di Sara Michelucci

L’integrazione, a volte, può essere davvero difficile. Ma ci sono tanti modi per parlarne e tanti sguardi attraverso cui guardarla. Anche con gli occhi della la commedia. Ed è proprio il genere comico quello scelto dalla regista turco-tedesca, Yasemin Samdereli, per il suo Almanya, la mia famiglia va in Germania. La famiglia è la vera protagonista di questo bel film, applauditissimo all’ultimo festival del cinema di Berlino. Un’opera a 4 mani, scritta da due sorelle, Yasemin e Nesrin, che hanno attinto ai ricordi d’infanzia per dare corpo a una sceneggiatura ben congeniata e divertente.

Gli Yilmaz sono emigrati in Germania dalla Turchia negli anni sessanta e ormai la famiglia è giunta alla terza generazione. Come spesso accade, dopo tanto lavoro e duri sacrifici da parte della prima generazione, l’ultima si trova in una condizione differente, dove l’integrazione - se così si può davvero chiamare - è ad una fase differente. Ma il sogno del vecchio Hüseyin è quello di comprare una casa in Turchia e vorrebbe farsi accompagnare da figli e nipoti per aggiustarla.

La famiglia non la prende proprio bene all’inizio, quella terra è così lontana dalle abitudini della nuova generazione, così sconosciuta che, nonostante le origini del patriarca, non sembra appartenere ai più giovani. Ma questo non ferma la traversata della famiglia al completo, che decide nonostante le prime ritrosie di partire per questa avventura, più unita che mai.

Da qui inizia un film che sa ben condensare le storie e i ricordi che si intessono con avvenimenti passati tragicomici dei primi anni vissuti in Germania, quando la nuova patria sembrava un posto impossibile in cui stare e dove potersi integrare. L’unità della famiglia è però minata da alcune scoperte che si faranno durante questo on the road, e per restare comunque uniti ci si dovrà confrontare e far prevalere l’amore che lega i diversi componenti di questa piccola comunità.

Il genere commedia negli ultimi tempi è molto utilizzato per affrontare questioni legate all’immigrazione, alla diversità e all’integrazione. Se ci sono pellicole piuttosto scontate in questo, come Il mio grosso grasso matrimonio greco che cede alla banalità e al buonismo a tutti i costi, ce ne sono altre come appunto Almanya, la mia famiglia va in Germania o East is East, ma anche un Un bacio appassionato di Ken Loach che riescono a creare una “zona nuova”, un modo di pensare differente a questioni serie. La commedia, se ben fatta, riesce a incentrare il punto di vista su alcune dinamiche insite nella società del presente, rompendo però i legami del “serio” e, attraverso il paradosso, creando un pensiero critico forte.

Almanya ci riesce bene, scegliendo la comunità turca che, in Germania, rappresenta una realtà ampia e ben consolidata, pur con tutte le storture del caso a partire dalla ghettizzazione che sovente si percepisce per coloro che sono arrivati da più o meno lontano.

Almanya, la mia famiglia va in Germania (Germania 2011)

regia: Yasemin Samdereli
sceneggiatura: Yasemin Samdereli, Nesrin Samdereli
attori: Vedat Erincin, Fahri Ogün Yardim, Lilay Huser, Demet Gül, Aylin Tezel, Denis Moschitto, Petra Schmidt-Schaller, Rafael Koussouris, Aliya Artuc, Kaan Aydogdu
fotografia: Ngo the Chau
montaggio: Andrea Mertens
musiche: Gerd Baumann
produzione: Roxy Film (Andreas Richter, Ursula Woerner, Annie Brunner)
distribuzione: Teodora Film

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

La signora di ferro, Margaret Thatcher, ex primo ministro del Regno Unito dal 1979 al 1990, è la protagonista del film The Iron Lady diretto da Phyllida Lloyd. È una magnifica Meryl Streep a interpretare la vita della controversa donna che ha dato una sferzata conservatrice al paese britannico. Trucco perfetto e ottimo studio degli atteggiamenti dell’ex primo ministro, la Streep incarna alla perfezione sia nel look “gelido” che nelle movenze la ex-lady di ferro.

