di Michele Paris

In coincidenza con le lacrime versate della senatrice di New York, Hillary Rodham Clinton, durante l’ormai famoso comizio della scorsa settimana alla vigilia delle primarie del New Hampshire che, a detta degli osservatori americani, hanno ribaltato l’esito della consultazione tra i Democratici nello Stato del New England, è giunta per la stessa candidata alla presidenza e il suo entourage la sgradita notizia della condanna inflitta da una Corte della California ad uno dei più attivi finanziatori del partito negli ultimi anni. Tale Norman Hsu, 56enne nativo di Hong Kong con un passato da dirigente in un industria di abbigliamento, dovrà infatti scontare una pena di 3 anni in un carcere della Contea di San Mateo, nei pressi di San Francisco, dopo aver truffato varie decine di ignari investitori d’oltreoceano con un complesso sistema noto come “Schema di Ponzi”, dal nome di un truffatore italo-americano vissuto a cavallo tra il XIX e il XX secolo.

di Bianca Cerri

In queste ore, gli agenti dell’FBI stanno rastrellando palmo a palmo la Carolina del Nord nella speranza di catturare un marine fuggito a bordo di una Cab Dodge il cui numero di targa è stato mandato in sovrimpressione su tutti i canali televisivi degli Stati Uniti. L’agenzia federale ha promesso 25.000 dollari di ricompensa a chiunque fornirà elementi utili alla sua cattura. Per il dipartimento della Difesa l’uomo, che si chiama Cesar Laurean, è per il momento solo un disertore, per la giustizia penale è invece l’assassino di Maria Frances Lauterbach, anche lei arruolata nei marines. Originaria dell’Ohio, la donna era stata assegnata alla base di Camp Jeune nel giugno del 2006 e lì aveva conosciuto Laurean, almeno secondo quanto sostengono i colleghi della donna, l’avrebbe violentata. Un mese dopo l’aggressione, Lauterbach aveva scoperto di essere incinta ma nei confronti dell’ufficiale non risulta siano mai stati presi provvedimenti disciplinari, mentre alla donna veniva imposto l’obbligo di obbedire ai suoi ordini.

di Eugenio Roscini Vitali

Il primo gennaio 2008 il “deposto” premier palestinese Ismail Haniyeh ha chiesto all’ex presidente americano Jimmy Carter di intervenire come mediatore nello stallo politico palestinese. Un’apertura che conferma lo stato di profonda crisi che sta affliggendo la Striscia di Gaza e la condizione di difficoltà in cui si trova la stessa organizzazione islamica, asfissiata dall’azione politica dell’Autorità palestinese e da quella militare dello Stato di Israele. Nell’intenzione di Haniyeh non c’è solo la volontà di aprire un tavolo di negoziati con Fatah, ma anche l’urgenza di strappare un milione e mezzo di civili dalla desolante prigionia in cui trovano. Come condizione per l’avvio della trattativa Haniyeh ha però chiesto “l’onore delle armi”: il presidente Mahmoud Abbas deve riconoscere il governo eletto il 25 gennaio 2006. L’appello lanciato a Jimmy Carter, autore del libro sul conflitto israelo-palestinese “Peace, not Apartheid”, manifesta la ferma volontà di non lasciare i territori nelle mani del terrorismo internazionale tentando di inserire Hamas nel dialogo di pace Abbas-Olmert.

di Giuseppe Zaccagni

Praga e Varsavia prendono tempo sulla controversa questione dello scudo spaziale che gli Usa (accelerando i tempi) voglio imporre nell’Europa centrale: nessun dietrofront ma anche nessuna fretta per sancire gli accordi raggiunti a suo tempo. I primi a muoversi sul terreno di una diplomazia che ora si basa su una certa prudenza e su alcune timide inversioni di rotta (quanto a rapporti con il Cremlino) sono i polacchi che con il nuovo premier Donald Tusk - esponente di Piattaforma Civica, il partito liberale di centrodestra - ottengono una timida vittoria quanto a garanzie di sicurezza. Tutto avviene a Praga dove il leader di Varsavia e il premier ceco Mirek Topolanek (esponente della formazione dei Civici Democratici) si incontrano per far sapere agli alleati americani che la strada dello scudo spaziale è ancora in salita e che, di conseguenza, “la qualità è più importante della velocità”. Come dire che in tutta la vicenda di una nuova strategia geopolitica del continente bisogna fare i conti con le varie esigenze dell’Est e dell’Ovest. Nessuno, comunque, ha interesse ad accelerare o frenare il processo.

di Elena Ferrara

Cominciano altre prove di distensione tra il potere comunista di Hanoi e i rappresentanti della Delegazione apostolica dei cattolici che fanno riferimento al Vaticano. Tutto avviene nel momento in cui il primo ministro del Vietnam Nguyen Tan Dung incontra l’arcivescovo della capitale Joseph Ngo Quang Kiet. I due si trovano a confronto per discutere la questione relativa alla requisizione da parte del Governo delle proprietà ecclesiastiche. Una “decisione” che ha provocato la protesta della comunità cattolica che nella notte di Natale è scesa in piazza, nella capitale, per chiedere la restituzione dell’edificio della Delegazione apostolica, destinato a locale notturno. Ma è chiaro che tutta la questione delle proprietà della Chiesa cattolica sarà oggetto di ulteriori trattative. Perché, oltre alla Delegazione apostolica, sono diversi gli edifici sottoposti ancora al provvedimento governativo di sequestro. Tra questi, ad esempio, le chiese di san Paolo e quella De La Salle; il seminario Lieu Giai; la scuola Dung Lac e la Teresa Printing House, tutte proprietà ecclesiastiche che sono state trasformate in sedi di ospedali ed uffici governativi.


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