Nonostante un bilancio decisamente pesante in termini di morti, feriti e danni materiali, il rischio di un’escalation della violenza sembra essere per il momento rientrato in Iraq dopo l’umiliante passo indietro del leader sciita, Muqtada al-Sadr. Il tentativo del suo movimento populista-nazionalista di mettere le mani sulle leve del potere a Baghdad era iniziato dopo le elezioni dell’ottobre scorso, per poi proseguire con una serie di manovre che puntavano a marginalizzare le forze sciite rivali tradizionalmente legate all’Iran.

La situazione era precipitata nei giorni scorsi in seguito all’annuncio del “ritiro definitivo” dalla politica da parte di Sadr. La notizia era subito apparsa come un espediente per aumentare le pressioni sulle altre forze politiche, in modo da convincerle ad accettare sostanzialmente i termini di “riforma” del sistema ultra-settario iracheno desiderati da Sadr. I suoi sostenitori armati si erano così riversati nelle strade, sfondando la cosiddetta “Green Zone”, l’area fortificata della capitale che ospita gli edifici governativi e le ambasciate straniere.

L’inizio dell’improbabile “controffensiva” del regime ucraino, teoricamente per riconquistare il territorio controllato dalla Russia, ha avuto per il momento la stessa sorte della resistenza opposta all’avanzamento delle forze di Mosca. Solo nei primi due giorni dell’operazione ordinata da Zelensky nel sud del paese, l’Ucraina ha subito perdite consistenti di uomini e mezzi. I bombardamenti ucraini, cominciati nella serata di domenica con armi fornite da Washington e in larga misura diretti contro edifici civili, sono stati accompagnati da un movimento di truppe in svariate direzioni, con l’obiettivo principale la città e la regione di Kherson.

Mentre l’estate si approssima alla sua fine, sono vari i segnali che indicano un ulteriore peggioramento della situazione internazionale con conseguente sempre più probabile slittamento verso l’abisso della guerra, forse nucleare. Vediamo questi segnali. Innanzitutto le dichiarazioni sul recupero della Crimea rese da Stoltenberg e prontamente riprese da Draghi. Poi l’attentato terroristico di cui è rimasta vittima la figlia di Dughin, non rivendicato dall’Ucraina che tuttavia ha protestato per la sacrosanta condanna pronunciata da Papa Francesco. Ancora, la decisione del presidente del Consiglio europeo di addestrare i militari ucraini sul territorio europeo.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia, struttura facente capo all’OCSE, nel suo report mensile sul mercato petrolifero, informa che l’impatto delle sanzioni occidentali sull’export energetico russo è stato, fino ad ora, sostanzialmente nullo. L’OCSE – Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, non ha sede a Mosca. E’ una organizzazione che ha sede a Parigi e della quale fanno parte 36 paesi, tra i quali gli Stati Uniti, quasi l’intera Unione Europea, il Giappone, l’Australia e il Canada, il Messico e il Cile, la Svizzera e la Turchia. Dal 1 giugno 2021, il Segretario generale dell’Ocse è l’australiano Mathias Cormann.

Una delle verità documentate del conflitto in Ucraina e quasi sempre trascurate dai media ufficiali in Occidente è che il regime di Zelensky commette regolarmente crimini di guerra sia bombardando in maniera deliberata obiettivi civili sia trasformando in postazioni militari edifici come scuole, case e ospedali senza che vi sia una stretta necessità derivante dalla guerra in corso. Il governo russo e la stampa indipendente denunciano questa situazione da tempo, ma le atrocità o presunte tali verificatesi sul campo di battaglia a partire dal 24 febbraio scorso continuano a venire attribuite esclusivamente alle forze di Mosca. Questa settimana, il comportamento dell’Ucraina è finito però al centro di un’indagine anche di Amnesty International, una ONG non esattamente accusabile di simpatie putiniane, che ha appunto documentato i crimini del regime di Kiev costati finora la vita a un numero imprecisato di civili.


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