Quella presa mercoledì dagli organizzatori del prestigioso torneo di tennis di Wimbledon è una decisione gravissima, oltre che assurda, e virtualmente senza precedenti in ambito sportivo. I vertici del cosiddetto “All England Club” si sono infatti adeguati alla campagna contro Mosca del governo britannico, escludendo tutti i giocatori e le giocatrici di nazionalità russa e bielorussa dalla competizione che prenderà il via il prossimo mese di giugno. Il provvedimento ultra-discriminatorio è stato concordato con la federazione tennistica britannica (LTA, “Lawn Tennis Association”), la quale ha a sua volta annunciato che applicherà lo stesso bando per tutti i tornei del circuito in programma sul territorio inglese durante l’estate.

Il comunicato ufficiale apparso sul sito dei “Championships” è un capolavoro di cinismo e ipocrisia, anche se aiuta a capire le ragioni dell’esclusione dei tennisti russi e bielorussi. Gli organizzatori di Wimbledon sostengono di “condividere la condanna universale delle azioni illegali della Russia”, anche se i paesi che hanno preso apertamente posizione contro le operazioni militari di Mosca sono in realtà una minoranza, limitandosi all’Europa, agli USA, al Canada, al Giappone, alla Corea del Sud e a pochi altri.

Il diritto internazionale ha come funzione quella di garantire la pacifica coesistenza e la fruttuosa cooperazione tra gli Stati. La guerra costituisce, da oltre settant’anni, una violazione gravissima di tale ordinamento giuridico, come chiaramente stabilisce l’art. 2,para. 4, della Carta delle Nazioni Unite. Unica possibilità ammessa, ai sensi del successivo art. 51, è quella della legittima difesa individuale e collettiva.
L’operazione militare scatenata dalla Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio di quest’anno cade sotto il divieto enunciato dall’art. 2, par. 4. Le varie ipotesi avanzate dal governo russo per giustificarla, dalla legittima difesa preventiva contro l’espansione della NATO e la conseguente collocazione di ordigni nucleari e altre armi offensive a poche centinaia di chilometri da Mosca, ovvero l’intervento umanitario contro il presunto genocidio in atto in Donbass, ricordano troppo quelle a suo tempo avanzate dagli Stati Uniti per legittimare le molteplici violazioni del diritto internazionale delle quali la potenza imperialista per eccellenza si è resa responsabile nel corso degli ultimi settant’anni, per poter essere accettabili.

Sono alcune riflessioni sollevate dalle implicazioni determinate immane tragedia cui stiamo assistendo con la guerra in Ucraina. Mi soffermo su quelle concernenti il futuro dell’Europa, per la riflessione sistemica e globale che avevi chiesto a suo tempo credo occorrerà attendere prudentemente ancora qualche tempo.

La Prima guerra mondiale ha senza dubbio segnato l'inizio del declino politico e militare dell'Europa. Dopo quattro secoli di dominazione globale di quest’ultima, il conflitto fratricida finì con l’aprire la strada all'ascesa degli Stati Uniti e dal, 1917 in poi, al cosiddetto secolo americano mentre tre imperi europei ne fecero le spese: quello asburgico, quello germanico e quello russo.

La scelta di stipulare accordi o alleanze in piena libertà da parte di paesi sovrani viene nominalmente difesa dagli Stati Uniti e dai loro alleati soltanto quando non interferisce con gli interessi di questi ultimi. Secondo questa regola, ad esempio, l’Ucraina avrebbe il diritto di diventare un membro della NATO o dell’UE, ma non, come accadde alla vigilia del golpe neo-nazista del 2014, di entrare in un’organizzazione o area di libero scambio promossa dalla Russia. Gli stessi scrupoli selettivi di Washington si possono osservare in queste settimane anche nelle isole Salomone, situate nell’oceano Pacifico meridionale, dove la possibile imminente stipula di un accordo sulla sicurezza tra il governo dell’arcipelago e la Cina ha scatenato la furiosa reazione di USA, Australia e Nuova Zelanda.

La caduta o liberazione definitiva della città di Mariupol sembra essere ormai vicina dopo che nella giornata di mercoledì più di mille soldati ucraini si sarebbero arresi alle forze armate russe. Nella città portuale dell’Ucraina meridionale continuano a “resistere” centinaia di combattenti del battaglione neo-nazista Azov, in gran parte asserragliati nei sotterranei della mega-acciaieria Azovstal. Quelle che potrebbero essere le fasi finali dell’assedio russo hanno portato al centro del dibattito, rigorosamente al di fuori dei circuiti dei media ufficiali, l’imbarazzante presenza nelle fila neo-naziste di mercenari ed ex ufficiali stranieri, la cui fuga da Mariupol sarebbe uno degli obiettivi immediati del regime di Kiev e dei governi occidentali.


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