L’Unione Europea ha avuto sin dall’inizio dell’operazione destabilizzatrice in Ucraina un ruolo tutt’altro che marginale. Dalla fabbricazione mediatica della “pasionaria” Timoshenko al sostegno di Poroshenko, fino alla vittoria di Zelinsky, Bruxelles è stata un attore importante della vicenda politica ucraina. La frattura con la Russia ha inizio infatti quando la UE stimola Kiev ad un atteggiamento di aperto contrasto con Mosca, per poi proporre scambi commerciali ed integrazione economica alternativi a quelli con la Russia fino a proporgli l’ingresso nell’Unione Europea.

Il voto tedesco è arrivato ed ha portato il sommovimento che si prevedeva. Gli exit-poll assegnano una crescita impetuosa ai nazisti di AfD che è solo in parte compensata dalla crescita della sinistra di Die Linke e dall’affermazione del BSW, a pochi voti dal superare la soglia di sbarramento. Il dato politico altrettanto rilevante riguarda però il crollo della SPD, il partito di governo colpevole del coinvolgimento della Germania nella guerra alla Russia che ha determinato una violenta crisi industriale.

L’affermazione della CDU indica uno spostamento al centro dell’elettorato ma è presto per capire se vi saranno le condizioni per una coalizione di governo, ovvero se la maggioranza numerica possa diventare maggioranza politica. In generale, ma a maggior ragione quando un Paese si trova nell’epicentro di una crisi, la somma matematica non offre sempre un risultato politico. E che la situazione in Germania (come in tutta Europa) sia in preda a sommovimenti non vi sono dubbi; è chiaro che il ciclone Trump sta portando a riflessioni e considerazioni inedite, tutte da decifrare. Al momento, comunque, sembra possibile solo un’alleanza della CDU con la SPD e con i Verdi, anch’essi ridotti di 3 punti rispetto al passato, proprio perché entusiasti adoratori del guitto Zelensky.

È trascorso solo un mese dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ma la direzione intrapresa dalla sua seconda presidenza verso un consolidamento dei poteri dell’esecutivo in senso autoritario appare già chiaramente visibile. Tra le altre iniziative riconducibili a questa involuzione, una delle più controverse è quella che stabilisce l’autorità sostanzialmente assoluta del presidente su una serie di agenzie federali considerate indipendenti e che operano in svariati ambiti, producendo direttive e regolamentazioni, assicurandone l’implementazione e imponendo sanzioni per il mancato rispetto di esse. Trump si è auto-assegnato questo potere attraverso un decreto presidenziale firmato nei giorni scorsi. La decisione ha già innescato cause legali che finiranno probabilmente davanti alla Corte Suprema, dove il principio alla base dell’indipendenza di questi organi potrebbe essere cancellato in via definitiva.

L’area del Pacifico è in questi giorni nuovamente interessata da gravi tensioni tra il fronte filo-americano e la Cina dopo che Pechino ha mandato in porto un accordo di “cooperazione strategica” con il governo delle isole Cook. Questo arcipelago di appena 15 mila abitanti è una sorta di semi-colonia della Nuova Zelanda e qualsiasi iniziativa della sua classe politica che metta in discussione lo status quo, tanto più aprendo spazi alla penetrazione cinese, viene vista come una minaccia inaccettabile. Il primo ministro delle Cook, Mark Brown, ha cercato in tutti i modi di rassicurare il governo neozelandese, ma in un quadro regionale segnato dalla crescente competizione con la Cina è improbabile che la questione venga dimenticata in fretta, nonostante il pieno diritto del piccolo paese del Pacifico a esplorare qualsiasi opportunità di sviluppo economico.

I colloqui preliminari conclusi martedì a Riyadh tra le delegazioni di Stati Uniti e Russia non hanno prevedibilmente avvicinato una soluzione diplomatica alla crisi ucraina né resettato del tutto le relazioni tra le due potenze nucleari. Dopo un summit di oltre quattro ore dai toni cordiali, tuttavia, il risultato più importante è stato l’accordo sulla preparazione di un vero e proprio negoziato, basato sul riconoscimento degli interessi strategici di entrambe le parti. Il prossimo passo potrebbe essere ora l’atteso faccia a faccia tra Putin e Trump, ma le variabili sulla strada della pace in Ucraina restano moltissime, a cominciare dal comportamento dei vassalli europei, messi da parte dalla nuova amministrazione repubblicana, e dello stesso regime di Zelensky, il cui futuro appare cupo come non mai in questi ultimi tre anni.

Mentre Trump e i suoi uomini hanno definito chiaramente gli obiettivi in relazione alla guerra tra Russia e Ucraina, sia pure tralasciando o posticipando i dettagli cruciali, l’Europa resta ancorata a una realtà superata da tempo dagli eventi e continua a impegnarsi pubblicamente per un progetto irrealizzabile, sia esso la vittoria di Kiev o una “pace giusta” oppure, ancora, l’ottenimento di adeguate garanzie di sicurezza per il paese dell’ex Unione Sovietica.


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy