di Fabrizio Casari

Milletrecentocinquanta miliardi di Euro. Non sono un bilancio mai certificato di un paese del sud del mondo; nemmeno lo stanziamento previsto per il miglior welfare possibile nel nostro Paese. E’ solo quanto le borse hanno bruciato la settimana di contrattazioni appena conclusa, che vede la perdita secca del 22% del valore dei titoli. Vedremo come reagiranno oggi i mercati, dopo le misure straordinarie assunte dalla Ue, ma essere ottimisti sarebbe folle. Una volta era il venerdì nero, poi divenne il lunedì nero, adesso pare che solo il sabato e la domenica non lo siano, dato che le Borse sono chiuse e i titoli non si muovono. Titoli che hanno una peculiarità: come capitali volatili si alzano in cielo agitando ricchezza fatta di nulla e destinata a pochi, come carta straccia ritornano sulla terra, in un monopoli perverso che li spalma su tutti sotto forma di recessione. L’economia drogata del turbo capitalismo, che negli anni ’90 invitava i risparmiatori a diventare investitori, (solo per avere a disposizione i capitali freschi con i quali costruire le speculazioni) a comprare paesi interi a prezzi di saldo e che ora cerca rifugio nell’intervento delle banche centrali, è finta nei suoi effetti benefici ma vera nei detriti che trascina con sé.

di Ilvio Pannullo

La caduta agli inferi di alcuni tra i maggiori istituti di credito statunitensi, con il conseguente piano di recupero a spese della collettività, è stato definito da alcuni analisti come una sorta di 11 settembre dell’economia. E’ probabile infatti, che esso rappresenti la definitiva messa in crisi dell’impianto monetarista che aveva caratterizzato le politiche economiche dell’amministrazione Bush. I rovesci in Afganistan e Iraq e la destabilizzazione del Pakistan in questo momento sono solo lo sfondo della crisi politica che caratterizza la fine del mandato presidenziale. Che è in primo luogo la fine di quella lobby neocons che così in profondità ha attraversato i due mandati presidenziali di George W. Bush. Lo strettissimo legame tra le politiche economiche e militari del peggior presidente della storia Usa, hanno infatti avuto come centro ispiratore della sua aggressività internazionale proprio questa sorte di conventicola delinquenziale che tanto ha contribuito all’ascesa di Bush e alle guerre da lui scatenate in giro per il mondo.

di Michele Paris

La tempesta abbattutasi da qualche settimana su Wall Street e di riflesso sul sistema bancario mondiale, oltre ad avere segnato probabilmente l’inizio della fine della deregulation reaganiana, ha contribuito a seppellire in maniera definitiva anche l’immagine di “maverick” che il candidato repubblicano alla Casa Bianca si era costruito in oltre due decenni di frequentazioni politiche. L’inevitabile irruzione nel dibattito politico americano dei temi legati all’economia in crisi ha rappresentato infatti una vera e propria sciagura per il 72enne senatore dell’Arizona. Il più o meno contemporaneo dissolvimento dell’entusiasmo iniziale prodotto tra una parte delle elettrici e degli elettori indipendenti dalla scelta di Sarah Palin come candidata alla vicepresidenza - una volta emersa la sua totale impreparazione a ricoprire un ruolo di una tale importanza - ha costretto così McCain a giocare le sue ultime carte a disposizione per invertire la dinamica di una corsa che a poco meno di un mese dalle elezioni sembra essersi messa decisamente a favore di Barack Obama.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Un attacco del genere non si era mai registrato contro le forze di sinistra. Impensabile ai tempi dell’Urss. Ma ora, nel clima generale di un becero anticomunismo di ritorno e mentre sale sulle rive della Moscova l’amore per Berlusconi, ecco Radio Mosca, che un tempo osannava e corteggiava le sinistre italiane, attuare una netta svolta. E sotto i colpi della critica e delle accuse cade Veltroni. Perchè quell’intervista che il leader italiano ha rilasciato al Corriere della sera per denunciare l’importazione in Italia del cosiddetto “modello Putin”, ha suscitato le ire dei laudatores del regime putiniano, in primo luogo i nuovi inquilini dell’emittente russa: tutti pronti a battere la mani al Capo, come ai vecchi tempi, quando c’erano Breznev e compagni. Ed ecco che dalle onde di questa Russia radiofonica riceviamo una lezione di stile scolastico sulle istituzioni russe. Ci viene ricordato che tutto è in regola ed è in sintonia con le norme democratiche occidentali: c’è una Costituzione e c’è poi una Camera alta “in cui ha trovato attuazione il sogno federalista di Umberto Bossi, dal momento che è costituita da rappresentanti delle Regioni e delle varie autonomie esistenti, per tradizione, nel paese...”.

di Eugenio Roscini Vitali

Ci sono voluti sedici anni perché il popolo angolano potesse tornare alle urne, perché la politica del non cambiamento prevalesse e il Movimento Popolare di Liberazione dell'Angola del presidente José Eduardo dos Santos, capo dello Stato dal 1979, si aggiudicasse le elezioni legislative con l’81,64% delle preferenze. Sedici anni durante i quali, pur rimanendo politicamente statico ed asfittico, l’Angola ha scoperto le immense ricchezze naturali di cui dispone e si è trasformato: è diventato il quarto produttore al mondo di diamanti e, insieme alla Nigeria, il primo produttore africano di petrolio; è entrato a far parte dell’Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio e tra i maggiori sostenitori delle missioni di pace organizzate dall’Unione Africana; ha abbandonato definitivamente l’idea marxista che ne aveva contraddistinto i primi anni dell’indipendenza dal Portogallo aprendosi all’economia di mercato.


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