Le autorità politiche e militari dello stato ebraico sono a tal punto abituate ad agire nella completa impunità che, subito dopo l’assassinio di mercoledì in Cisgiordania della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, avevano emesso un comunicato ufficiale per attribuirne sostanzialmente la responsabilità ai combattenti palestinesi. Solo dopo che la versione israeliana è stata smentita dalle testimonianze di chi si trovava con la reporter palestinese con passaporto americano e dall’analisi dei filmati disponibili in rete, Tel Aviv ha fatto una parziale marcia indietro e ostentato un atteggiamento più cauto. Ciò che seguirà, tuttavia, è tutt’al più un’inutile indagine interna alle forze armate di Israele, le cui conseguenze, si può affermare con certezza fin da ora, saranno le stesse di quelle seguite a decenni di occupazione illegale, violenze e discriminazioni imposte al popolo palestinese.

Le cronache militari serie riportano gli avvenimenti in chiave decisamente diversa da quanto racconta Kiev su dettato angloamericano, ma quel che è certo è che i combattimenti non si riducono d’intensità. La genuflessione di Draghi a Washington ha avuto la sua prima reazione nel ricatto di Kiev a Bruxelles: l’Europa si fa dettare l’agenda energetica da Zelensky, al quale andrebbe semplicemente detto che se prova ad interrompere il gas all’Europa, sarà l’Europa a staccargli la spina e consegnarlo alla disfatta. Ma, sebbene gli interessi europei continuino ad essere una variabile minore di quelli USA, sembra farsi strada (timidamente) anche in Europa la necessità di arrivare ad una soluzione politica. Già da ora, però, le ripercussioni internazionali delle decisioni illegali occidentali in materia di sanzioni e blocco di esportazioni coinvolgono un territorio ben più ampio di quello russo o continentale.

36 anni dopo la fine del regime di Ferdinand Marcos e la fuga negli Stati Uniti del dittatore sostenuto da Washington, il figlio di quest’ultimo, che porta l’identico nome, è stato eletto lunedì a valanga alla carica di presidente delle Filippine. Il trionfo di Ferdinand “Bongbong” Marcos jr. attesta ancora una volta del grave deterioramento del già fragile sistema democratico dell’ex colonia americana, causato in primo luogo proprio da quella parte della classe politica indigena associata alla “Rivoluzione del Potere Popolare” del 1986. In politica estera, invece, l’esito del voto di questa settimana potrebbe accelerare il riorientamento strategico delle Filippine verso la Cina, sull’esempio di quanto aveva cercato di fare con fortune alterne il presidente uscente Rodrigo Duterte.

Il partito nazionalista cattolico Sinn Féin ha ottenuto per la prima volta il maggior numero di consensi nelle elezioni, tenute settimana scorsa, per il rinnovo dell’assemblea legislativa che rappresenta le sei contee del Regno Unito nell’isola d’Irlanda. Il successo garantirà al Sinn Féin la carica di primo ministro dell’Irlanda del Nord, ma la formazione del nuovo governo, che dovrà essere condiviso con il principale partito “unionista” protestante, appare tutt’altro che semplice. Se la questione del referendum sull’unificazione con la Repubblica d’Irlanda potrebbe essere rilanciata, approfondendo così le divisioni tra le due comunità del nord, sarà in realtà la vicenda del “protocollo” nordirlandese, prodotto tossico della “Brexit”, ad agitare le acque della politica a Belfast, con possibili riflessi anche sulla stabilità del governo conservatore di Londra.

Da più di due anni, i giornalisti dell’agenzia di stampa cubana, Prensa Latina, attendono una risposta dal governo degli Stati Uniti alle loro richieste di visto per tornare ai loro doveri professionali a Washington e New York, dopo essere stati in vacanza sull'isola. Sebbene la richiesta di visto sia un procedimento elementare, quindi adatto ai livelli di comprensione dei funzionari USA, l’impasse si prolunga. Due anni risultano essere un tempo eccessivamente lungo anche per la burocrazia statunitense, notoriamente non particolarmente efficiente. Ma è altamente probabile che non ci si trovi davanti ad un problema di carattere amministrativo, bensì “politico”.


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