Il futuro immediato di Gaza e della tregua firmata lo scorso 15 gennaio continua a rimanere avvolto nell’incertezza per via delle manovre del regime di Netanyahu e della doppiezza dell’amministrazione Trump. Il presidente americano ha recentemente respinto il piano alternativo per la ricostruzione della striscia, presentato dall’Egitto e dalla Lega Araba, e lanciato un nuovo feroce ultimatum a Hamas per il rilascio dei rimanenti prigionieri israeliani. Dall’altro lato, però, mercoledì è circolata la notizia di trattative dirette tra gli inviati della Casa Bianca e il movimento di liberazione palestinese che controlla Gaza. Quello in atto sembra essere un gioco di equilibrismi tra il sostegno ai progetti coloniali e genocidi dello stato ebraico e gli sforzi per evitare che la regione esploda in un conflitto generalizzato.

Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha rivelato martedì che il governo russo si è proposto di mediare un eventuale negoziato diplomatico tra gli Stati Uniti e l’Iran per raggiungere un accordo sull’annosa questione del nucleare di Teheran. L’offerta sarebbe stata discussa a margine del vertice tra gli inviati di Trump e Putin a Riyadh lo scorso mese di febbraio, dopo che i due presidenti avevano toccato l’argomento nella telefonata che aveva preceduto l’evento. L’interesse della nuova amministrazione repubblicana per una possibile intesa con la Repubblica Islamica non è una sorpresa, ma lo stesso Trump continua a tenere un atteggiamento a dir poco ambiguo sull’argomento, mentre dal lato pratico sembra assecondare le solite fallimentari politiche della “massima pressione” promosse dai falchi “neo-con” e dal regime sionista di Netanyahu.

La svolta drastica impressa dalla nuova amministrazione americana alla crisi ucraina continua a generare gravi tensioni nei rapporti transatlantici, con la Casa Bianca sempre più decisa a ridisegnare gli equilibri geo-politici degli ultimi decenni e l’Europa, stordita e priva di una reale leadership, alle prese con la nuova realtà con cui dovrà prima o poi fare i conti. Dopo il clamoroso scontro in diretta TV allo Studio Ovale tra Trump e Zelensky della scorsa settimana, il presidente repubblicano ha annunciato la sospensione immediata di tutti gli aiuti economici e militari diretti all’Ucraina. Decisione che ha con ogni probabilità accelerato l’annuncio di martedì della Commissione Europea sul lancio di un programma di prestiti per favorire il processo di riarmo dei paesi membri, ufficialmente per far fronte a una inesistente minaccia russa.

Ha destato grande stupore e grandi preoccupazione nell’establishment europeo e nei giornali di regime lo scontro tra Trump e Vance da un lato e Zelensky dall’altro. Al netto della veemenza, che quando c’è viene ricondotta nella formula “colloquio franco e cordiale”, è difficile negare che Trump abbia messo il dito nella piaga. Quattro i concetti fondamentali sferrati in faccia come uno sganassone: 1) l’Ucraina cerca di portare il mondo ad un conflitto globale; 2) Zelensky non dispone di nessun elemento decisivo al fine di indirizzare una trattativa in una o altra direzione; 3) sei vivo grazie a noi; 4) non sei espressione di una democrazia.

Difficile annotare passaggi di maggior disprezzo verso il guitto da parte di Trump che, con la consueta assenza di misura e understatement ha voluto ribaltare la narrazione imposta da Biden, al cui figlio Zelensky ha consentito lucrosi affari ed ha fornito protezione dall’inchiesta che lo FBI svolse a suo carico. I rapporti tra USA e Ucraina non volgono al bello e la fine della favola dell’eroe popolare della democrazia dev’essere considerata ormai come dato acquisito.

L’Unione Europea ha avuto sin dall’inizio dell’operazione destabilizzatrice in Ucraina un ruolo tutt’altro che marginale. Dalla fabbricazione mediatica della “pasionaria” Timoshenko al sostegno di Poroshenko, fino alla vittoria di Zelinsky, Bruxelles è stata un attore importante della vicenda politica ucraina. La frattura con la Russia ha inizio infatti quando la UE stimola Kiev ad un atteggiamento di aperto contrasto con Mosca, per poi proporre scambi commerciali ed integrazione economica alternativi a quelli con la Russia fino a proporgli l’ingresso nell’Unione Europea.


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