di Roberta Folatti

Raquel è una donna che non ha una vita propria. Tutto è filtrato da ciò che fa per la famiglia presso la quale é a servizio da oltre vent’anni. Lei ha accudito e cresciuto i figli della coppia benestante che le dà lavoro (insieme a vitto e alloggio), lei si sente un po’ la loro madre e s’infiamma per le loro attenzioni. Il suo preferito è il maggiore dei maschi mentre con la primogenita, ormai adolescente, ha rapporti tesi.
Raquel si annulla per la famiglia Valdes, che la ricambia con una correttezza senza sbavature, con una disponibilità più che democratica, ma forse non fa abbastanza per cercare di capirla. Del resto lei è chiusa a riccio, scorbutica, e reagisce quasi con stizza alle aperture della sua datrice di lavoro.

Il film cileno “La Tata”, tradotto in italiano con un discutibile Affetti e dispetti, ha ricevuto riconoscimenti in diversi festival internazionali (tra gli altri “Miglior film straniero” e “Miglior attrice” al Sundance 2009), e li vale tutti. Mescola, con divertita ironia, dramma e lati grotteschi, delinenando con spiccata sensibilità la figura di questa quarantenne, sciatta e disabituata alle relazioni, sulla via della dipendenza da farmaci a causa dei frequentissimi mal di testa che nascondono gelosie, piccole e grandi frustrazioni.

La sua totale mancanza di autonomia, d’interessi e relazioni esterni alla famiglia la conduce, lentamente ma inesorabilmente, verso uno stato di depressione che si manifesta in gesti illogici, continui dispetti che non sono altro che un grido di aiuto. I suoi datori di lavoro sopportano con pazienza ma continuano a non capire. Tentano di affiancarle un'altra domestica che la sollevi dalle molte incombenze quotidiane ma questo peggiora le cose, acuisce le sue insicurezze, ingigantisce il tarlo della gelosia. Fino a che non arriva Lucy, solare, empatica, forte, sempre positiva e bendisposta nei confronti degli altri. Il confronto con questa giovane donna sarà la chiave del cambiamento per Raquel.

La storia raccontata così sembra banale, priva degli ingredienti necessari a farne un film coinvolgente, ma Sebastian Silva, con piccoli tocchi, senza furbizia, semmai con grande sapienza, rende memorabile la figura di questa donna opaca, regalandoci e regalandole un finale aperto, sorridente, colmo di impercettibili promesse.

Affetti e dispetti (Cile, Messico, 2009)
Regia: Sebastian Silva
Sceneggiatura: Pedro Peirano
Montaggio: Danielle Fillios
Scenografia: Pablo Gonzales
Cast: Catalina Saavedra, Andrea García-Huidobro, Alejandro Goic
Distribuzione: Bolero Film

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Roberta Folatti

Un delitto efferato lasciato impunito. Una storia che risale a molti anni prima, all’Argentina dei colonnelli e delle violenze più vili. La vittima, una ragazza dolcissima, è stata uccisa e violentata.

Il suo giovane marito, inconsolabile, chiede giustizia ma, nel clima di quei tempi, chi agisce correttamente finisce per essere sopraffatto. Alla fine non sarà l’unico a rimanere segnato per sempre da quella vicenda.

Anche Benjamin Esposito, vice cancelliere del tribunale di Buenos Aires all’epoca dei fatti, è tormentato dal ricordo di quell’omicidio, malgrado siano passati ormai venticinque anni. L’uomo, una volta in pensione, decide di provare a raccontare in un romanzo il delitto e le indagini ad esso seguite, che per lui hanno coinciso con l’allontanamento dalla sua città, per ragioni di sicurezza, e con  la perdita di un grande amore.

Non tutto è come sembra in un film come Il segreto dei suoi occhi, e molte carte si svelano solamente con il dipanarsi della trama. Alcune cose, fondamentali, diventano chiare a poco a poco, prima fra tutte la natura del rapporto fra il protagonista e la bella cancelliera del tribunale, suo superiore. Una verità che i due non si sono mai confidati.

L’opera di Juan Josè Campanella, premiata con l’Oscar (migliore film straniero), ha svariate chiavi di lettura, è stratificata e complessa come le creazioni di molti autori sudamericani. Ma se la cosa finisce, a tratti, per caricarla di un peso eccessivo, è anche ciò che la rende speciale. Insieme all’alto tasso emotivo che permea la definizione dei personaggi e dei reciproci legami, che siano d’amore o di odio, di amicizia o d’insanabile avversione. Ogni sentimento ha contorni netti, decisi, tranne quello che scorre sotterraneo, mai dichiarato, tra Esposito e la cancelliera Irene. Che entrambi tendono a celare persino a se stessi.

Il segreto dei suoi occhi incrocia i fili del tempo, alterna presente e passato, un passato che da un lato continua a far sanguinare ferite mai davvero rimarginate, dall’altro mantiene vivi sentimenti avvolti nel pudore.

