La clamorosa caduta del neo-cancelliere tedesco, Friedrich Merz, nella prima votazione al Bundestag di martedì per la fiducia al suo nascente governo ha dato subito e in maniera inequivocabile la misura dell’impopolarità della maggioranza formatasi a Berlino dopo le elezioni anticipate dello scorso febbraio. L’ex presidente della divisione tedesca del colosso delle speculazioni BlackRock ha alla fine superato l’ostacolo nella seconda votazione in aula, grazie anche alla collaborazione dei partiti di opposizione. Le basi del suo governo con i socialdemocratici (SPD) appaiono però da subito molto fragili, così da rendere complicata l’implementazione di un’agenda fatta di militarismo spinto, tagli selvaggi alla spesa sociale e rilancio degli interessi del capitalismo tedesco sul piano internazionale.

La risoluzione approvata lunedì dal gabinetto israeliano del primo ministro/criminale di guerra, Benjamin Netanyahu, ha tutto l’aspetto di una soluzione finale al “problema” palestinese nella striscia di Gaza. Occupazione militare permanente, espulsione o confinamento degli abitanti in campi di concentramento, restrizioni estreme nella distribuzione di cibo e aiuti, sterminio puro e semplice tramite fame, malattie e violenza sono le caratteristiche principali del piano che verrà implementato a breve da Tel Aviv. Mentre media e politici occidentali cercano di presentare la nuova iniziativa israeliana come un mezzo per fare pressioni su Hamas e ottenere la liberazione degli “ostaggi”, Netanyahu e i suoi complici non hanno ormai più nessuno scrupolo nel descrivere il piano per quello che realmente rappresenta.

I faticosi negoziati in corso tra Iran e Stati Uniti continuano a essere una delle priorità della politica estera di Donald Trump, tanto da avere probabilmente influito sul primo licenziamento eccellente nello staff dell’amministrazione repubblicana. I messaggi che arrivano da Washington restano peraltro contraddittori e il rinvio del nuovo round di colloqui, inizialmente previsto per lo scorso fine settimana, assieme alle ennesime sanzioni decise dalla Casa Bianca, sembrano anticipare un possibile e tutt’altro che sorprendente naufragio della diplomazia. Come sempre con Trump, però, è di fatto impossibile decifrare la strategia messa in campo, sempre che una strategia esista realmente, così da rendere precaria ogni speculazione sulla possibile risoluzione o sul precipitare della crisi del nucleare iraniano.

L’accordo sulle terre rare tra Stati Uniti e Ucraina è stato firmato, ma chiamarlo accordo è uno strano modo di definire l’esproprio del 50% delle ricchezze nazionali da parte di un paese verso un altro. Non si può negare, infatti, che con l’accordo si sia suggellata un’autentica vergogna per l’Ucraina che cede le sue scarse ricchezze residue in cambio del protettorato statunitense. La firma del suo presidente (abusivo) consente lo spoglio di una delle due fonti di ricchezza del suo Paese, con la prima (quella agricola) già ceduta alle multinazionali statunitensi. Quindi la famosa indipendenza di Kiev dalla Russia è in realtà una dipendenza totale dagli Stati Uniti.

Le prime conseguenze elettorali del secondo mandato presidenziale di Donald Trump si sono potute osservare nella giornata di lunedì, anche se non negli Stati Uniti e con risultati che hanno evidenziato un’influenza indiscutibilmente negativa. L’inquilino della Casa Bianca è stato infatti un fattore decisivo nel voto anticipato in Canada che ha fatto registrare uno dei recuperi più clamorosi della storia di questo paese e non solo. Il Partito Liberale di centro(-sinistra) del neo-primo ministro, Mark Carney, ha ottenuto la quarta vittoria consecutiva alle urne, relegando i conservatori nuovamente all’opposizione al termine di una campagna elettorale che ha visto il loro leader, Pierre Poilievre, riproporre molti dei temi e delle strategie trumpiane.


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