Una recentissima indagine della BBC ha fatto emergere nuove prove della condotta da criminali di guerra dei componenti delle forze speciali britanniche (SAS) durante gli anni dell’occupazione dell’Afghanistan. I documenti esaminati si riferiscono a un solo squadrone e a un periodo di appena sei mesi, ma certificano un comportamento e un numero di casi “sospetti” tali da far pensare a un bilancio complessivo a dir poco scioccante in termini di omicidi di presunti “insorti”, di torture e di molti altri abusi commessi dai militari di Sua Maestà.

La BBC ha avuto la possibilità di mettere le mani su nuove carte nell’ambito di un procedimento legale in corso e scaturito da un’indagine del 2019 della stessa rete pubblica e del Sunday Times su un singolo “raid notturno” delle SAS in Afghanistan. Questa circostanza ha fatto emergere le prove di un sistema di assassinii deliberati di uomini afgani dopo l’esecuzione di arresti nelle abitazioni di questi ultimi, quando cioè non vi erano rischi o minacce contro i soldati britannici.

Nella realtà parallela in cui continuano a muoversi i suoi leader, l’Unione Europea ha fatto sapere di essere vicina all’adozione di un settimo pacchetto di sanzioni, di fatto dirette contro gli interessi dei paesi membri anche se ufficialmente destinate a punire la Russia. Alcuni giornali hanno riportato la notizia dell’intenzione di Bruxelles, in concerto con Washington, di discutere anche quella che è forse la più insensata e improbabile delle misure allo studio, ovvero l’imposizione di un tetto artificiale al prezzo del petrolio russo destinato alle esportazioni.

La clamorosa rivolta popolare che nel fine settimana ha costretto alle dimissioni le più alte cariche dello Sri Lanka minaccia di creare un vuoto di potere che la classe dirigente indigena e i governi della regione, nonché gli Stati Uniti, temono possa destabilizzare definitivamente un paese situato in una posizione strategica nell’Oceano Indiano. Quello a cui si è assistito nei giorni scorsi è il culmine di una gravissima crisi che era iniziata almeno dall’esplosione della pandemia nel 2020, per poi far segnare una nuova drammatica accelerazione dopo l’introduzione delle sanzioni contro la Russia decise dall’Occidente subito dopo l’inizio delle operazioni militari di Mosca in Ucraina.

L’assassinio dell’ex primo ministro giapponese, Shinzo Abe, è avvenuto ad appena due giorni dalle elezioni per il rinnovo della camera alta del parlamento di Tokyo. A sparare al più longevo capo del governo della storia nipponica è stato un 41enne residente della città di Nara, dove era in corso un comizio in vista del voto. Erede di una dinastia politica di primissimo piano, Abe ha esercitato per quasi un decennio un’influenza profonda sulla realtà del suo paese. Il bilancio della sua esperienza di governo resta tuttavia in forte chiaroscuro, anche se segnata, sul piano internazionale, dall’impegno per la normalizzazione delle relazioni con la Russia e dalla ricerca di una relativa autonomia strategica dall’alleato americano.


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