di Sara Michelucci

Dodici anni, una bicicletta e la voglia di essere amato da suo padre. Questo è Cyril, giovane protagonista del film dei fratelli Dardenne, Il ragazzo con la bicicletta. Biondo, magrolino, parcheggiato da un giovane padre egoista in un istituto, Cyril non si rassegna e tenta in tutti i modi di riconquistare l’affetto di suo padre, pronto a tutto, anche a rubare, pur di poter tornare a vivere con lui. Ma non sono i soldi, non è la ristrettezza economica a impedire il riavvicinamento. Semplicemente il piccolo Cyril rappresenta un intralcio nella vita di suo padre, che vuole rifarsi una nuova famiglia, ma senza di lui. Lo dà via come ha fatto con la sua bicicletta, senza provare un minimo rimorso. Sulla strada di Cyril, però, compare Samantha, la sua seconda possibilità.

La persona che lo amerà davvero come una madre, come se quel ragazzino fosse veramente suo figlio. E forse è proprio vero che i figli sono di chi li cresce e non di chi li mette al mondo. Samantha fa la parrucchiera, è una ragazzotta forte e diretta, ma ha dei tratti angelici, pur essendo la sua figura fortemente stagliata nella realtà. Il realismo si scontra così con una spiritualità fatta di sentimenti puri, di parole non dette, ma di abbracci e gesti profondi.

Samantha è una persona autentica, che crede negli altri, nei rapporti interpersonali, e non ha remore nell’accogliere un ragazzino problematico, con cui si scontra, ma da cui riuscirà a tirare fuori il meglio. Il tema dell’abbandono torna in questo nuovo film dei fratelli Dardenne, dopo L’Enfant del 2005, dove Sonia mette al mondo un figlio, ma Bruno, il suo compagno, lo vende a una banda malavitosa nella convinzione di fare una scelta necessaria, dato che la giovane coppia non possiede i mezzi economici per allevarlo.

Ancora una volta è la donna a sentire il legame madre e figlio come qualcosa di inscindibile e ancora una volta la figura maschile è mero contorno, figura immatura e fragile, che non riesce ad elevarsi verso un amore maturo. Ritorna anche preponderante la tematica dell’infanzia. Un’infanzia difficile, dimenticata, dove si lotta per avere un posto nel mondo degli adulti. Un’infanzia rubata, potremmo dire parafrasando Truffaut, in cui lo scontro generazionale è messo ben in evidenza, e dove sembra che il mondo degli adulti trascuri quello dei più piccoli. Questo è molto accentuato nel cinema di Truffaut e meno in quello dei fratelli Dardenne, dove c’è sempre qualcuno che “veglia” sui giovani protagonisti.

In Cyril troviamo un po’ dell’Antoine Doinel dei Quattrocento Colpi, soprattutto per l’irrequietezza e la difficoltà di far coincidere i suoi bisogni affettivi con quelli del genitore. Ma se Antoine è abbandonato a se stesso, Cyrill avrà una possibilità nuova, e sceglierà Samantha come fonte di amore e affetto sinceri e incondizionati. Insomma il mondo degli adulti trova un punto di incontro con quello dell’infanzia e dell’adolescenza, mettendo fine a un vuoto incolmabile.

Il Ragazzo con la bicicletta (Francia 2011)
regia: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
sceneggiatura: Jean-Pierre Dardenne, Luc Dardenne
attori: Cécile de France, Thomas Doret, Jérémie Renier, Fabrizio Rongione, Egon Di Mateo, Olivier Gourmet
fotografia: Alain Marcoen
montaggio: Marie-Hélène Dozo
produzione: Wild Bunch
distribuzione: Lucky Red

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Ci sentiamo padroni del mondo, e invece siamo dipendenti sempre da qualcuno, come dei picconi con i pop corn gettati in strada da un passante qualunque. Sembra essere questo il leit motive che accompagna il film Un perfetto gentiluomo, direttore dalla coppia Shari Springer Berman e Robert Pulcini. Una storia che sembra appartenere un po’ al passato, ma che invece ha radici ben piantate nella modernissima New York.

Louis Ives, interpretato da Paul Dano, è laureto in letteratura americana e la insegna in una piccola scuola media privata, ma la sua vera aspirazione è quella di diventare uno scrittore. Dopo essere stato licenziato dalla preside della scuola, che l’ha trovato a provarsi un reggiseno trovato in sala professori, il giovane scrittore decide di trovarsi una nuova casa e di tentare di diventare il nuovo F. Scott Fitzgerald.

