di Raffaele Matteotti

All’organizzazione delle Nazioni Unite lavorano parecchio, contrariamente a una certa vulgata. La settimana scorsa si è messo mani ai regolamenti in materia di armamenti (quanto mai d’attualità), tuttavia i progressi sono stati visibilmente ostacolati da alcuni paesi. L’apposito Comitato ha approvato una risoluzione che impegna l’Assemblea a chiamare gli stati nazionali al rispetto e all’implementazione delle procedure di tracciabilità delle armi leggere con 172 voti a favore, zero astenuti e un voto contrario: gli Stati Uniti. Le armi leggere sono responsabili del maggior numero di vittime nei conflitti. Le armi leggere sono per sempre, nel senso che sono robustissime e non vengono mai distrutte, ma riciclate di continuo in conflitti sempre nuovi. Da alcuni anni in seno alle Nazioni Unite si è stabilito un fronte che ne chiede la tracciabilità al fine di imporre controlli e di far rispettare almeno gli embarghi verso i paesi nei quali potrebbero amplificare le situazioni di conflitto.

di Carlo Benedetti

E’ sempre stato d’allarme per quelle Ong che vogliono operare in Russia. Perché è ancora sotto gli occhi di tutti la ragnatela di contraddizioni, di slanci e paure, che il Cremlino ha scatenato con l’obiettivo di impedire “ingerenze distruttive” sulla società ed applicando, di conseguenza, un giro di vite sulle attività delle Organizzazioni non governative che operano nel territorio della federazione russa. Mosse e contromosse – anche sul piano legislativo – non hanno però placato le acque. Comunque sia ora c’è una prova d’appello poiché l’appuntamento per le Organizzazioni non governative è fissato per il 24 ottobre nella capitale russa dove, nel quadro del “G8-società-civile”, si svolgerà una tavola rotonda dedicata ai problemi dello sviluppo dell'Africa. Successivamente – a fine novembre – le Ong si sposteranno a San Pietroburgo per esaminare i primi risultati relativi alle decisioni del recente summit del G8. Tutto questo, forse, sta a significare che i russi hanno compreso il valore delle iniziative delle Ong e si stanno mobilitando, di conseguenza, per stabilire una rete di rapporti a livello mondiale. Ne parla, ad ”Altrenotizie”, Jurij Materija, esponente del ministero degli Esteri della Russia e responsabile del dipartimento che si occupa dei rapporti con i mass-media.

di Fabrizio Casari

“Vogliamo che il Brasile diventi più giusto e dichiariamo che i poveri saranno la priorità del nostro governo”. Sono state le prime parole a caldo di Ignacio Lula da Silva, detto Lula, a pochi minuti dalla proclamazione della vittoria, pronunciate con addosso una maglietta che recitava la scritta: “La vittoria è del Brasile”. L’Avenida paulista, immediatamente riempitasi di militanti e simpatizzanti dell’ex operaio siderurgico, è stata così, per la seconda volta dal 2002, il teatro del trionfo del fondatore del Pt. Cinquantotto milioni di voti, dodici in più rispetto al primo turno, hanno assegnato al Presidente brasiliano una vittoria schiacciante, in barba alle previsioni che ritenevano ancora incerto il risultato finale. Incertezze che, tuttavia, erano solo patrimonio esclusivo di commentatori e politologi. Nella realtà, il 61 per cento del popolo brasiliano ha scelto di scommettere ancora su Lula, eletto ancora Presidente del Brasile con il 20 per cento di scarto sul suo avversari e in ascesa in tutti gli Stati del Paese rispetto al primo turno. Lula governerà quindi il gigante carioca fino al 31 dicembre del 2010. Il Brasile conferma la sua voglia di voltare pagina e sceglie di consolidare ulteriormente la sua democrazia. E non solo. In un paese sterminato, dopo solo un’ora dalla chiusura dei seggi, i risultati erano pressoché definitivi; una lezione di tecnologia impartita al mondo intero.

di Camilla Modica

Durante la sua campagna elettorale per il rinnovo della Knesset, Avigdor Lieberman aveva puntato su una proposta a dir poco singolare: privare della cittadinanza israeliana gli arabi di origine palestinese residenti in Israele, trasferendoli forzatamente sotto la sovranità dell’Autorità palestinese (Ap). Poi, con questa particolare “merce” sul tavolo, il governo avrebbe trattato con l’Ap il passaggio di alcuni territori. L’idea, sbandierata dal leader dell’Israel Beitenu (la Nostra Casa è Israele), ha fruttato alle elezioni dello scorso marzo un inatteso successo: 11 seggi sui 120 totali del Parlamento. Oggi, con una leadership israeliana in piena crisi, il primo ministro Ehud Olmert vede questi undici seggi come una boccata d’aria fresca, perfetti per rafforzare una maggioranza che, altrimenti, ne conterebbe in totale 67, con un vantaggio di soli sette seggi sull’opposizione, guidata dal Likud di Netanyahu. Da qui la decisione di avviare un rimpasto di governo, offrendo all’Israel Beitenu un posto all’interno della maggioranza, accanto a Kadima e al partito laburista. Lieberman dovrebbe diventare vice premier e ministro di un nuovo dicastero - quello per gli Affari strategici - creato su misura per lui (precedentemente queste competenze riguardavano il ministro della Difesa e il premier).

di Michael Schwartz*

Recentemente il New York Times ha suggerito che che l’esercito americano ed i marine fossero prossimi a cambiare l’approccio concettuale alla guerra in Iraq. Le due istituzioni, riportava Michael R. Gordon, “ stanno terminando un lavoro su una nuova dottrina per la contro-insorgenza” che dovrebbe, secondo il tenente generale in pensione General Jack Keane, "cambiare l’intera cultura (dei militari) mentre transita al warfare irregolare”. Questi momenti strategici nei quali si grida “Eureka!” sono stati abbastanza comuni da quando l’amministrazione Bush invase l’Iraq nel marzo 2003, e questo - la copertura del quale è morta in meno di una settimana- sarà probabilmente buttato nel cestino della spazzatura della storia insieme alle altre volte nelle quali si è creduto che l’approccio tattico e strategico alla guerra dovesse cambiare. Tra questi vanno inclusi: l’assalto a Falluja nel 2004, diverse elezioni, lo “standing up” dell’esercito iracheno e il vallo, brevemente apparso sui media, che gli iracheni stavano pianificando di scavare attorno alla loro vasta capitale, Baghdad.


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