Diversamente da quanto annunciato circa i tempi della sua decisione, Trump ha fatto sferrare un attacco aereo ai siti iraniani di Fordow e di Natantz, dove erano situati i laboratori per l’arricchimento dell’uranio, regolarmente ispezionati dalla Aiea e considerati dalla stessa intelligence USA “non in grado di porre una minaccia a medio termine”. I bombardieri B2, decollati dalla base di Diego Garcia e provenienti dalla loro base in Missouri, hanno sganciato 12 bombe GBU-57, capaci di penetrare il sottosuolo fino a 100 metri. Azione inutile ai fini militari, giacché da diversi giorni Fordow, Natantz e altri siti erano stati evacuati, e non a caso l’AIEA ha registrato assenza di radiazioni a seguito del bombardamento USA.

Praticamente tutto il mondo è in questi giorni con il fiato sospeso in attesa della decisione del presidente americano Trump se trascinare o meno gli Stati Uniti nella guerra di aggressione di Israele contro l’Iran. Le indicazioni più recenti lasciano intendere che la Casa Bianca finirà per partecipare direttamente a una nuova guerra rovinosa e senza via d’uscita in Medio Oriente. Nonostante venga fatto credere all’opinione pubblica che sia normale e legittimo che il presidente detenga il potere di scegliere se entrare in guerra, sia essa provocata o come nel caso attuale totalmente ingiustificata, questa facoltà non spetta tuttavia al vertice del potere esecutivo. Essa appartiene esclusivamente a quello legislativo, ovvero il Congresso, il quale ha però rinunciato da tempo alle proprie prerogative per demandarle alla Casa Bianca, con i risultati che tutto il mondo ha potuto osservare in questi ultimi decenni.

Donald Trump ha scaricato la consueta dose di minacce, promesse ed avvertenze all’indirizzo dell’Iran e dei suoi amici. Agli ayatollah ha chiesto una “resa incondizionata”, nemmeno fosse immerso in un film di cappa e spade. Ovviamente da Teheran rifiutano l’inginocchiatoio del suprematismo occidentale e fanno presente come il tentativo di regime-change in corso non sarà né indolore né vittorioso.

All’elenco degli arresti di oppositori dell’amministrazione Trump si è aggiunto questa settimana un altro nome eccellente dopo i casi documentati nelle scorse settimane in varie parti degli Stati Uniti. Tutti gli episodi hanno a che fare con le politiche ultra-autoritarie contro gli immigrati, vero e proprio banco di prova del presidente repubblicano per l’implementazione della propria agenda autoritaria. A finire in manette martedì è stato il “comptroller” della città di New York, Brad Lander, in seguito a una disputa con agenti dell’Agenzia per l’Immigrazione (ICE) che cercavano di arrestare un immigrato accompagnato in tribunale dallo stesso politico democratico.

L’aggressione senza giustificazioni dell’Iran da parte di Israele è stata accompagnata da dichiarazioni contrastanti provenienti da Washington, inizialmente tese a prendere le distanze dalle operazioni militari dell’alleato e in seguito di quasi ammissione della sostanziale complicità con l’entità terroristica ebraica. Queste contraddizioni rivelano forse l’intenzione dell’amministrazione Trump di conservare uno strumento di pressione sul governo della Repubblica Islamica per ottenere pesanti concessioni in vista di un possibile “accordo diplomatico”. Di certo, il regime del premier/criminale di guerra Netanyahu ha chiarito subito da parte sua che gli attacchi sono coordinati con gli Stati Uniti. Una versione, quest’ultima, quasi certamente corrispondente alla realtà e che, nelle prime fasi di un conflitto con conseguenze potenzialmente disastrose per tutto il Medio Oriente e non solo, porta Tel Aviv e Washington ad un livello di criminalità difficilmente paragonabile a qualsiasi altro precedente storico.


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