di Elena Ferrara

Forse un gesto di distensione e, comunque, un passo avanti nel duro dialogo tra Palestina ed Israele. Perché comincia a prendere forma lo scambio di prigionieri fra i palestinesi (che detengono da giugno il caporale Ghilad Shalit) e gli israeliani, nelle cui carceri si trovano oltre novemila palestinesi. Comincia forse – questa la considerazione del momento – a prevalere il confronto diretto tra forze antagoniste. La prima mossa è di Hamas che ha inviato a Tel Aviv una lista di oltre 1.000 detenuti che dovrebbero essere liberati in cambio del caporale. Israele conferma l’arrivo della proposta e precisa di averla trasmessa allo “Shin Bet” (il famigerato servizio di sicurezza interno). La seconda mossa dovrebbe essere quella del Premier israeliano, Ehud Olmert, chiamato a convocare una Commissione incaricata di stabilire se fosse possibile rilasciare o meno anche dei palestinesi che si siano macchiati di attentati gravi, o anche di stragi. Per ora nessuna risposta. Solo commenti brevi e a monosillabi. Ed è questo il punto di maggiore contrasto. Perché gli israeliani considerano ogni atto di protesta contro il loro potere come un gesto terroristico.

di Laura Bruzzaniti

Riso. Il tesoro dell’Asia, cibo principale per milioni di persone e simbolo dell’Asian way of life, è oggi in pericolo. Un’intera cultura contadina, fatta di coltivazioni tradizionali e semi tramandati di generazione in generazione, rischia di estinguersi in India come nelle Filippine o in Malesia. Per portare l’attenzione sul problema, le associazioni e organizzazioni non governative di tredici stati asiatici hanno indetto la Week of Rice Action – Settimana di Azione per il Riso: sette giorni dedicati al riso, dal 29 marzo al 4 aprile, con iniziative diverse per parlare di quello che sta accadendo alla coltivazione del riso in Asia. Inaugurata in Bangladesh con un evento a cui hanno preso parte molte delle comunità di agricoltori locali, la Settimana del Riso si è svolta anche in India, Pakistan, Corea, Nepal, Malesia, Filippine con seminari, dimostrazioni e feste. Il tema principale è che il riso asiatico è in pericolo e va difeso. Ma difeso da chi?

di Carlo Benedetti

Sul tavolo del Cremlino le diplomazie dei due paesi hanno allineato una serie di dossier sui temi della cooperazione energetica e commerciale. Tutto questo perché l’arrivo a Mosca del presidente cinese Hu Jintao (che ricambia il viaggio di un anno fa, a Pechino, di Putin) offre una nuova occasione per rafforzare i contatti tra le due grandi potenze che vengono a trovarsi – in un contesto di grandi ed importanti fermenti politici - sempre più vicine e concordi quanto ad atteggiamenti sulla conduzione della politica internazionale. Primo e concreto risultato, comunque, è quello relativo alle questioni economiche e commerciali con il varo di contratti per 4 miliardi di dollari nei settori del petrolio e del gas, dell’acciaio, dell’immobiliare e di quello navale. Le cifre e le caratteristiche dei rapporti hanno già un valore epocale. Ma ora c’è un ben preciso passo in avanti perché nel quadro delle relazioni entra, più forte che mai, il “Fattore Siberia”. Si apre, infatti, una pagina di grande rilevanza geopolitica e geoeconomica che va a collocarsi nel quadro di un’iniziativa che è stata lanciata dal Cremlino e che viene ormai comunemente definita come “Il secolo della Cina in Russia”.

di Giuseppe Zaccagni

L’allarme – per l’Iran - non è rientrato. Pur se i servizi di sicurezza di Teheran avevano allertato l’intero paese denunciando una possibile “incursione” statunitense per venerdi 6 aprile. Tutto era pronto, compresa l’accoglienza. Con gli americani impegnati a violare regole e norme e a mettere in campo la loro macchina bellica, capace di attuare la soluzione finale. Ma è accaduto (per ora) un fatto che non era previsto. Perché il presidente di Teheran, Ahmadinejad, offrendo la libertà ai quindici militari britannici che avevano violato lo spazio delle acque territoriali iraniane, ha compiuto un gesto che, tutto sommato, ha spiazzato gli americani che avevano già scaldato al massimo i motori dell’aggressione. Ed ha smantellato (per ora…) quella cabina di regia che il Pentagono ha costruito con grande dispiego di mezzi. E così i marinai di Sua Maestà sono apparsi tirati a nuovo dopo la brutta avventura (completo senza cravatta per gli uomini; blusa, giacca e pantaloni per l'unica donna, Faye Turney, alla quale sono stati fatti coprire anche i capelli con un foulard azzurro) sono stati a colloquio con Ahmadinejad il quale, con molta cortesia mediatica, li ha rispediti al mittente notando che la loro era stata “una visita forzata”.

di Giovanni Gnazzi

Non hanno neanche aspettato la scadenza dell’ultimatum da loro stessi fissata, i Talebani, per assassinare orrendamente l’interprete di Mastrogiacomo fatto prigioniero insieme al giornalista di La Repubblica. Lui no, non era stato liberato. Perché il Presidente Karzai non aveva rispettato appieno l’accordo raggiunto? Perché non c’era nessun accordo ma i Talebani ritenevano di poter avviare una seconda trattativa, specifica, sulla sorte di Adjmal Nasqebandi? Sono domande destinate ancora a rimanere senza risposta; meglio, ad averne diverse, tutte destinate ai diversi obiettivi politici e di comunicazione che i protagonisti sceglieranno. Ma a poca distanza si celebra un altro rito d’ipocrisia politica, che riguarda la sorte del mediatore di Emergency, Rahmatull Hanefi, tenuto anch’egli ostaggio. Solo che i suoi sequestratori sono i Servizi Segreti afgani, cioè niente di credibile sotto il profilo professionale e politico, bensì una banda di assassini guidati e gestiti dalla Cia, che operano agli ordini di Karzai e negli interessi statunitensi, cioè per identici scopi.


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