di redazione

Il Campionato riparte con il freno a mano tirato per quelle che una volta chiamavamo “le grandi della Serie A”. Si salva solo l'Inter, che sblocca la gara contro l'Atalanta soltanto al 93esimo con il primo gol ufficiale in nerazzurro di Jovetic, bravo a sfruttare un clamoroso colpo di sonno dei bergamaschi (fin lì catenacciari perfetti, scuola Reja) con un gran tiro a giro. La squadra di Mancini domina nel possesso palla e tira una ventina di volte verso la porta avversaria, ma il gioco non è ancora fluido e l'infortunio di Icardi in avvio di gara impone probabilmente a Thohir di tornare sul mercato per cercare un'altra alternativa in attacco.

Per il resto, la prima giornata è un'ecatombe delle big. La sconfitta più imprevedibile è sicuramente quella della Juventus campione d'Italia, superata dall'Udinese nella partita della 18 con un gol di Thereau al 78esimo. I bianconeri, lenti e prevedibili, vengono battuti al debutto in casa per la prima volta nella storia.

Fa meno clamore la caduta senza appello del Milan contro la Fiorentina. I viola, messi in campo con un sorprendente 3-4-3 da Sousa, dominano i rossoneri in lungo e in largo, passando prima su una punizione capolavoro di Marcos Alonso (il fallo era di Rodrigo, espulso nell'occasione), poi con il rigore di Ilicic, provocato con grande ingenuità da Romagnoli (il ragazzo è costato 25 milioni ma no, non ricorda ancora Nesta).

La terza grande sconfitta all'esordio è quella del Napoli di Sarri, superato in rimonta dallo spietato Sassuolo guidato da Di Francesco. Gli azzurri passano con Hamsik dopo appena 3 minuti e per la prima mezz'ora danno l'impressione di poter gestire il risultato, ma poi subiscono il pareggio di Floro Flores a fine primo tempo e la zuccata vincente nella ripresa di Sansone.

Come l'Inter, anche il Palermo vince la partita con un gol all'ultimo secondo. L'autore è il marocchino El Kaoutari, che spara in porta un pallone vagante in mischia, dopo un maldestro tentativo di disimpegno da parte di Burdisso.

Quanto alle esordienti, la vera delusione è il Carpi. Intendiamoci, perdere con la Sampdoria all'esordio assoluto in Serie A non è uno scandalo, ma genera qualche imbarazzo incassare una manita nel giro di 20 minuti. Fra il 15esimo al 36esimo Eder e Muriel segnano due doppiette, seguite dalla punizione vincente di Fernando. Mitigano le sofferenze del Capri i gol di Lazzari (che sbaglia anche un rigore nel finale) e Matos.

Esce dal campo con la testa assai più alta il Frosinone, che alla prima partita in Serie A chiude il primo tempo in vantaggio contro il Torino con un gol in spaccata di Soddimo. Nella ripresa la raddrizzano per i granata prima il solito Quagliarella, autore di una gran girata volante, poi Baselli con un fortunato tiro da fuori.

Chiude il quadro delle partite della domenica la vittoria in rimonta del Chievo sull'Empoli. Alla rete nella prima frazione di Saponara rispondono Meggiorini, Birsa e Paloschi.

Negli anticipi, la prima partita dell'anno si chiude con l'unico pareggio della prima giornata. Per la Roma, però, è una delusione: dopo il gol di Jankovic e il pareggio di Florenzi, i giallorossi hanno almeno due chiare occasioni per vincerla con Pjanic, ma la palla non entra.

Vittoria invece per la Lazio, che sabato sera passa 2-1 all'Olimpico sul Bologna. In rete Biglia e l'esordiente Kishna, mentre per il rossoblu va a segno Maicosu. Il capitano argentino dei biancocelesti però s'infortuna a un polpaccio e salterà il ritorno dei preliminari di Champions con il Bayer Leverkusen.


di redazione

A vederla così, ripresa da una ventina di chilometri, lattiginosa, seviziata da un cinese ubriaco addetto ai replay, con la palla che va dove le pare perché il campo ricorda la spiaggia dello sbarco in Normandia e in aria spira quel che resta del tifone ''Souledor'', con il bordocampista Rai che fracassa 15 microfoni per raccontare le sue ciarle, con il commentatore tecnico Rai che sproloquia in un tono da Actors Studio, con il primo cronista Rai che chiede perdono dando la colpa di tutto alla regia cinese, mentre un altro cinese ubriaco gli parla sopra nel goffo tentativo di passare una comunicazione interna...

