Una rivelazione pubblicata questa settimana dal quotidiano libanese Al Akhbar ha contribuito a fare luce sui complessi obiettivi del regime sionista di Netanyahu nell’operazione militare in corso nel “paese dei cedri”. Essendo la notizia collegata a un’iniziativa dell’ambasciatrice americana a Beirut, lo stesso articolo ha chiarito di conseguenza anche come Washington e Tel Aviv siano sostanzialmente sulla stessa lunghezza d’onda per quanto riguarda l’aggressione contro il Libano, al di là della retorica ufficiale che vorrebbe l’amministrazione Biden impegnata disinteressatamente per una tregua sul fronte settentrionale israeliano.

Con un'azione che evidenzia drammaticamente l'intenzione di estirpare ogni traccia dei diritti dei rifugiati palestinesi, il parlamento israeliano (Knesset) ha approvato nei giorni scorsi una legge che vieta ufficialmente la presenza dell'UNRWA (l'Agenzia delle Nazioni Unite per il Soccorso e l'Occupazione dei Rifugiati Palestinesi nel Vicino Oriente) in Israele e a Gerusalemme Est. Questa decisione, appoggiata da un'ampia maggioranza dei membri della Knesset, non solo bandisce tutte le attività dell'agenzia, ma revoca ogni riconoscimento legale e diplomatico dell'UNRWA nel territorio israeliano, con ripercussioni potenzialmente devastanti per milioni di palestinesi che dipendono dai servizi essenziali offerti dalla stessa agenzia.

L’agenda golpista occidentale in Georgia è scattata puntualmente all’indomani delle attese elezioni di sabato scorso nel paese del Caucaso meridionale. I riferimenti di Europa e Stati Uniti a Tbilisi, cioè la presidente georgiana con passaporto francese Salome Zourabichvili, i partiti di opposizione e le innumerevoli ONG finanziate dall’Occidente, hanno fatto subito scattare la campagna di discredito contro il partito di governo, Sogno Georgiano, accusato senza nessuna prova concreta di avere manipolato il voto che lo ha visto trionfare con circa il 54% dei consensi.

Nella capitale georgiana si è tenuta una manifestazione di protesta nella serata di lunedì, dopo che la presidente Zourabichvili aveva clamorosamente respinto i risultati delle elezioni. Quest’ultima, in un’intervista alla CNN e in altre uscite pubbliche, si era espressa con parole durissime nei confronti della consultazione elettorale, definita tra l’altro una “operazione speciale russa”. Non solo, l’ex diplomatica della repubblica francese aveva lanciato un appello di fatto alle potenze occidentali per intervenire e “correggere” le elezioni. In altre parole, per sollecitare un colpo di stato pilotato dall’Occidente.

In questi ultimi anni, l’India e la Cina si sono trovate più volte vicine a un conflitto aperto, specialmente lungo la frontiera himalayana che condividono. Tuttavia, il recente vertice dei BRICS a Kazan ha registrato un cambio di rotta inaspettato: i due giganti asiatici hanno raggiunto un accordo storico per la gestione delle controversie di confine. Questo sviluppo non rappresenta soltanto una boccata d’ossigeno per le relazioni bilaterali, ma segna anche un possibile riassetto delle alleanze geopolitiche mondiali in un contesto di crescente multipolarismo.

L’accordo di Kazan arriva a seguito di una serie di scontri e incidenti lungo la cosiddetta “Line of Actual Control” (LAC), cioè la linea di demarcazione contestata tra India e Cina nella regione del Ladakh. Dopo il violento scontro del 2020, che causò vittime tra le truppe di entrambi i paesi, la situazione si è mantenuta incandescente. Questa nuova intesa prevede la creazione di nuovi pattugliamenti congiunti e un impegno reciproco a evitare un’ulteriore escalation. Secondo Vikram Misri, segretario agli Affari Esteri indiano, l’accordo rappresenta un “punto di svolta” per la stabilità regionale, dimostrando come sia possibile risolvere dispute storiche attraverso la diplomazia.

Julio César Urien è un ex ufficiale di spicco della Marina argentina. Noto per aver guidato la rivolta alla Escuela de Mecánica de la Armada (ESMA) il 17 novembre 1972, a sostegno del ritorno del generale Juan D. Perón dopo 18 anni di proscrizione e per essersi rifiutato di reprimere il popolo, fu detenuto fino al 25 maggio 1973, quando venne rilasciato con la legge di amnistia del presidente Héctor J. Cámpora. Nel 1975 fu nuovamente arrestato per i suoi legami con il Gruppo Montoneros e infine rilasciato sotto il governo democratico di Raúl Ricardo Alfonsín nell'ottobre 1983.

Ha ricoperto vari incarichi, tra cui quello di Segretario generale dell'Unione latinoamericana argentina (UALA) e di Presidente dell'Organizzazione dei militari democratici dell'America Latina e dei Caraibi (OMIDELAC) fino al 1990. Nel 2005 è stato reintegrato nella Marina Militare con il grado di Tenente di Fregata (RE) grazie al riconoscimento dell'ex Presidente Néstor Kirchner.


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