A settembre dello scorso anno, la standing ovation del parlamento canadese all’ex membro delle SS naziste Yaroslav Hunka aveva scatenato un’accesissima polemica tra la classe politica del paese nordamericano. Il governo Trudeau e la sua maggioranza erano corsi ai ripari per cercare di limitare i danni dello scandalo, professando ignoranza circa il passato del 98enne criminale di guerra di origine ucraina e facendo in sostanza del presidente della Camera, Anthony Rota, il solo capro espiatorio della vicenda. Qualche giorno fa è però emerso che lo stesso primo ministro liberale aveva invitato personalmente Hunka a un ricevimento di stato per celebrare la visita in Canada del presidente ucraino Zelensky.

In parallelo al massacro nella striscia di Gaza, Israele continua a mandare segnali di un possibile allargamento delle operazioni militari al fonte settentrionale, dove uno scontro a intensità relativamente bassa con il partito/milizia sciita libanese Hezbollah è peraltro già in atto dall’ottobre scorso. Il regime di Netanyahu si ritrova a fare i conti con un dilemma complicato in relazione al Libano, con le esigenze di sicurezza e deterrenza impossibili da soddisfare senza chiudere i conti una volta per tutte con il “Partito di Dio”, ma allo stesso tempo col timore di andare incontro, in caso di guerra aperta, a una disfatta che rischia di minare irreparabilmente l’intero progetto sionista.

Circa due anni fa, il 24 Febbraio del 2022, 100.000 effettivi dell’esercito russo entravano nelle regioni di Donetsk e Lugansk in Ucraina. A proposito, ma soprattutto a sproposito, si è detto dell’invasione russa e si è datata Febbraio 2022 l’inizio di una guerra che in realtà era vigente dal 2014 sotto forma di massacro di civili russofoni. Fino a quel momento, Mosca aveva sostenuto in forma soft le milizie di difesa delle due autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, ma i piani ucraini per l’assalto alle due regioni resero necessario il cambio di passo. Iniziò l’Operazione Militare Speciale con due obiettivi: la difesa degli abitanti russofoni delle due regioni (autoproclamatesi indipendenti dopo il colpo di stato a Kiev) sottoposte ai bombardamenti di Kiev e che dal 2014 erano costati 15.000 morti; la denazificazione dell’Ucraina, cioè l’eliminazione delle organizzazioni neonaziste che esercitavano una forte leadership su governo, forze armate e servizi segreti di Kiev.

Se Julian Assange e i suoi legali volessero conoscere in anticipo il tipo di trattamento che il governo americano riserverà al fondatore di WikiLeaks se estradato negli Stati Uniti, tutto ciò che dovrebbero fare è analizzare la recente pesantissima sentenza di condanna emessa contro un’ex ingegnere informatico della CIA. Il 35enne Joshua Schulte potrebbe restare in carcere per i prossimi 40 anni, dopo che è stato ritenuto colpevole da un tribunale di New York di svariati reati riconducibili, tra l’altro, al famigerato Espionage Act, in base al quale lo stesso Assange rischia una condanna a 175 anni una volta che metterà piede sul suolo americano.

I timori dell’Europa per le possibili resistenze di Viktor Orbán all’approvazione di una nuova tranche di aiuti economici per l’Ucraina si sono dissolti rapidamente giovedì durante le prime battute di un vertice che si preannunciava invece molto complicato. I leader europei avrebbero fatto alcune concessioni al primo ministro ungherese, anche se una delle richieste principali di Budapest non sembra essere stata accolta. Resta da vedere se l’accordo preveda condizioni non ancora note oppure se il passo indietro dell’Ungheria, su un provvedimento peraltro potenzialmente disastroso, sia solo il risultato dei ricatti che erano circolati anche a livello pubblico nelle ultime ore.


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