La regista decide di ripercorrere tutta la vita della Thatcher, dall’infanzia alla sua carriera politica, compresi i diciassette giorni antecedenti alla guerra delle Falkland, scoppiata nel 1982. A raccontarci la storia sono gli occhi della donna che, ormai ottantenne, vive con nostalgia i ricordi della sua vita passata, specie quelli trascorsi al fianco del marito Denis. Passato e presente s’intrecciano nella mente di questa signora che però, nonostante gli anni, sa ancora quello che vuole. Margaret non cede alle preoccupazioni della figlia e dei suoi collaboratori, consapevole del fatto che, nonostante l’importanza degli eventi trascorsi, anche la sua vita presente rimane degna di essere vissuta fino in fondo.

Sullo sfondo del film c’é anche il tema della malattia, quello della demenza senile di cui la Thatcher è affetta. E così i ricordi, le immagini, si confondono e s’intessono, nonostante il film non riesca ad avere uno slancio vero che vada oltre la mera trasposizione biografica.

A salvarlo è sicuramente la bravura della Streep che, come sempre, riesce a dare alla sua interpretazione un’impeccabilità tale che a volte vengono meno le mancanze di sceneggiatura o di regia. L’uso della contrapposizione tra passato e presente non riesce a creare nessuna sfumatura e tutto si conclude in una piatta rappresentazione della vita della protagonista.

The Iron Lady (Gran Bretagna 2012)

Regia: Phyllida Lloyd
Sceneggiatura: Abi Morgan
Attori: Meryl Streep, Jim Broadbent, Harry Lloyd, Richard E. Grant, Olivia Colman, Ronald Reagan, Roger Allam, Nicholas Farrell, Julian Wadham, Anthony Head
Fotografia: Elliot Davis
Montaggio: Justine Wright
Musiche: Clint Mansell, Thomas Newman
Produzione: Film4, Goldcrest Pictures, Pathé, UK Film Council
Distribuzione: Bim

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Quarta volta per Mission Impossible, che torna sugli schermi cinematografici con un nuovo capitolo: Mission Impossible Protocollo Fantasma. Cambia il regista, questa volta con Brad Bird, ma resta sempre invariato l’attore protagonista, Tom Cruise che ancora una volta veste i panni dell'agente Ethan Hunt.

Bird è un regista avvezzo al cinema d’animazione, con una lunga carriera alle spalle che comincia alla tenerissima età di 13 anni con il primo cortometraggio. Ma è ovvio che deve vedersela ora non solo con un nuovo genere, quello del live action, ma anche con registi del calibro di Brian De Palma e John Woo che hanno firmato i primi due capitoli di Mission Impossible, veri e propri successi non solo al botteghino. Trama e scenari futuribili, come ci si aspetta, mettono in piedi un film discreto, ma che non riesce ad eguagliare i primi due capitoli.

Dopo che un attentato terroristico ha distrutto il Cremlino, il governo degli Stati Uniti attiva il cosiddetto “protocollo fantasma”, così che tutta l’Impossible Mission Force viene accusata dell’attacco da Kurt Hendricks, un milionario russo che vuole ricostruire l’Unione Sovietica e dominare il mondo. La Guerra Fredda, di nuova generazione, fa da contorno al film dove l’agente Ethan Hunt e la sua squadra fuggono, in modo da poter operare al di fuori della loro agenzia, per provare la loro innocenza e allo stesso tempo sventare un attacco nucleare che potrebbe portare alla terza guerra mondiale.

Molto belle le riprese, sarà per il fatto che i luoghi hanno aiutato. Hanno avuto infatti luogo a Dubai, Praga, Mosca, Mumbai e Vancouver e molte delle scene girate a Dubai sono state ambientate nel Burj Khalifa, l’edificio più alto del mondo al momento in cui si girava.
Per il resto il film cede un po’ troppo alla sola azione, senza andare a fondo sui personaggi e alla loro caratterizzazione. E Tom Cruise appare un tantino più attempato rispetto ai precedenti capitoli.

Mission Impossible Protocollo Fantasma (Usa 2011)
regia: Brad Bird
sceneggiatura: Josh Appelbaum, André Nemec
attori: Tom Cruise, Jeremy Renner, Léa Seydoux, Josh Holloway, Michael Nyqvist, Simon Pegg, Ving Rhames, Paula Patton, Anil Kapoor, Vladimir Mashkov, Samuli Edelmann, Ilia Volokh, Miraj Grbic, Ivan Shvedoff, Pavel Kríz, April Stewart
fotografia: Robert Elswit
montaggio: Paul Hirsch
musiche: Michael Giacchino
produzione: Bad Robot, Paramount Pictures, Skydance Productions
distribuzione: Universal Pictures

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Siamo nel 1962, in un’America razzista, classista e dove le donne hanno un solo ruolo: quello di mogli e madri. Ma Eugenia "Skeeter" Phelan è diversa dalle altre. È una giovane ragazza bianca, da poco tornata a casa dopo aver preso la tanto ambita laurea. E’ un'anticonformista vera, focalizzata più sulla sua carriera che su figli e marito. Sua madre vorrebbe solo vederla sposata, ma la giovane donna ha ben altri progetti che quello di un anello al dito.