A vederla così, più che la Supercoppa Italiana sembra una Superciofeca cinese. Eppure è la realtà del calcio nostrano traghettato per motivi di sponsor a Shanghai. Purtroppo, la qualità del gioco non aiuta a risollevare lo spettacolo, ma siccome ''vincere è l'unica cosa che conta'', alla fine vince la Juventus. E con il minimo sforzo, due reti a zero contro una Lazio inconsistente, friabile in difesa e anestetica in attacco.

A onor del vero, per un'oretta buona le due formazioni si equivalgono nel nulla assoluto (zero tiri in porta in tutto il primo tempo). Poi, i campioni d'Italia sbrigano la pratica nel giro di cinque minuti. Trasfigurati dagli addii di Pirlo, Vidal e Tevez, i bianconeri la risolvono con due nuovi arrivati: Mandzukic, che - dopo un erroraccio solo davanti a Marchetti - si riscatta incocciando di testa indisturbato nell'area piccola fra De Vrij e Basta, e Dybala, lesto nello scaraventare sotto la traversa da distanza ravvicinata un assist facile di Pogba, mentre la difesa biancoceleste, in perfetto schieramento, marca con lo schema di Madame Tussauds.

Nonostante tutte le chiacchiere da ombrellone su calciomercato, motivazioni, progetti e sogni di gloria, alla fine, lo spettacolo grottesco di questa Supercoppa lascia dietro di sé solo conferme.

Primo, la Juve rimane la squadra da battere anche nel 2015-2016, perlomeno in Italia. Secondo, Pioli è un allenatore competente, serio e volenteroso, ma non vince uno scontro diretto contro una grande neanche sotto tortura e la Lazio resta lontana dal salto di qualità che i tifosi si aspettavano.

Terzo, la Rai si affanna a prendere le distanze dalla scarsa professionalità cinese, ma, vista la qualità del servizio che continuano a propinare nonostante il canone e la pubblicità, ieri in molti avrebbero preferito completare lo scempio con una più avvincente telecronaca in mandarino.

di redazione

C’era un tempo in cui Galliani partiva e tornava con gli scalpi dei nemici. Si trattasse di diritti tv, di cariche in Lega o di giocatori da acquistare o vendere, il pelato più celebre della storia del Milan sembrava il re incontrastato del subbuteo pallonaro. Le cene da Giannino, il ristorante amico frequentato da qualche VIP e da molti aspiranti tali, era la scenografia di fondo per telecamere, macchine fotografiche e taccuini amici.

I tempi cambiano e Galliani di quell’era ha conservato solo il piacere delle cene, oltre alle immancabili, orrende cravatte gialle su camicie bianche. Perché sul piano operativo, invece, il disastro è ormai ripetuto. Da Tevez a Pato, da Cerci a Balotelli, non riesce ad azzeccarne una da anni, povero Fester.

Eppure l’acquisto del 48% del Milan da parte di Mr. Bee (acquisto davvero nebuloso, visto un importo decisamente non congruo rispetto al valore di mercato) aveva scatenato i cantori Mediaset, che già scrivevano di Milan che tornava stellare. I soldi sono essenziali, certo; ma quando mai sono serviti solo i soldi per costruire le squadre vincenti?

Con il rifiuto di Ancelotti prima e di Ibrahimovic poi, Galliani aveva già inaugurato la sua estate poco serena, ma quello subìto in queste ore dai cugini dell’Inter è stato un uppercut di quelli da cui non ci si rialza. A maggior ragione perché era stato spiegato urbi et orbi tramite la tv di famiglia che c’era stato un gentlemen agreement tra Milan e Inter perché non si pestassero reciprocamente i piedi sul mercato.

