Nel darne l’annuncio domenica, Ursula von der Leyen ha affermato che l’accordo commerciale tra Europa e Stati Uniti “crea certezza in tempi incerti”. Solo questo aspetto, secondo la presidente della Commissione Europea, dovrebbe rassicurare il mondo del business da questa parte dell’Atlantico, ma, in realtà, l’unica certezza che certifica l’intesa annunciata in Scozia nel “resort” di proprietà del presidente Trump è il suicidio economico dell’Europa. Infatti, le reazioni di svariati leader dei singoli paesi dell’Unione e dei rappresentanti delle imprese che esportano negli USA sono state, a parte qualche rara eccezione, nella migliore delle ipotesi caute, mentre alcuni hanno denunciato apertamente un accordo che, per come è stato presentato finora, sembra favorire soltanto Washington.

Migliaia di persone sono scese in piazza a Kiev per protestare contro la legge fatta approvare da Zelensky che pone sotto il controllo del governo le agenzie che si occupano del contrasto alla corruzione. Che in Ucraina è questione enorme quanto atavica: rimonta sin dall’inizio degli anni ’90 e ha visto tutti i pupilli dell’Occidente - dalla Timoshenko a Poroshenko finendo con Zelensky - trasformare le loro amministrazioni in una greppia.

L’amministrazione Trump sembra avere rotto gli indugi nei giorni scorsi inserendosi apertamente negli intrighi strategici in corso nel Caucaso meridionale con una proposta in apparenza neutrale, ma che rivela finalmente le mire di Washington in quest’area del globo. L’ambasciatore americano in Turchia e plenipotenziario di Trump in Asia occidentale, Tom Barrack, ha infatti ipotizzato una concessione di 100 anni a una società o a un consorzio statunitense per la gestione della rotta, nota col nome di “Corridoio Zangezur”, che dovrebbe attraversare l’Armenia per collegare l’Azerbaigian con la sua exclave occidentale di Nakhchivan. Questo progetto è sul tavolo fin dalla stipula dell’accordo di pace del novembre 2020 che mise fine alla guerra tra Baku e Yerevan, ma da allora entrambi i governi – dietro pressioni esterne – ne hanno cambiato le condizioni di implementazione, al preciso scopo di ridurre drasticamente l’influenza nel Caucaso meridionale di Russia e Iran.

La ripresa dei “colloqui di pace” tra Russia e Ucraina nella giornata di mercoledì è stata anticipata da tensioni quasi senza precedenti negli ultimi tre anni e mezzo all’interno del regime di Zelensky, evidentemente in conseguenza della posizione sempre più precaria di Kiev sul fronte militare e del rallentamento dei trasferimenti di armi dall’Occidente. Se i risultati del nuovo round di negoziati a Istanbul saranno tutti da verificare, le iniziative del “presidente” ucraino di questa settimana contro gli organi anti-corruzione nominalmente indipendenti dell’ex repubblica sovietica, assieme al precedente rimpasto di governo, rivelano il tentativo disperato di evitare il tracollo del regime sotto la spinta dell’avanzata delle forze russe sul campo.

La seconda batosta elettorale consecutiva in meno di un anno, incassata dal partito conservatore al potere in Giappone, non poteva arrivare in un momento peggiore. Il governo del primo ministro, Shigeru Ishiba, è infatti nel pieno delle trattative con gli Stati Uniti per evitare l’imposizione dei dazi minacciati da Trump, che avrebbero un effetto potenzialmente rovinoso su un’economia già in affanno. Allo stesso tempo, qualsiasi concessione alla Casa Bianca in ambito commerciale potrebbe danneggiare ulteriormente un esecutivo già abbastanza debole e impopolare, aprendo la strada, oltre che a una nuova fase di instabilità domestica, a un’altra corsa per la leadership del Partito Liberal Democratico (LDP) e del governo stesso.


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