di detenere un’ipoteca sul PD e d’intestarsi il “Grande centro”, che credeva di poter limare il PDL e inglobare i professori, si ritrovi da solo al centro di una piazza vuota. A fare il “Grande Centro”.

 

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