Dal New Jersey si sposta allora nella Grande Mela per inseguire il suo sogno e trovo alloggio in un minuscolo appartamento diviso con un eccentrico “vecchio lord”, Henry Harrison, interpretato dal grande Kevin Kline. Entrambi sono accomunati da un’idea del sesso piuttosto particolare. Il giovane scrittore è attratto dal travestimento, mentre il “decaduto” Harrison da una castità imposta e maniacale.

Tra i due però nasce un’amicizia sincera che va al di là delle bizzarrie di entrambi. Louis rimane affascinato dalla storia personale di Henry e dai suoi imprevedibili impegni: fare da accompagnatore a una vecchia e ricca signora per cercare di ottenere una stanza per l’estate a Palm Beach o andare all’Opera senza pagare il biglietto.

Insomma Henry è un “extra man” che tiene compagnia a facoltose signore in età avanzata. Da qui si apre un mondo al giovane Louis, fatto di avventori, signore grasse che cercano di accaparrarsi un posto in società e scrocconi di ogni tipo, disprezzati dall’elegante Henry. Il personaggio così rappresenta la cartina al tornasole di tutto un tessuto sociale.

È usato come la lente d’ingrandimento su un mondo, mettendone in luce le aberrazioni e le storture. La voce narrante mutua dalla letteratura la tecnica di utilizzare il personaggio per catturare le abitudini di un ambiente sociale. E così lo sguardo confuso, altamente introspettivo e fragile di Louis è lo strumento attraverso cui osservare le bassezze umane, ma anche la capacità di capirsi e voltare pagina.

Kevin Kline nuovamente riesce a trasferire sul grande schermo le sue doti di grande attore, interpretando un personaggio molto complesso, ironico e triste allo stesso tempo. Surrealismo e commedia sentimentale s’intrecciano e si mischiano, creando un film piacevole, ma allo stesso tempo profondo, che riesce ben a scandagliare i sentimenti dei suoi protagonisti, strappando tra una risata e l’altra una riflessione sulla vita e la società.

Un perfetto gentiluomo (Usa 2011)

Regia: Shari Springer Berman, Robert Pulcini
sceneggiatura: Robert Pulcini, Shari Springer Berman
attori: Katie Holmes, Paul Dano, Kevin Kline, John C. Reilly, Cathy Moriarty, Alicia Goranson, Patti D'Arbanville, Celia Weston, Jason Butler Harner, Marian Seldes, Alex Burns, Rafael Sardina
fotografia: Terry Stacey
musiche: Klaus Badelt
produzione: 3 Arts Entertainment, Likely Story, Tax Credit Finance, Wild Bunch
distribuzione: BIM

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

La bandiera francese che svetta alta, simbolo dell’occupazione, della mancanza di libertà e della voglia di rivalsa che poco tempo dopo accompagnerà la storia del popolo algerino. Si apre con questa immagine Uomini senza legge, ultimo film del regista franco-algerino, Rachid Bouchareb. Una storia dura, di lotta armata e conquista di diritti. Sangue e lacrime, quelle che il popolo algerino in terra francese e in terra algerina ha dovuto versare per raggiungere la libertà della patria dalla conquista dei colonizzatori.

Il film ruota attorno alla storia di tre fratelli, che fin da piccoli vedono i propri genitori vessati dai coloni ed espropriati della terra dei padri. Saïd, Messaoud e Abdelkader saranno inizialmente separati, allontanati da destini diversi (carcere, guerra), per poi ricongiungersi a Parigi. Nelle banlieues nascerà il fuoco della rivoluzione. In Messaoud e Abdelkader matura subito la coscienza nazionale, la condivisione di un progetto politico nuovo, fatto di lotta armata. Perché un popolo senza libertà è destinato prima o poi a ribellarsi.

Abdelkader, che già in carcere aveva maturato queste convinzioni politiche, diventerà ben presto il leader del Fronte Popolare di Liberazione, trascinando nella causa i fratelli fino alla affrancazione del popolo algerino. Saïd, invece, non ha vocazioni politiche, a lui interessa la boxe e mira a far diventare un algerino il primo campione di Francia e del mondo. Ma gli eventi lo catapulteranno suo malgrado nella lotta per la liberazione del suo popolo.