La novella raccontava di Galliani che avrebbe offerto ad Ausilio di ritirarsi dalla corsa su Imbula, a patto che Ausilio si fosse tirato indietro da quella su Kongdogbia e finiva con Ausilio aveva consentito. Un pollo avrebbe dovuto essere Ausilio per accettare di rinunciare al primo obiettivo per quello di ripiego.

Non perché Imbula sia un ripiego - è un ottimo giocatore di grandi prospettive - ma perché l’obiettivo primo dell’Inter era Kongdogbia. E lo era ben prima che il Milan s’inserisse. Milan che adesso proverà a disturbare l’Inter anche su Imbula, con il quale però i nerazzurri hanno già un contratto firmato e che solo loro possono mollare. Altrimenti la coppia Kongdogbia-Imbula sarà il perno del prossimo centrocampo nerazzurro.

L’Inter, infatti, aveva contattato il Monaco ben prima del Milan, quando fu chiaro che Yaya Tourè non avrebbe lasciato Manchester. Il Milan ha provato quindi a scippare Kongdogbia all’Inter. Dopo incontri e trattative, l’Inter ha preso Kongdogbia e Galliani è rimasto con le forchette delle sue cene a Montecarlo.

Ma non bastasse la figuraccia con il centrocampista ex-Monaco, dopo il rifiuto di Ibrahimovic Galliani nelle stesse ore ha incassato un’altra umiliazione dal colombiano Jackson Martinez, autentica macchina da gol che prima aveva accettato di andare agli ordini di Mihajlovic, poi ha preferito l’Atletico Madrid di Diego Pablo Simeone.

La sua corazzata mediatica - un po’ ammaccata ma ancora in navigazione - ha ovviamente dato il meglio di sé: se poche ore prima affermava l’assoluto vantaggio sull’Inter nelle trattative con il Monaco e faceva trapelare come il ricchissimo Milan avesse firmato un contratto con i monegaschi per 40 milioni di euro più bonus in due tranche, subito dopo la sberla ha cominciato a diffondere opinioni circa l’eccesso di spesa per il centrocampista africano. Risietta, dicono in dialetto milanese.

Kondogbia, un metro e 88 per 80 kg, è giocatore straordinario, di grande fisicità e duttilità tattica a centrocampo. Con lui Mancini ha il giocatore che cercava, a metà strada tra quello che fu Vieira nella sua precedente guida dell'Inter e Tourè in quella al Manchester City.

Ora il Milan dovrà dedicarsi ad altri obiettivi, forte di 75 milioni di euro da investire sul mercato, come ha stranamente ammesso lo stesso Galliani. Magari portanno essere spesi per obiettivi diversi da quelli dei cigini.

Già perchè da anni peraltro, salvo eccezioni, Galliani sembra voler costruire la sua squadra sugli avanzi dell’Inter. Da Favalli a Vieri, da Ronaldo a Ibrahimovic, da Balotelli a Muntari, a Pazzini, pare che a Milanello si sia attratti solo dall’idea d’ingaggiare gli ex dell’Inter, pensando che il caso Pirlo possa essere ripetuto cento volte. E invece dopo Pirlo sono arrivati solo bidoni su bidoni.

Per pura curiosità vanno annotate alcune coincidenze: Jackson Martinez in Italia è rappresentato da Ivan Ramiro Cordoba, storico difensore dell’Inter; l’allenatore del Milan, Mihajilovic, è stato apprezzatissimo giocatore e vice allenatore dell’Inter; l’Atletico Madrid che gli ha soffiato Martinez è guidato da Diego Pablo Simeone, un tempo amatissimo centrocampista dell’Inter; il vice direttore dell’area tecnica del Monaco è Andrea Butti, ex team manager dell’Inter.

