di Carlo Benedetti

Kasparov sostiene che in Russia non c’è democrazia. Non si può dargli torto. Anche a costo di trovarsi a fianco dei propagandisti americani che si stanno impegnando nella campagna anti-Putin, si deve dire che il Cremlino attuale ha superato il livello di guardia quanto a democrazia. E’ un “fascismo strisciante” quello che scuote la Russia di questi ultimi tempi: al Cremlino c’è questo ex esponente del vecchio e famigerato Kgb che ha portato al vertice una nutrita schiera di suoi colleghi. Tanto che si può dire che la “democrazia” nata dalla perestrojka di Gorbaciov e dal decisionismo di Eltsin ha creato una nuova generazione di oligarchi ladroni e arroganti: i media pagano col sangue la volontà di verità e il “caso Politkovskaja” è ancora aperto; in Cecenia il potere di Mosca insedia un suo Quisling noto come oppressore e organizzatore di pogrom; le strutture economiche e commerciali dello stato mostrano sempre più il volto del loro dispotismo burocratico; i laudatores del regime cercano di coprire le tante realtà negative con i colori del capitalismo, con il fragore delle discoteche, dei casinò e dei night; il presidente confonde le acque barcamenandosi tra scelte che possono sembrare “sovietiche” ed altre che appaiono chiaramente come “americane”…

di Carlo Benedetti

L’Ucraina è in marcia secondo le regole di un golpe programmato dagli americani in versione antirussa. Apre gli scontri il presidente di Kiev Viktor Yushenko che, attaccando il premier Viktor Ianukovic, scioglie la “Rada” (il parlamento locale), fissa le elezioni legislative per il 27 maggio e punta a riportare alla guida del governo Yulia Volodomyrivna Tymoshenko. Come dire che la “Rivoluzione arancione” del 2004 continua. E questo – alla luce della situazione attuale – può anche voler dire che l’Ucraina è di nuovo alla vigilia di una scissione. Due paesi in uno. Da una parte la zona industriale - quella forte e filorussa delle aree operaie – dall’altra quella contadina, cattolica e filoccidentale di Lvov. Due Ucraine, quindi. La prima orientata verso Mosca, la seconda che guarda alla Polonia antirussa e allo sponsor d’oltreoceano.

di Alessandro Iacuelli

La Gazzetta Ufficiale della Repubblica Francese ha pubblicato quel che già da settimane si attendeva: il decreto che autorizza il colosso elettrico d'oltralpe EDF a costruire il suo reattore nucleare di terza generazione "EPR" a Flamanville, in Normandia, progetto nel quale è coinvolta anche ENEL. Dopo il via libera dell'Autorità di sicurezza del nucleare e del ministero della sanità, "nulla si opponeva più alla firma del decreto", ha dichiarato il ministro dell'Economia e delle Finanze, Thiery Breton, al quotidiano Les Echos. I dubbi sul progetto riguardano però la sua ubicazione: occuperà infatti 120 ettari di terreno, a ridosso delle scogliere del Cotentin: una zona direttamente affacciata sull'Atlantico, soggetta spesso a bufere e mareggiate.
Altri dubbi vengono dal fatto che la pubblicazione del decreto avviene all'indomani dell'incidente nucleare di Dampierre, avvenuto lo scorso 9 aprile nel Loiret, dipartimento francese della regione Centro. Il comunicato dell’Autorità di sicurezza nucleare (ASN), sostiene essersi verificato un incidente sul reattore numero 3 della centrale nucleare gestita dalla stessa EDF e sottolinea che è stato provocato "da un abbassamento dell'energia elettrica".

di Elena Ferrara

La parola “pace” è bandita dal Darfur. Con il tragico scenario del Sudan e del Ciad che riprendono le ostilità. Da Khartum (che alle spalle ha sempre una guerra civile tra Sud e Nord del paese, scoppiata per il controllo dei giacimenti di petrolio e complicate questioni etniche e religiose) giungono notizie sempre più allarmanti (in Darfur si combatte) che riferiscono di un’aggressione armata, in cui almeno 17 soldati sudanesi sarebbero rimasti uccisi dopo un’incursione delle truppe del Ciad. E da N’Djamena – la capitale situata sulle rive del fiume Chari – si ammette l’incursione sostenendo, però, che alcuni reparti dell’esercito erano sì entrati nella regione sudanese del Darfur, ma solo per inseguire un gruppo di ribelli. E sempre in riferimento a questi scontri il Ciad accusa le forze sudanesi di essere intervenute a protezione delle retroguardie dei ribelli del Cnt (“Concordia nazionale del Ciad”). Khartum sostiene invece di avere respinto un attacco nella zona di Khour Baranga, nel Darfur occidentale. E ancora una volta negli scontri – a quanto risulta alle agenzie di stampa - ci sarebbero state ingenti perdite tra i civili.

di Giuseppe Zaccagni

Un Iran sempre più impenetrabile con un potere centrale – quello del presidente Mahmoud Ahmadinejad – capace di dispiegare una forza immensa, ma allo stesso tempo di muoversi in uno stato di palese incertezza. E’, in sintesi, la fotografia dell’oggi. Dove in primo piano svetta il capo supremo del Paese che lancia un annuncio che è, allo stesso tempo, un monito sul quale riflettere. La sede prescelta da Ahmadinejad è la città di Natanz (200 chilometri a sud della capitale) dalla quale, appunto, parte una nuova sfida: è l’avvio della nuova era nucleare di Teheran. Ed è un significativo ed agghiacciante incipit del discorso del leader iraniano che risuonerà per vario tempo nelle cancellerie dei paesi che temono l’Iran: “A partire da oggi l'Iran si è aggiunto alla lista di quei Paesi in grado di produrre combustibile nucleare". Nessuno, quindi, sarà in grado di fermare il programma nucleare di Teheran perché – come ama ripetere con tragica monotonia Ahmadinejad - "il nostro percorso nucleare è una strada senza ritorno". Il percorso è quello dell’arricchimento dell’uranio.


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