La proposta di negoziato avrà un suo primo atto nelle prossime ore in Bielorussia. Zelensky negozierà con l’auricolare dal quale la Casa Bianca gli dirà persino come respirare. Mosca attende che vi siano le condizioni per la tregua richiesta da Zelensky, che chiede tutto e il contrario di tutto a distanza di due tweet. Una buona notizia comunque, ma lo step che conta è il prossimo con Biden. La fine della guerra non comporta necessariamente la fine delle ostilità, ma chiedere una tregua senza proporre contemporaneamente una riunione dove aprire il confronto è azione ipocrita e velleitaria. Se si vuole fermare l’azione militare ne serve una politica. Il resto è avanspettacolo.

Pare davvero bizzarro e paradossale che il diritto internazionale sia oggi invocato contro la decisione russa di riconoscere l’indipendenza delle Repubbliche autoproclamate del Donbass, da chi, governo statunitense in testa, il diritto internazionale ha ripetutamente e consapevolmente violato più volte negli ultimi anni, come dimostrato fra l’altro dalle aggressioni militari contro Libia e Iraq e dalle sanzioni contro Cuba, Nicaragua, Venezuela e altri stati.

In attesa della mediazione francese, del colloquio tra Putin e Biden, delle prese di distanze tedesche, delle paure italiane, delle incertezze spagnole e della contrarietà dell’ex blocco dell’Est, delle scadenze regolarmente sbugiardate di improbabili invasioni russe, la guerra sempre annunciata e mai cominciata ha avuto un primo esito. Con una decisione che ha spiazzato le cancellerie occidentali, Vladimir Putin ha firmato il protocollo diplomatico che riconosce le repubbliche indipendenti di Lugansk e Donetsk. Al riconoscimento ha fatto immediatamente seguito la firma di un accordo di cooperazione e reciproca assistenza, il che comporterà la presenza militare russa a difesa delle due repubbliche e, contestualmente, un avvertimento chiaro a Kiev e ai suoi suggeritori interessati.

Capita, in questi temi grami, di dover dare ragione perfino a Draghi e – orrore - a Salvini, che in merito alla pericolosissima crisi ucraina hanno preso posizione in modo non del tutto ligio ai desideri del padrone d’oltreoceano. Il primo in una telefonata con Putin e il secondo con un suo intervento. Bello sforzo, si potrebbe obiettare: a qualunque essere ragionevole risulta evidente come una guerra per l’Ucraina tra NATO e Russia costituirebbe una catastrofe per tutto il pianeta, più nello specifico per l’Europa e, ancora più nello specifico, per l’Italia.

A fronte però dell’esasperato  atlantismo di Letta e del PD, anche le cose di buon senso dette da Salvini e da Draghi possono costituire un segnale non trascurabile. Segnale peraltro in sintonia con la stragrande maggioranza del popolo italiano, che di morire per Kiev non ha proprio voglia.

Le richieste russe di garanzie di sicurezza sono state sostanzialmente ignorate dalla NATO. Non solo non sono state accolte ma gli Stati Uniti hanno provocatoriamente dispiegato in Polonia altri 8.000 loro soldati con relativi sistemi d’arma, tanto per ribadire l’interesse statunitense al possibile conflitto. L’idea di fondo che permane a Bruxelles e a Washington è che i soldati statunitensi e dell’alleanza atlantica possano andare a stabilirsi dove vogliono, fino ai confini con la Russia, mentre i militari russi non possono muoversi nemmeno all’interno del loro paese. Esiste un tema di sicurezza per l’Ucraina ma non per la Russia. Questo perché la sicurezza russa non può essere messa in agenda, dal momento che tutta l’operazione politico-militare è esattamente finalizzata ad un attacco esteso e profondo alla stabilità politica e militare di Mosca.


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