Il drastico peggioramento della situazione nella guerra con la Russia sta alimentando un feroce conflitto interno al regime ucraino, con il presidente Zelensky in rotta di collisione sempre più aperta coi vertici militari e, in particolare, il comandante delle forze armate, generale Valery Zaluzhny. Lo scontro non promette nulla di buono per l’ex attore comico, né per le prospettive a breve e medio termine del suo paese. Un’ulteriore escalation è inoltre facilmente prevedibile, soprattutto dopo il recente probabile assassinio di uno stretto collaboratore di Zaluzhny e l’annuncio della cancellazione delle elezioni della prossima primavera da parte dello stesso Zelensky.

La decisione di ripresentare Joe Biden come candidato alle presidenziali del prossimo anno potrebbe costare molto cara al Partito Democratico americano. Anche se il probabile sfidante per la Casa Bianca sarà un Donald Trump che, denunce di brogli a parte, era risultato uno dei più impopolari presidenti uscenti alla fine del suo mandato, le prospettive per l’ultra-ottuagenario Biden e il suo partito tra dodici mesi appaiono decisamente cupe. I segnali d’allarme tra i vertici democratici si stanno moltiplicando, soprattutto alla luce della disastrosa gestione delle crisi in Ucraina e in Medio Oriente. Due recentissimi autorevoli sondaggi di opinione hanno poi aggravato la situazione per il presidente, dato in affanno in quasi tutti gli stati americani tradizionalmente decisivi per gli equilibri elettorali.

Nessun cessate il fuoco e nemmeno una pausa momentanea. Il genocidio palestinese va avanti e oltre al tritolo a Gaza gli tocca anche la propaganda. Sì perché la visita di Blinken a Sharon è stata una messinscena studiata per rafforzare il reciproco gioco delle parti, tra gli USA alleati fedeli ma ragionevolmente preoccupati del contesto internazionale e Israele, ansiosa solo di chiudere la partita con Hamas. Una recita pensata per placare la comunità internazionale, mandare messaggi alle capitali mediorientali e a fini interni, a Washington come a Tel Aviv.

Negli USA la comunità arabo-statunitense è furiosa con Biden: un sondaggio dell’Arab American Institute rivela che solo il 17% è pronto a rieleggere Biden (nel 2020 il 59% era con lui): è una comunità piccola ma importante in stati in bilico come Michigan e Pennsylvania. In Israele, invece, l’odio per Netanyahu è trasversale a società civile e militari e un minuto dopo il cessate il fuoco Netanyahu dovrà dimettersi; cerca di risalire la corrente dandosi la fama di sterminatore di palestinesi, ma comunque vada la sua carriera politica è finita.

L’esplosione della guerra in Medio Oriente sembra avere dato il colpo di grazia alle speranze ucraine di tenere alto il livello di appoggio dell’Occidente per proseguire in un conflitto disperato contro la Russia. Gli aiuti militari ed economici vengono approvati sempre con maggiore difficoltà, se non boicottati del tutto, e le forze in termini di risorse umane che il regime di Zelensky è in grado di mettere assieme ormai ridotte all’osso. In questo scenario, il crollo definitivo dell’Ucraina appare vicino. L’unica alternativa, prima respinta fermamente ma ora in discussione anche a livello pubblico, è l’avvio di un qualche negoziato di pace con Mosca. USA ed Europa starebbero infatti lavorando proprio a questa opzione, come ha confermato un articolo, fino a poco tempo fa semplicemente impensabile per la galassia “mainstream”, apparso sabato sul sito del network americano NBC News.

L’obiettivo primario di Israele nella campagna criminale in corso a Gaza è l’espulsione totale della popolazione palestinese dalla striscia. Non sono soltanto i proclami dei leader del regime sionista e le azioni delle sue forze armate in queste settimane di guerra a dimostrarlo, ma anche alcuni documenti pubblicati recentemente da organi del governo e da enti ad esso molto vicini. L’appropriazione totale delle terre palestinesi si basa sia su teorie al limite del patologico basate sui testi sacri sia sul principio della forza pura e semplice che da decenni viene favorito dall’appoggio garantito allo stato ebraico dagli Stati Uniti e dal resto delle “democrazie” occidentali.

All’interno del regime di Netanyahu sta circolando almeno un piano per portare a termine la pulizia etnica di Gaza e l’occupazione definitiva di questo territorio da parte di Israele. Il giornale israeliano Mekovit ha infatti rivelato nei giorni scorsi il contenuto di uno studio realizzato dal ministero dell’Intelligence, nel quale si raccomanda il trasferimento forzato dei circa 2,3 milioni di palestinesi residenti a Gaza.


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