di Domenico Melidoro

Una tesi abbastanza diffusa vuole che le maggiori minacce per la tenuta del Governo Prodi provengano dalla cosiddetta sinistra radicale (o, se si preferisce, antagonista) e dalle sue aspirazioni massimaliste inconciliabili con lo spirito riformista che dovrebbe ispirare l’operato dell’Esecutivo. Le cronache di sabato 4 novembre hanno registrato una manifestazione di lavoratori precari a Roma alla quale hanno preso parte esponenti del governo in carica e leaders di alcuni partiti della maggioranza (PRC, Verdi e PdCI). Secondo molti osservatori questa sarebbe l’ennesima dimostrazione della presenza nel governo di una sinistra estrema che protesta contro il Governo di cui fa parte e non permette la realizzazione delle condizioni necessarie a una politica di reale innovazione.

di mazzetta

Una nota trasmissione televisiva ha intervistato a tradimento alcuni parlamentari aspettandoli fuori dalle camere per interrogarli sui fatti di cronaca. Il risultato è stato quanto di più desolante. A domanda risposero che il Darfur è uno stile di vita (confondendolo con il fast-food); che Abu Grahib era un tizio che è stato torturato (e che “l’effetto - Abu Grahib” è il sinonimo di “effetto - domino”); che Rabin era un rappresentante palestinese incarcerato e oppresso; che Hitler non scrisse il Mein Kampf perchè non aveva tempo. A completare il quadro una diffusa ignoranza sul significato di oscure sigle, su cosa significhi Consob, o su quella altrettanto misteriosa che identifica la Rizzoli-Corriere della Sera (RCS).

di Domenico Melidoro

Il decreto fiscale collegato alla Finanziaria è passato alla Camera, nonostante le rumorose quanto scarsamente civili intemperanze del Polo. Sarà ora la volta del Senato, dove la situazione è, ovviamente, numericamente diversa. Ma l’ottimismo di Prodi è ormai cosa nota. Di fronte al crescente malcontento nei confronti della manovra finanziaria che riceve critiche dall’opposizione (ma anche da alcuni settori non trascurabili della maggioranza) dagli industriali e dai sindacati, il Premier qualche giorno fa ha sorprendentemente affermato che “una finanziaria se è seria deve scontentare tutti. E questa va bene” (il Manifesto, 21 Ottobre 2006). Eppure, uno sguardo un poco più realistico rileva che la finanziaria si sta rilevando una prova estremamente difficile per la tenuta della maggioranza e del Governo del Professore. Infatti, con il passare dei giorni e con il susseguirsi di accesi dibattiti sugli errori commessi dal Premier e dai suoi Ministri, anche il sorridente Prodi è stato costretto ad ammettere che qualcosa non procede per il verso giusto.

di Giovanna Pavani

Che il mondo del lavoro sia sempre più precario è, purtroppo, un’ovvietà con cui si è costretti a confrontarsi quotidianamente. Oggi, in Italia, perdere il posto significa rimanere per strada. Ma la maggioranza dei lavoratori italiani un posto di lavoro vero, a tempo indeterminato, non l’ha mai conosciuto. E, forse, non lo conoscerà mai. E’ una situazione sempre più allarmante che ha convinto il Presidente della Repubblica ad intervenire, ancora una volta, su questo fronte. Lo ha fatto sollecitando con forza il Parlamento a perdersi meno in chiacchiere affrontando con determinazione, una volta per tutte, quella che sta diventando la prima emergenza nazionale al pari solo della devastazione dei conti sociali: la precarietà del lavoro.Parlando davanti ad un folto numero di studenti e docenti universitari che lo sollecitavano sulle speranze tradite e sull’inutilità di proseguire nella valorizzazione della loro cultura e della qualificazione professionale, visti gli sbocchi del mercato, Napolitano non ha usato mezze parole: “E’ un problema molto serio, mi auguro che possa essere affrontato al più presto nelle sedi giuste, cioè in Parlamento”.

di Elena G. Polidori

La Chiesa non fa politica. Ma detta la linea ai politici e pretende obbedienza. Mentre un nutrito drappello di parlamentari, democristiani di ieri e teocon di oggi, planavano su Verona con volo speciale (spiccavano, dopo Romano Prodi, Rosy Bindi, Pier Ferdinando Casini, Buttiglione ed Enzo Carra ) per dimostrare ancora una volta il proprio ossequio ai diktat d’Oltretevere, in uno stadio Bentegodi stracolmo e ridondante di fischi verso Prodi e Berlusconi, Benedetto XVI cominciava a leggere le trenta cartelle del suo discorso. Che passerà alla storia come l’apoteosi dell’ipocrisia cattolica e la ferma volontà di Santa Romana Chiesa di non mollare neanche un minuto la propria pressione ed ingerenza sulla politica e nel tessuto connettivo laico del Paese. In puro stile Ratisbona, il Papa ha tenuto un'altra solenne “lezione magistrale”, stavolta senza scivolare in citazioni ambigue nei confronti dell'Islam, ma sparando con grande chiarezza contro i laici, l’amore gay e i soliti pacs: oscurantismo di una Chiesa che “non fa politica”, ma che pretende di governare, obbligando la politica all’obbedienza. E con raggelante successo.


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