La storia, allora, si mischia all’epopea, al genere gangster. Le immagini di repertorio, infatti, si mescolano alla messa in scena, con una coralità tale da stagliare i personaggi all’interno della Storia. L’ambiente asfittico, cupo, legato a una claustrofobia urbana snatura i personaggi, li costringe alla perdita della coscienza e di una moralità che solo la figura della madre potrà ancora custodire. Il ripetere poi la stessa frase “Se dio vorrà” induce ad un fatalismo che pervade la storia dei tre fratelli e della loro gente, nonostante l’azione poi diventi molto più importante di una mera attesa del cambiamento.

Il film è stato presentato in concorso alla 63ª edizione del Festival di Cannes, suscitando accese polemiche per via del suo contesto storico che contempla il massacro di Sétif e Guelma, riportando in luce e denunciando il colonialismo francese in Africa. Eppure la pellicola non prende una posizione così netta, perché mostra anche l’altra faccia della medaglia: la perdita di coscienza e, dunque, di una legge interiore, dei tre fratelli algerini, disposti anche ad uccidere un proprio connazionale pur di mantenere in piedi il partito fondato.

Tant’è che il titolo del film è la traduzione francese della parola araba fellagha (fuorilegge), riprendendo la definizione dei combattenti indipendentisti autoctoni durante la guerra d'indipendenza algerina. La bandiera algerina che sventola in chiusura del film testimonia il cambiamento attuato, il soffio di un nuovo corso che cambierà la storia di un popolo.

Uomini senza legge (Francia, Algeria, Belgio 2010)
Regia: Rachid Bouchareb
Sceneggiatura: Olivier Lorelle, Rachid Bouchareb
Distribuzione: Eagle Pictures
Cast: Sami Bouajila, Jamel Debbouze, Roschdy Zem, Samir Guesmi, Sabrina Seyvecou, Assaad Bouab, Bernard Blancan, Samir Guesmi, Jean-Pierre Lorit, Corentin Lobet, Régis Romele
Produzione: Studio Canal, France 2 (FR2), Tessalit Productions

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

L’intimismo del cinema francese, la sua capacità di indagare i sentimenti, di dare un quadro collettivo del singolo personaggio che calca le sue scene, torna preponderante in una pellicola come Angèle e Tony della regista Alix Delaporte. Un film tenero, delicato, nonostante i personaggi siano una ex galeotta dalle maniere non proprio raffinate e un burbero pescatore. Ma al di là del linguaggio a volte duro e crudo, si intravede il volto di una nuova speranza che nasca da un nuovo e vero amore.

Angèle ha 27 anni ed è da poco uscita dal carcere. Dopo due lunghi anni di prigione, senza un lavoro e un marito, la giovane donna cerca di rifarsi una vita decente per riavere suo figlio, affidato ai nonni. Per ottenere l'affidamento del piccolo, Angéle cerca un contratto di lavoro e un uomo da sposare. Così mette un annuncio matrimoniale sul giornale e incontra Tony, pescatore non bellissimo, ma dal cuore grande. Tony ha da poco perso il padre, annegato in mare e vive insieme a sua madre e allo scapestrato fratello.

Il primo incontro non è dei migliori. Angéle porta con sé la ruvidità del carcere e di una vita fatta di eccessi, mentre Tony cerca una donna che lo ami per quello che è. Che voglia davvero lui. Angèle è determinata, ha bisogno di questa nuova vita. Rivuole suo figlio ed è pronta a tutto. Cerca Tony e alla fine riesce a farsi fare un contratto come venditrice di pesce, sistemandosi in una stanza a casa sua, contro il volere della madre di Tony.

Inizialmente non sappiamo bene cosa pensare di Angéle. Se sia un’approfittatrice e basta, o se in lei ci sia un affetto vero nei confronti di questo goffo uomo. I sentimenti, però, vanno oltre e Angéle e Tony troveranno la loro dimensione: due anime sole che riusciranno a intravedere un’unione e forse anche un amore. Bellissima la scena finale sulla spiaggia che sembra ricordare Truffaut, con primi piani intensi, dove a comunicare sono le espressioni più che le parole.

Angéle e Tony sono due persone apparentemente diverse, quasi opposte nel modo di fare ed essere. Lei è bella, piacente, ma capace di cacciarsi nei guai. Senza una famiglia, se non quel bambino che tenta di riconquistare a ogni costo. Tony è piuttosto bruttino, chiuso, parla poco, ma fa tanto per gli altri. Abituato al lavoro duro e al sacrificio, insomma. Due personaggi in realtà molto simili, chiusi nella loro solitudine, ma che riusciranno a comunicare e a far prevalere le loro emozioni su tutto il resto.

