La sentenza emessa mercoledì contro l’amministrazione Trump da un tribunale federale americano non risolve con ogni probabilità la crisi scatenata dall’imposizione a tappeto di dazi contro decine di paesi da parte del presidente repubblicano. Il fatto che il ricorso a questo strumento sia stato giudicato illegale e le vicissitudini giudiziarie che seguiranno nei prossimi mesi potrebbero tuttavia spuntare l’arma della minaccia di applicare tariffe doganali punitive per ottenere alcuni degli obiettivi – commerciali e non – della Casa Bianca. Per il momento, mercati, borse e aziende di tutto il mondo hanno tirato un sospiro di sollievo, in attesa del prossimo capitolo di una vicenda che sta pericolosamente sconvolgendo i meccanismi economici e commerciali consolidati.

Nel patteggiamento che qualche giorno fa ha chiuso la causa legale in cui era coinvolta la Boeing per i due incidenti aerei mortali del 2018 e 2019, il fattore “giustizia” ha avuto poco o nessun peso nella decisione presa dal governo americano e approvata da un giudice del Texas. Il colosso dell’aeronautica ha accettato di pagare una sanzione decisamente trascurabile in proporzione al valore della società e dei reati in questione, riuscendo a evitare l’incriminazione e una quasi certa condanna. L’esito della vicenda, fortemente criticato dai famigliari delle vittime, è il risultato di una manovra pilotata dal dipartimento di Giustizia per salvaguardare il ruolo di Boeing nei progetti di rinnovamento del settore della difesa USA e nella promozione all’estero, da parte dell’amministrazione Trump, dell’industria bellica americana.

La decisione del neo-cancelliere tedesco, Friedrich Merz, di autorizzare il regime di Zelensky a lanciare missili forniti dall’Occidente in profondità nel territorio russo conferma che tra i governi europei continua a persistere la fantasia di potere invertire le sorti della guerra in Ucraina e dettare le condizioni della pace al Cremlino. Questa notizia è stata accolta con gli ormai noti avvertimenti da parte di Mosca circa i “pericoli” di un ulteriore coinvolgimento nel conflitto della Germania o di altri sponsor di Kiev. Soprattutto, i segnali che arrivano in questi giorni prospettano complicazioni nel già difficoltoso processo diplomatico appena iniziato. Come è accaduto ad esempio con il recente commento senza senso di Donald Trump sul presidente russo Putin e la massiccia operazione militare ordinata nel fine settimana in Ucraina.

Le pressioni di Stati Uniti e Israele di questi mesi sul governo libanese e su Hezbollah per indebolire e isolare il partito-movimento sciita non sembrano avere ottenuto risultati significativi almeno sul piano politico. Infatti, nonostante una feroce campagna militare e ricatti più o meno espliciti rivolti al nuovo governo di Beirut, l’alleanza sciita tra Hezbollah e Amal ha fatto il pieno di seggi nella quarta e ultima tranche delle elezioni municipali in Libano, andata in scena nella giornata di sabato nelle province meridionali del paese mediorientale.

In uno scenario esplosivo, Hezbollah e la sua nuova leadership hanno evidenziato una tenuta notevole, confermando, al di là della retorica occidentale, la popolarità del movimento e il fortissimo radicamento nel territorio anche grazie alle proprie attività in ambito sociale a fronte di istituzioni statali a dir poco latitanti. L’illusione di assestare un colpo mortale alla “Resistenza” libanese da parte americana e israeliana semplicemente assassinando gli esponenti di vertice o cercando di attribuire a Hezbollah la situazione drammatica del Libano è rimasta appunto tale. La campagna anti-Hezbollah ha finito piuttosto per favorire il movimento sciita, identificato a ragione come l’unico baluardo contro l’occupazione, l’influenza e la violenza sioniste.

Nonostante il ripudio internazionale alla sua campagna di eliminazione sistematica e definitiva dei palestinesi, con l’obiettivo di cancellare la Palestina, occuparne la terra e trasformarla in territorio israeliano, il governo Netanyahu ha iniziato le operazioni per l’invasione della Cisgiordania. Così smentendo che sia Hamas l’obiettivo di Tel Aviv, dal momento che in Cisgiordania governa l’ANP.


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