Il film di Campanella è anche un giallo, per quanto l’indagine sulla morte violenta della ragazza avvenga seguendo canoni molto particolari, sbloccata da un’intuizione che ha ben poco di razionale. Gli occhi di un uomo impressi su una vecchia foto, il suo sguardo che dice molto più di mille parole… Il colpevole viene individuato così, e con la sua fuga toglie ogni dubbio agli investigatori.

Il regista argentino soffia sulla sensitività degli spettatori, li sfida ad oltrepassare la logica aprendosi ad un mondo fatto di sfumature anche contraddittorie, di impulsi, di nervi scoperti. Se da principio si percepisce un’eccessiva complessità, come fosse un meccanismo non sufficientemente oliato, poi la struttura del film ci spinge a lasciarci andare emotivamente, a respirare all’unisono col ritmo del racconto, e allora veniamo rapiti da quest’opera amara, vitalissima, poetica.

Il segreto dei suoi occhi (Argentina, 2010)
Regia: Juan Josè Campanella
Sceneggiatura: Juan Josè Campanella
Fotografia: Felix Monti
Montaggio: Juan Josè Campanella
Cast: Ricardo Darin, Soledad Villamin, Pablo Rago, Javier Godino
Distribuzione: Lucky Red

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Roberta Folatti

La passione può insinuarsi nelle nostre vite senza che ne siamo del tutto consapevoli. Vite già instradate, in apparenza serene, con legami consolidati, responsabilità, progetti. Eppure venate di un’insoddisfazione latente, che affiora di colpo…

Cosa voglio di più, l’ultima opera cinematografica di Silvio Soldini, racconta la storia fra Anna e Domenico, che si conoscono per caso e si scoprono travolti da un’attrazione che lesina sulle parole, esprimendosi attraverso una potente fisicità. Lui è sposato e ha due bambini, lei una situazione sentimentale stabile che lascia intravedere una futura maternità, il sopraggiungere di un sentimento così violento, quasi ingestibile, li farà soffrire più che renderli felici.

Soldini sembra dirci, fra le righe, che vivere una seconda vita parallela o permettersi di sterzare improvvisamente, lasciando indietro ciò che c’era prima, è un privilegio da ricchi. Un uomo che ha famiglia e che riesce a malapena a mantenerla (non di rado chiedendo anticipi e aiuti), non potrà mai cambiare vita seguendo istinto e cuore, a meno di comportarsi con totale irresponsabilità. Domenico è in questa situazione, schiacciato tra le scelte passate e l’anelito a un futuro diverso, il personaggio interpretato da Gigio Alberti invece, siccome ha denaro, è libero di sposarsi più volte, di rimettersi in gioco e ricominciare.

Insomma legami precedenti, doveri, difficoltà economiche tarpano le ali alla relazione fra Anna e Domenico, regalandole allo stesso tempo un’intensità senza pari. I momenti rubati vengono vissuti con grande pathos dai due, quel legame li porta lontano dalle frustrazioni quotidiane. Anna tanto è apatica e remissiva nella sua vita ufficiale, quanto è decisa, disinibita in compagnia di Domenico.

Malgrado si vedano in motel di periferia, anonimi e senza gusto, raccontando bugie sempre più inverosimili a chi li aspetta a casa, i loro incontri sono densi, vibranti. E la lontananza comincia a pesare, ciascuno dei due vorrebbe aver vicino l’altro per condividere un’intimità più rilassata, istanti meno concitati. Si cercano, chiamandosi nei momenti sbagliati, mettendo sull’avviso i rispettivi partner.

Il film di Soldini è estremamente verosimile, due persone impegnate in relazioni che stanno attraversando un periodo di stanchezza, si trovano coinvolte in un nuovo amore, travolgente, sensuale, per molti versi inspiegabile. E per difendere questo amore diventano crudeli, incuranti della sofferenza che procurano a chi sta loro vicino. Accanto a me al cinema una coppia fa commenti velenosi sul personaggio di Anna, considerata la colpevole del “disastro”, ed esprime vicinanza al compagno tradito, il rassicurante Giuseppe Battiston.

In genere in sala si respira una palese condanna ai due amanti clandestini, quasi si temesse la loro temerarietà. Il motivo è semplice: una vicenda simile potrebbe accadere, o é accaduta, a ciascuno di noi, i più “bravi” non se ne sono fatti travolgere ma istinto e sentimento sono difficilmente irregimentabili. Forse è proprio questo che spaventa il pubblico…

Bravo Soldini, bravissimi gli attori, soprattutto Alba Rohrwacher e Pierfrancesco Favino.

Cosa voglio di più (Italia, 2010)
Regia: Silvio Soldini
Sceneggiatura: Angelo Carbone , Doriana Leondeff , Silvio Soldini
Fotografia: Ramiro Civita
Scenografia: Paola Bizzarri
Cast: Alba Rohrwacher, Pierfrancesco Favino, Giuseppe Battiston, Teresa Saponangelo
Distribuzione: Warner

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Roberta Folatti


Lezioni di cinema e di ironia da uno “splendido” novantenne


In un certo senso l’ultimo film di Alain Resnais ha una portata rivoluzionaria. Si è mai vista una “patta” dei pantaloni (rimasta aperta a causa di un gesto maldestro) assumere un’importanza quasi determinante nel momento clou di una storia, la si è mai vista diventare per un attimo protagonista, degna di essere inquadrata più volte e da distanza ravvicinata?