C’è tanto cinema francese in questo timido film, che riesce però a vivere di vita propria, pur guardando ad autori importanti. Gli sguardi e i volti, allora, la fanno da padroni e le parole sono solo un contorno.

Angèle e Tony (Francia 2010)
regia: Alix Delaporte
sceneggiatura: Alix Delaporte
attori: Clotilde Hesme, Grégory Gadebois, Evelyne Didi, Jérôme Huguet, Antoine Couleau
prodotto nel: 2010 da Lionceau Films 
distribuzione: Sacher

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Un’immagine sfocata, un respiro affannato, il volto della statua della Madonna scoperto da un grande telone e una ragazzina di 13 anni sullo sfondo, seduta sulla sella di un motorino che guarda l’opera inaugurata nella piazza del suo quartiere. Con questa immagine si apre I baci mai dati, della regista Roberta Torre che torna a girare in Sicilia il suo nuovo film. Lo scenario è Librino, la periferia di Catania, fatta di casermoni, miseria, credenze popolari e disperata ricerca di espedienti per sbarcare il lunario.

Manuela vive in una famiglia piuttosto problematica, dove regna la mancanza di comunicazione e si pensa a se stessi, tirando a campare. Una sorella che ha compagnie poco raccomandabili, un padre disoccupato e che va via di casa e una madre, Rita, insoddisfatta e che pensa solo ad apparire. Ma una notte, Manuela sogna la statua della Madonna che le rivela dove sia finita la sua testa, decapitata per sbaglio da alcuni ragazzi che giocavano a pallone nelle sue vicinanze. La mattina dopo la ragazzina racconta tutto alla mamma che, abbastanza sconcertata, la porta dal parroco della zona.

La confessione di Manuela si rivela esatta e la sua vita cambia completamente. È considerata una santa, una Bernardette dei giorni nostri. Così cominciano le visite delle persone che le chiedono una grazia, le portano fiori e soldi per avere un lavoro, per una guarigione, per un terno al lotto. La casa diventa meta di pellegrinaggio e Rita (una brava Donatella Finocchiaro) capisce che “il dono” della figlia può diventare un business importante per uscire dalla precarietà. Ma Manuela sta perdendo gli anni più belli della sua vita e arriva a odiare sua madre per quello che le sta facendo. Alla fine si troverà un punto d’incontro e il miracolo avverrà.

La regista gioca tra realtà e fantasia, pescando anche nel surreale, con il negozio della parrucchiera-fattucchiera Piera Degli Esposti, in cui Manuela vorrebbe lavorare, ma da cui verrà scacciata per “concorrenza sleale”. È in questo posto che le anime si vanno a far curare e pettinare. Donne dalle acconciature vaporose, che emettono lamenti ai quali solo la veggente Degli Esposti può dare risposte attraverso i suoi tarocchi.

È lo specchio di un mondo che vuole essere ascoltato, che vuole credere in qualcosa di superiore e onnipotente, che va oltre le miserie di tutti i giorni. Creare e dare speranza, anche a costo di spillare denaro al prossimo, nonostante nel film ci sia un finale slegato totalmente da una spiegazione razionale. Perché il film non vuole dare risposte sull’esistenza o meno di un dio o sulla possibilità che avvengano miracoli, ma vuole raccontare uno spaccato della Sicilia e dell’Italia in generale, che ha bisogno di aggrapparsi a qualcosa per andare avanti.

Dopo Tano da morire e Sud Side Stori, Roberta Torre torna a parlare della sua regione adottiva, ottenendo con questo nuovo lavoro oltre dieci minuti di applausi alla scorsa Mostra del Cinema di Venezia.

I Baci mai dati (Italia 2010)

regia: Roberta Torre
sceneggiatura: Roberta Torre, Laura Nuccilli
attori: Donatella Finocchiaro, Pino Micol, Giuseppe Fiorello, Carla Marchese, Martina Galletta, Alessio Vassallo, Tony Palazzo, Valentina Giordanella, Gabriella Saitta, Lucia Sardo, Piera Degli Esposti
fotografia: Fabio Zamarion
montaggio: Osvaldo Bargero
musiche: Federico Di Giambattista, Andrea Fabiani
produzione: Rosettafilm, Nuvola Film, in collaborazione con Adriana Chiesa Enterprises, Regione Siciliana, Sicilia Film Commission e Cinesicilia
distribuzione: Videa-CDE
FORMATO: Colore

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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