Una novela che si ripete quindi. Sarà che Galliani dovrebbe lasciar perdere i luoghi disseminati ad ogni titolo da ex interisti? Non gli porta bene.

di redazione

Per la Juventus, contro questo Barcellona, la sconfitta era un destino. Le analisi tecnico-tattiche del post finale di Champions si potrebbero ridurre a quattro parole: manifesta superiorità dell'avversario. Eppure, di carattere la squadra di Allegri ne ha dimostrato da vendere, compiendo l'impresa di rimanere in partita fino all'ultimo. Non è poco, visto che prima dei bianconeri né il Manchester City, né il Psg né il Bayern Monaco erano riusciti a tenere il risultato in bilico fino alla fine, cedendo di schianto sotto i colpi del terrificante attacco blaugrana.

Purtroppo, però, questo non vuole nemmeno dire che la Juventus sia andata vicina alla Coppa. La squadra di Allegri è stata abile a sfruttare nella ripresa l'unica vera palla gol concessa dal Barça, trovando con Morata il momentaneo pareggio alla rete in avvio di Rakitic, ma le occasioni create dai catalani sono state moltissime, e se i bianconeri non sono crollati prima del 96esimo lo devono in gran parte ai colpi da campione di cui è ancora capace Buffon.

Certo, è lo stesso portierone ad avere le responsabilità maggiori sul 2-1 di Suarez (quel tiro di  Messi andava bloccato o spinto di lato, non certo consegnato al tap in del pistolero), ma - come diceva Mourinho - di solito i portieri delle grandi squadre devono fare una sola grande parata a partita. Sabato Buffon ne ha fatte almeno tre, rimediando all'affanno di Barzagli e Bonucci, in prevedibile difficoltà nel marcare il tridente extraterrestre del Barça.

La verità è che al momento il Barcellona è l'unica vera corazzata d'Europa. Tutte le altre big hanno dimostrato lacune e amnesie più o meno preoccupanti nel corso della stagione, e oggi abbiamo le prove che in Europa non esiste una sola difesa che Messi, Neymar e Suarez non siano in grado di bucare almeno tre volte nel corso dei novanta minuti. L'unico modo per sconfiggere una squadra del genere lo hanno insegnato negli anni scorsi l'Inter di Mou e - in modo meno elegante, ma più evidente - il Chelsea di Di Matteo: per dirla in metafora, occorre parcheggiare il pullman della squadra davanti alla linea porta. Supercatenaccio muscolare, e poi contropiede.

Se alzi la difesa, se ti fai ingolosire dagli spazi che ogni tanto s'intravedono nella retroguardia blaugrana - com'è avvenuto alla Juventus dopo il momentaneo pareggio - vieni inevitabilmente punito dalla ripartenza degli alieni. Era vero cinque anni fa, quando a centrocampo giocavano le migliori versioni di Xavi e Iniesta, e lo è a maggior ragione oggi che la potenza di fuoco dell'attacco catalano ha raggiunto lo zenit.  

La Juve, insomma, non poteva vincere, ma è comunque uscita dal campo con la testa più alta del previsto. I bianconeri, in qualche modo, hanno legittimato i ripetuti baci della fortuna arrivati negli ultimi mesi dall'urna magica. Perché incontrare il Borussia Dortmund agli ottavi e il Monaco ai quarti non è cosa da tutti i giorni e anche pescare in semifinale il Real Madrid è stato un colpo di buona sorte notevole, considerando che le alternative erano Barça o Bayern.

A voler considerare soltanto la qualità del gioco, è probabile che la palma di seconda miglior squadra europea spetti proprio ai tedeschi di Guardiola, che però - pur essendo sulla carta superiori alla squadra di Allegri - sono stati annichiliti ancor peggio della Juve dagli stessi catalani. A dimostrazione del fatto che, nel calcio, la fortuna conta (si pensi agli infortuni di Robben e Ribery), mentre la proprietà transitiva non funziona. E soprattutto che Lionel & Co. sono una falce in grado di livellare tutte le regine d'Europa al livello di comprimarie.

di Michele Paris

Con le dimissioni a sorpresa giunte martedì del numero uno della FIFA, Joseph Blatter, il governo americano ha raggiunto uno dei principali obiettivi che avevano motivato la retata della scorsa settimana portata a termine dalle forze di polizia svizzere a Zurigo e i successivi arresti di vari esponenti di spicco dell’organo di governo del calcio mondiale.