Dall’altra parte c’è Aibileen Clark, una domestica afro-americana che ha passato la maggior parte della sua vita a crescere i figli dei bianchi e che da poco tempo ha perso il suo unico figlio. Una cosa che l’ha profondamente distrutta, tanto che al ritorno a casa, Eugenia non la trova. È sparita.  Minny Jackson è invece una domestica afro-americana il cui carattere spinoso l'ha portata a tensioni con i propri datori di lavoro, da cui è stata licenziata più volte, costringendola a farsi in quattro per mantenere la numerosa famiglia.

The Help, il nuovo lavoro scritto e diretto a Tate Taylor, adattamento cinematografico del romanzo L’Aiuto, di Kathryn Stockett, intreccia le storie di queste tre donne, portandole a lavorare in gran segreto a un progetto che scuoterà la società di Jackson, divisa ancora tra bianchi e neri a causa delle tensioni razziali. Un film ben raccontato, che a tratti ricorda il legame di ‘sorellanza’ del film Il Colore viola di Steven Spielberg o quello di Pomodori Verdi Fritti. Le donne si sostengono, sono conforto le une delle altre, rappresentano quasi una enclave segreta che riesce a prendersi gioco dell’universo maschile dell’epoca e a distruggere le sue regole.

Gli ultimi, i neri e le donne in questo caso, sono i protagonisti veri di un racconto tutto al femminile, con un linguaggio comune che supera qualsiasi divisione di ceto sociale o di razza.  Interessante il punto di vista scelto dal regista per affrontare la tematica del razzismo, ma anche la storia delle domestiche nere che hanno a che fare con odiose donne bianche, ricche e isteriche. Si punta molto a evidenziare alcuni clichè, ma ci si gioca su e quindi la trama diventa divertente, ma al tempo stesso fa riflettere e commuove.

Negli Stati Uniti il film ha ricevuto il consenso di critica e pubblico, ottenendo ben tre premi ai Critics’ Choice Movie Awards, conferiti annualmente dalla più importante associazione di critici statunitensi. I riconoscimenti sono andati a Viola Davis come miglior attrice protagonista, a Octavia Spencer come migliore attrice non protagonista e al miglior cast. Ma non è tutto. Il film si è aggiudicato 5 nomination ai Golden Globe 2012 e Octavia Spencer ha vinto il premio per la migliore attrice non protagonista.

The Help (Usa 2011)
regia: Tate Taylor
sceneggiatura: Tate Taylor
attori: Emma Stone, Bryce Dallas Howard, Mike Vogel, Sissy Spacek, Allison Janney, Jessica Chastain, Ahna O'Reilly, Viola Davis, Chris Lowell, Anna Camp, Octavia Spencer, Aunjanue Ellis, Cicely Tyson, Dana Ivey, Brian Kerwin
fotografia: Stephen Goldblatt
montaggio: Hughes Winborne
produzione: Paramount Vantage, 1492 Pictures, DreamWorks Pictures, Harbinger Pictures,I magenation Abu Dhabi FZ, Participant Media
distribuzione: Walt Disney Pictures

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Leonardo Di Caprio continua a stupire per la bravura e chi lo voleva lontano dal fisique du role dell’attore puro - alla De Niro per intenderci - si è dovuto presto ricredere. Stessa bravura la si può sicuramente attribuire al nodoso Clint Eastwood, che dietro la macchina da presa, stavolta non delude. J. Edgar è un film ben fatto. Forse un po’ lungo e lento in alcuni passaggi, ma sicuramente curato nella costruzione dei personaggi come nella trama. Non è facile raccontare la biografia di personaggi complessi e che hanno avuto una vita piuttosto “piena” di successi come di insuccessi. Ma stavolta si riesce a non scendere nel retorico e a dare spessore al personaggio, tentando un racconto che lo faccia emergere a tutto tondo.