Il regista francese, dall’alto della sua esperienza e saggezza, si permette di prenderci benevolmente in giro, disseminando il suo film di falsi indizi, spunti ingannevoli, piccoli flash enigmatici che lo rendono qualcosa di unico. A partire dal titolo e dalle immagini iniziali, perché gli “amori folli” sono anche quelle erbe selvatiche che crescono nelle crepe del terreno, anarchicamente, quasi irrazionalmente. C’è una vena di follia nei personaggi creati da Resnais, un particolare che sfugge, che resta oscuro solleticando gli spettatori, tenendoli sulla corda in attesa di un colpo di scena, di una rivelazione che non arriva mai. Se non nel finale, nel modo più inaspettato e… definitivo.

Gli amori folli comincia con uno scippo ai danni di una signora dalla folta (e folle?) capigliatura rossa, prosegue col casuale ritrovamento del suo portafoglio da parte di un signore in apparenza distinto ma attraversato da inquietanti propositi omicidi. Lui è sposato con una donna assai tollerante, che sembra mostrare molta comprensione verso il marito a causa del suo passato (ma quale passato?). La donna del portafoglio fa la dentista, la sua vita sembra vuota anche se piuttosto agiata, se si esclude la passione per il volo, che da principio rimane sullo sfondo ma nel finale sarà la chiave di volta del film.

Leggero mistero e spiazzante ironia permeano la storia, ovattata di nonsense o di un senso ulteriore che tende a sfuggire agli atteriti ma divertiti spettatori. A tratti si ride, ad esempio quando il protagonista maschile reagisce maltrattando le convenienze ai dinieghi della signora. Ma nel momento in cui lui sembra rinunciare, è lei a cercarlo. E ad un certo punto è la moglie a mostrarsi grata alla dentista rossa di capelli perchè cerca suo marito…
Resnais butta là spunti, suggerimenti, semina domande, lascia aperti interrogativi, tutto con elegante leggerezza, e de “Gli amori folli” rimane un sapore piacevole, con una punta di piccante che non dà mai fastidio.

Gli amori folli (Francia, 2009)
Regia: Alain Resnais
Sceneggiatura: Alex Réval, Laurent Herbiet
Fotografia: Eric Gautier
Costumi: Jackie Budin
Cast: Andrè Dussollier, Sabine Azema, Anne Consigny
Distribuzione: Bim

 

 

di Roberta Folatti

Impossibile riscattarsi


Nonostante le critiche quasi unanimemente positive, rimango dubbiosa sull’utilità di dare un seguito a “Happiness”.  Perdona e dimentica è l’ideale continuazione di quel film ma, secondo me, non aggiunge nulla. Conferma semmai la totale assenza di speranza che caratterizzava la prima pellicola.
In definitiva dimenticare e perdonare sono azioni troppo superiori alle capacità umane. E forse anche un tantino incongrue.

Il nuovo film di Todd Solondz riprende in mano i fili delle storie raccontate in Happiness”, in particolare quelle delle tre sorelle, Joy, Trish e Helen. I personaggi sono segnati dalle esperienze vissute ma non rassegnati, sia che si ostinino a credere che bisogna guardare avanti o che pensino sia lecito dare ancora delle chance a se stessi e agli altri. Con un implacabile cinismo, che a tratti si stempera in corrosiva ironia e in pietà, il regista ricompone la sua “galleria degli orrori”. Un’umanità perdente, ormai abituata a veder naufragare le proprie illusioni, abbruttita anche nei tratti fisionomici.

Joy e Trish tentano di ricominciare (o di continuare) a vivere, una intraprendendo una nuova relazione con un uomo (finalmente) “normale”, l’altra perdonando il marito dopo aver messo distanza tra sé e lui, ma i fantasmi del passato non smettono di perseguitarle. Nel caso di Joy si materializzano acquistando vita autonoma, in quello di Trish rappresentano un ostacolo fatto di diffidenza e paure nei confronti degli uomini. Anche il buon “diavolo” che ha incontrato, finisce per confondersi ai suoi occhi con ciò che ha cercato di allontanare, e sarà lei a ferire lui e a negarsi l’ultima possibilità.

Insomma vivere significa, secondo Solondz, sopportare una serie di scherzi cinici del destino, che fanno ridere a denti stretti noi spettatori ma che non lasciano scampo. La natura umana tende al male o all’infelicità, gli errori dei padri ricadono sui figli, non esiste realmente l’opportunità di emanciparsi, di scrivere la propria storia scegliendo una strada nuova.

Perdona e dimentica (Usa, 2009)
Regia: Todd Solondz
Sceneggiatura: Todd Solondz
Cast: Allison Janney, Shirley Henderson, Michael Kenneth Williams, Ally Sheedy
Distribuzione: Archibald

 

 


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