Com’è ormai ben noto, il 79enne Blatter ha rimesso il proprio mandato dopo appena quattro giorni dall’ennesima rielezione alla guida della FIFA, conquistata con i voti di praticamente tutte le federazioni nazionali del pianeta, tranne quelle dell’Europa occidentale - ad eccezione di Francia e Spagna - e del Nordamerica.

A determinare la decisione sono state forse le voci emerse a inizio settimana, in particolare quelle riportate dal New York Times, secondo le quali lo stesso Blatter risulterebbe al centro di un’indagine federale per corruzione negli Stati Uniti. Inoltre, nella giornata di martedì era stata diffusa la notizia che il segretario generale della FIFA molto vicino a Blatter, Jerome Valcke, è sospettato dalle autorità giudiziarie americane di essere dietro a bonifici bancari per un totale di dieci milioni di dollari a beneficio dell’ex vice-presidente della federazione internazionale, Jack Warner, destinati a favorire l’aggiudicazione dei mondiali di calcio del 2010 al Sudafrica.

Sia queste ultime accuse di corruzione sia quelle precedenti dietro al raid di Zurigo durante il congresso della FIFA hanno probabilmente più di un fodamento, visti i sospetti a lungo nutriti circa le modalità di assegnazione degli eventi calcistici planetari e le somme enormi movimentate dalla loro organizzazione. Ciononostante, il tempismo dell’indagine e il fatto che essa sia scaturita dagli Stati Uniti escludono a priori l’ipotesi che le ragioni dell’operazione siano unicamente di natura giudiziaria.

Per cominciare, gli Stati Uniti si erano visti bocciare la propria candidatura a ospitare i mondiali del 2022, finiti a sorpresa al Qatar. La giustizia americana aveva allora avviato un’indagine per corruzione ai danni della FIFA proprio all’indomani della decisione presa nel dicembre del 2010 a favore della piccola monarchia del Golfo Persico.

Ancor più, l’iniziativa guidata dal neo-ministro della Giustizia USA, Loretta Lynch, ha un significato tutto politico, collegato agli interessi strategici della classe dirigente americana, impegnata in una campagna di pressioni e minacce diretta contro la Russia, paese ospitante dei mondiali del 2018.

Proprio attorno a quest’ultimo evento è lecito attendersi nel prossimo futuro un’operazione di propaganda, allo scopo di sottrarne l’organizzazione alla Russia o, visti i tempi limitati, per trasformarlo da occasione di vanto per il Cremlino a motivo di imbarazzo.

Lo stesso Blatter, va ricordato, qualche mese fa aveva incontrato il presidente russo Putin in seguito agli appelli giunti da più parti in Occidente per boicottare i mondiali di calcio del 2018 a causa della crisi in Ucraina. Il presidente uscente della FIFA aveva confermato senza indugi l’assegnazione della manifestazione alla Russia, invitando i politici scontenti di questa realtà a “rimanere a casa” nel 2018, quando si terranno “i mondiali più grandi mai visti”.

Il sostegno assicurato a Mosca in un clima crescente di caccia alle streghe nei confronti della Russia è dunque costato a Blatter il proprio posto dopo l’intervento diretto degli Stati Uniti. Che la campagna anti-Blatter e anti-russa stesse per arrivare a un punto di svolta era apparso peraltro evidente nei mesi scorsi, quando ad esempio tredici senatori americani avevano indirizzato una lettera al presidente della FIFA per invitarlo a togliere la coppa del mondo alla Russia.

Alcuni dirigenti di federazioni europee e la stessa associazione del vecchio continente (UEFA) avevano poi ipotizzato un boicottaggio dell’evento previsto per il 2018, con addirittura la possibilità di organizzare un torneo alternativo a cui prenderebbero parte le nazionali europee e, su invito, qualche selezione sudamericana.

Queste e altre iniziative hanno così determinato pressioni enormi su Blatter nei giorni scorsi, con il governo britannico e la federazione inglese, la quale aveva perso la sfida con la Russia per l’organizzazione dei mondiali del 2018, che hanno fatto registrare le dichiarazioni di maggiore rivilevo.