John Edgar Hoover è uno dei più famosi uomini dei servizi investigativi del mondo. Ha infatti lavorato per l’Fbi per oltre mezzo secolo, la maggior parte dei quali trascorsi come suo direttore (1924-1972) sotto otto presidenti statunitensi, da Calvin Coolidge a Richard Nixon. La sua personalità controversa è stata raccontata nelle pagine dei romanzi di James Ellroy, affascinando da un lato e facendolo detestare dall’altro per la rigidità, il razzismo e l’anticomunismo.

Eastwood racconta la vita pubblica e privata di questo agente. La rivoluzione all’interno dell’Fbi con la creazione dell’accademia nazionale per l’addestramento degli agenti, l’immenso archivio per le impronte digitali, i laboratori scientifici. Tutte creazioni di Hoover che non si è fatto nessuno scrupolo nel perseguire minacce, sia vere che immaginarie, spesso infrangendo le regole per proteggere i cittadini americani.

Al centro del racconto il rapimento di un bambino e la scoperta del suo assassinio. Oggetto stesso per l’ascesa di Hoover, ma anche elemento catartico per chiedersi dove l’America stesse sprofondando. I suoi metodi spietati, ma anche eroici (seppure spesso Hoover si fregiasse dei successi altrui per farsi onore di fronte ai media e alla nazione) lo resero grande agli occhi degli americani. La sua più grande ambizione era quella di essere ammirato, ma anche di essere ricordato dopo la morte.

Il dossieraggio, di cui oggi si parla molto anche in Italia, possiamo dire che ha avuto con Hoover il suo momento di gloria, consapevole che la conoscenza è potere e che la paura crea le opportunità adatte al comando. È così che il direttore dell’Fbi ha tenuto a bada la politica, creando su di essa un’influenza senza precedenti e costruendosi al tempo stesso una reputazione intoccabile.

Sicuramente Hoover va ricordato - e il film ci punta molto - per aver combattuto il gangsterismo, eliminando John Dillinger detto il pericolo pubblico numero uno, e George R. Kelly detto machine gun. Inoltre, scoprì dopo quattro anni di indagini il rapitore ed uccisore di Baby Lindbergh. In un paese con una criminalità così estesa e fenomeni di violenza così gravi come gli Stati Uniti, Hoover diventò per alcuni una specie di eroe nazionale. Dall’altro lato, però, venne accusato di violazione dei diritti civili per aver disposto indagini segrete volte a identificare cittadini americani ritenuti, per le loro idee politiche, simpatizzanti con il comunismo. Tra questi Charlie Chaplin, ma anche Martin Luther King.

Hoover, in fondo, rappresenta bene le contraddizioni di un’America che punta a essere leader indiscussa di forza, perbenismo e efficienza, ma che ha al suo interno grandissime crepe. La vita privata di J. Edgar ne è stata un esempio. La sua sessualità ambigua, il fatto che non si sia mai sposato, l’amore dato per certo nel film con Clyde Anderson Tolson, direttore Associato del Federal Bureau of Investigation, ma mai confermato nella realtà. L’attaccamento ossessivo a una madre ingombrante (la bravissima Judi Dench) che ha cercato il proprio riscatto personale e familiare nei successi del figlio. Sono tutti esempi di un’esistenza votata al solo lavoro e sacrificio personale.

Alla morte di Hoover, Tolson ne ha ereditato i beni e la casa, dove si trasferì e vi trascorse i suoi ultimi anni di vita. Nelle didascalie finali si capisce bene come Eastwood scelga il privato, più che il pubblico, dell’agente Hoover, scavando nella sua psicologia. Forse ci si dimentica un po’ troppo della dimensione pubblica, anche se, in fondo, sono gli uomini che fanno una Nazione.

J. Edgar (Usa 2012)
regia: Clint Eastwood
sceneggiatura: Dustin Lance Black
attori: Leonardo Di Caprio, Naomi Watts, Armie Hammer, Judi Dench, Josh Hamilton, Geoff Pierson, Ken Howard, Dermot Mulroney, Josh Lucas, Cheryl Lawson, Kaitlyn Dever, Gunner Wright, David A. Cooper, Ed Westwick, Kelly Lester, Jack Donner, Dylan Burns, Jordan Bridges, Brady Matthews, Jack Axelrod
fotografia: Tom Stern
montaggio: Joel Cox, Gary Roach
musiche: Clint Eastwood
produzione: Imagine Entertainment, Malpaso Productions, Wintergreen Productions
distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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