di Luca Mazzucato

A dieci mesi dalla fine della Seconda Guerra del Libano, un vero e proprio linciaggio pubblico si sta abbattendo sul governo israeliano del premier Ehud Olmert e sul ministro della Difesa Peretz. Nell'atteso rapporto sul fallimento della guerra libanese, una commissione pubblica d'inchiesta, nominata dallo stesso Olmert alcuni mesi fa, ha ribadito la totale incompetenza e le gravi responsabilità dell'esecutivo Olmert-Peretz e dell'ex Capo di Stato Maggiore Halutz, già dimessosi in Gennaio. Ma il fatto più grave emerso dall'inchiesta è la sistematica e consapevole manipolazione degli avvenimenti sul campo e l'uso spregiudicato dei media, che la troika al potere ha utilizzato per coprire di giorno in giorno lo sciagurato andamento della guerra. Le rivelazioni hanno risvegliato un'opinione pubblica silente da mesi -solo ieri sera centocinquantamila persone sono scese in piazza per "licenziare" Olmert - e hanno dato il via ad una reazione a catena tra manifestazioni anti-governative e defezioni all'interno della stessa maggioranza di governo, che presumibilmente porterà alle dimissioni dell'intero esecutivo. Trascurando comunque la responsabilità più grave di Olmert, ovvero la deliberata e insensata distruzione di un intero paese, il Libano, che in un mese di guerra è stato raso al suolo e riportato indietro di venticinque anni, ai tempi della guerra dell'82, quella voluta dal predecessore di Olmert, Ariel Sharon.

di mazzetta

L’attuale crisi turca ha le sue radici a Şemdinli, nella provincia curda di Hakkari, dove il 9 novembre del 2006 è avvenuto un fatto destinato ad influire pesantemente sugli assetti istituzionali del paese. Successe allora che una folla di abitanti della cittadina catturò un commando di bombaroli che avevano appena piazzato e fatto esplodere un ordigno per colpire la libreria di un attivista turco. Mentre i cittadini di Şemdinli trattenevano i tre responsabili, da un’auto in corsa ignoti spararono sulla folla uccidendo una persona e ferendone altre.Gli attentatori erano due membri della polizia turca ed un curdo arruolato per l’occasione; l’auto sulla quale sono stati fermati conteneva armi, esplosivo e un foglio con il piano dell’attentato ed era registrata a nome della polizia turca. Anche l’auto dalla quale spararono sulla folla risultò poi appartenere alla polizia. I documenti degli autori, il libretto dell’auto e il foglio con il piano dell’attentato furono copiati e messi a disposizione di chiunque su internet nel sito turco di Indymedia. A seguire ci furono numerose proteste ed altrettanti interventi da parte dell’esercito, che lasciò sul terreno sette morti solo nella provincia di Hakkari.

di Elena Ferrara

Due eventi, in queste ore, riportano la Nigeria nell’arena mondiale. Da un lato c’è la vicenda del rapimento da parte del Mend (Movimento per l’indipendenza del Delta del Niger il cui obiettivo è la separazione dalla Nigeria e una redistribuzione dei redditi petroliferi) dei sei tecnici della Chevron (quattro italiani, un americano e un croato). Dall’altro ci sono le contestate elezioni politiche sulle quali il paese si divide. E così il labirinto nigeriano (133 milioni di abitanti e più di 250 etnie) mostra, sempre più, i tanti e pericolosi aspetti di una destabilizzazione generale. Anche le scommesse sul futuro vanno in tilt con le ultime elezioni presidenziali e parlamentari che sono duramente contestate perché caratterizzate da brogli e irregolarità. Il cammino che si profila è quello di una destabilizzazione generale carica di problemi e di grandi incertezze mentre nel conto ci sono già oltre 200 vittime (polizia e civili) restate sul campo della protesta. Di conseguenza la situazione è sempre più a rischio.

di Agnese Licata

Sembra aver deciso di andare dritto per la sua strada, Nicolas Sarkozy. Sicuro di quei milioni di francesi che mai, dal 1974 ad oggi, erano stati così tanti nello scegliere un candidato di centrodestra, Sarkozy sceglie di non sedurre i voti dei centristi e di prepararsi al ballottaggio del 6 maggio continuando a sbandierare ai quattro venti le sue parole preferite: ordine, sicurezza, autorità. Anzi, rincara la dose. Nel palazzetto dello sport di Bercy, dove il leader dell’Ump ha tenuto il suo comizio domenica scorsa, si è scagliato contro il Sessantotto, presunta origine di quel declino francese che i cittadini d’oltralpe sentono incontrastato da troppo tempo. “Da allora – ha affermato con orgoglio Sarkozy – non si può più parlare di morale in politica, ci ha imposto il relativismo morale e intellettuale. Gli eredi del ’68 ci hanno imposto che non c’è nessuna differenza tra bene e male, tra bello e laico, tra vero e falso, che l’allievo e il maestro si equivalgono, che non bisogna dare voti, che si può vivere senza una gerarchia dei valori”. E ancora: “Guardate come l’eredità del ’68 indebolisce l’autorità dello Stato!”. Insomma, il coacervo di tutti i mali sarebbe ancora lì, nonostante quelle barricate siano state seppellite da quasi quarant’anni di storia, da una globalizzazione che ha cambiato il volto del mondo, dalla fine di tutti gli ideali politici e civili e da tanto altro ancora.

di Giuseppe Zaccagni

In tutto l’Est europeo soffia forte il vento della revisione storica e della resa dei conti con i comunisti e il regime polacco dei gemelli Kaczynski lo accusa di "crimine comunista" per aver instaurato, il 13 dicembre del 1981, la legge marziale. E così l’ex generale di Varsavia, il generale-presidente Wojciech Jaruzelski (84 anni), rischia fino a dieci anni di reclusione. "So – dichiara oggi - che i miei compatrioti mi odiano per quello che ho fatto e non posso dar loro torto. Ma, se non avessi “invaso” io stesso il Paese con le nostre forze armate e imposto la legge marziale, lo avrebbero fatto i russi con i loro carri armati e sarebbe andata peggio". Con lui sono accusati altri otto protagonisti dell'epoca, fra cui l'ex ministro degli interni Czeslaw Kiszczak e l'ex segretario del partito comunista Stanislaw Kania.


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