Decisamente insolito era stato ad esempio l’intervento pubblico sabato scorso prima della finale di FA Cup tra Arsenal e Aston Villa a Wembley del principe William - presidente della federazione calcistica inglese - per denunciare la corruzione dilagante ai vertici del “management dello sport internazionale” e per chiedere “riforme” improntate alla trasparenza.

L’erede al trono di Gran Bretagna si era anche rivolto agli sponsor della FIFA, invitandoli a fare “pressioni” per cambiare le modalità di gestione della federazione internazionale, ben consapevole dell’importanza delle “partnership” con le multinazionali nel veicolare denaro verso l’organo calcistico mondiale. Molte di queste compagnie, come Visa, Nike e Adidas, avevano subito minacciato di rivedere i propri contratti se non fossero state prese iniziative per ripristinare l’integrità dell’immagine della FIFA, cominciando con le dimissioni dell’ormai compromesso Blatter.

Significativamente, tutte le voci sollevatesi in questi giorni per chiedere il ristabilimento di una certa “moralità” nella gestione del calcio a livello mondiale non hanno nemmeno lontanamente messo in discussione la realtà odierna dello sport professionistico, dove risiede la causa principale della corruzione, cioè che qualsiasi evento di rilievo viene subordinato ai profitti delle grandi aziende che vi ruotano attorno e alle possibilità di guadagno dei vertici delle varie federazioni.

La caduta di Blatter, in ogni caso, secondo molti potrebbe consentire all’Occidente di esercitare un controllo maggiore su una macchina da soldi come la FIFA. I tempi per la scelta del suo successore saranno comunque relativamente lunghi, visto che un nuovo congresso che dovrebbe eleggere il prossimo presidente non potrà essere convocato prima del mese di dicembre.

Al momento non è chiaro quali saranno i candidati favoriti, ma è possibile che possa tornare a presentarsi il principe giordano Ali bin Hussein, fratello del sovrano hascemita Abdullah e recente sfidante di Blatter. Il 39enne Ali risponde d’altra parte all’identikit del perfetto burattino manovrabile da federazioni e corporations occidentali.

Il procedimento ai danni dei vertici FIFA avviato dall’FBI in collaborazione con le autorità svizzere rappresenta infine un’ulteriore conferma del carattere altamente selettivo della giustizia degli Stati Uniti, politicizzata come poche altre soprattutto quando i soggetti indagati non sono americani.

Per avere un’idea di ciò è sufficiente rileggere le parole utilizzate settimana scorsa dal ministro della Giustizia di Obama, Loretta Lynch, nel descrivere le attività illegali dei membri della FIFA arrestati o coinvolti nell’indagine. L’ex procuratore di New York aveva parlato di “corruzione radicata, sistematica e fuori controllo”, fornendo cioè una descrizione molto più pertinente delle attività condotte dalle grandi banche americane, le cui truffe e operazioni illegali di proporzioni ben maggiori sono di fatto puntualmente condonate dalla giustizia a stelle e strisce.

L’attacco alla FIFA e a Sepp Blatter da parte del Dipartimento di Giustizia USA risponde in definitiva alle esigenze strategiche di Washington nell’ambito del conflitto con Mosca. Sottrarre alla Russia i mondiali del 2018 o renderli in qualche modo un fallimento significherebbe infatti assestare un colpo letale al Cremlino su più fronti.

Innanzitutto il riassegnamento a un altro paese dell’evento priverebbe la Russia della possiblità di incassare parecchio denaro dopo che l’Occidente sta cercando di esercitare pressioni economiche attraverso l’applicazione di sanzioni punitive. Inoltre, la Russia perderebbe un’occasione irripetibile per proiettare un’immagine positiva di sé in tutto il mondo nonostante gli sforzi per isolare questo paese guidati da Washington.

Vladimir Putin, infine, patirebbe un’umiliazione personale gravissima dopo essersi esposto per ottenere l’aggiudicazione del torneo, vedendo probabilmente minacciato il suo stesso futuro politico nelle elezioni presidenziali previste proprio per il 2018.


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